Il silenzio davanti
alle schedature etniche
L´Italia che ricorda in quest´anno 2008 il settantesimo anniversario della
promulgazione delle leggi
razziali è sotto accusa di razzismo per alcune misure varate dal governo
attuale.
E´ inevitabile che questa situazione dia un tono particolare alla rievocazione e
alla discussione di
quel che accadde nel 1938. Un gruppo di scienziati italiani, ad esempio, ha
sentito la necessità di
ribattere punto su punto le tesi di un celebre manifesto di alcuni scienziati di
allora e di affermare
esplicitamente che le razze umane non esistono. Questo "manifesto degli
scienziati antirazzisti" è
stato presentato nei giorni scorsi nel parco toscano di San Rossore in un
meeting antirazzista
dedicato dal presidente della Regione Claudio Martini a una riconsacrazione
laica del luogo dove
settant´anni fa Vittorio Emanuele III firmò le leggi razziali. Di commemorazioni
e di riparazioni
simboliche dello stesso genere se ne prevedono altre. Intanto, su di un binario
parallelo a quello dei
riti e dei simboli si srotolano i fatti concreti di una società italiana che,
pur lontana anni luce da
quella di allora, viene accusata di ricadere negli stessi errori . Fra tante
altre misure che dividono e
discriminano la popolazione tra chi è al di sopra e chi è al di sotto di ogni
sospetto ce n´è una che ha
colpito in modo speciale l´opinione pubblica: il censimento delle impronte dei
piccoli zingari. La
storia non si ripete, certo, anche se è difficile non ricordare che alle leggi
razziali si arrivò nel 1938
dopo un censimento dei cognomi ebraici. Una cosa è certa: queste misure prese in
nome della
sicurezza diffondono insicurezza. Si è creato un circuito perverso tra paure
socialmente diffuse e
ricerca politica del consenso. Chi parla di maniera forte e tolleranza zero
copre l´inefficienza delle
istituzioni e stimola la paura nei confronti dei gruppi marginali. Mendicanti,
vagabondi, gente senza
casa e senza lavoro si trasformano così nella percezione sociale in gruppi
pericolosi. E´ un
fenomeno antico. Come abbia segnato la storia dell´Europa e dell´Italia ce lo ha
raccontato in saggi
bellissimi il grande storico e uomo politico polacco Bronislaw Geremek morto
improvvisamente in
questi giorni, che a quella umanità diversa, perdente e ribelle ha dedicato una
vita di studi. Oggi, in
una situazione di crisi delle società affluenti assistiamo al riprodursi di
meccanismi antichi:
aumentano i gruppi di sradicati, emarginati, migranti e cresce la paura nei loro
confronti. Su quella
paura crescono fortune politiche mentre le relazioni sociali si spogliano
rapidamente di ogni traccia
di umanità. Che la stragrande maggioranza degli italiani, inclusi i membri del
governo, non sia
disposta a dichiararsi razzista niente toglie alla cupezza di ciò che avviene.
Qui non sono in gioco fedi razziste. E tuttavia la discriminazione su base
etnica che colpisce gli
zingari in Italia solleva una grande questione morale e giuridica. Minimizzarla
o coprirla con una
untuosa retorica paternalista, parlarne come di una misura protettiva verso gli
stessi zingari significa
non rendersi conto che attraverso questa misura passa una offesa alla dignità
dell'individuo, alla
parità dei diritti fra tutti gli esseri umani, all´uguaglianza dei cittadini
davanti alla legge. La
democrazia ne è colpita in un frammento della popolazione tanto più indifeso
quanto più esposto a
essere ferito. E se l´offesa fatta ai bambini ci offende in modo speciale è
anche perché all´origine
della sensibilità morale della nostra cultura nei confronti dei bambini c´è una
indimenticabile pagina
dei Vangeli cristiani.
Il limpido manifesto antirazzista degli scienziati non si muove a questo livello
e non può far reagire
una società italiana che non si sente razzista. E´antica tra noi la coscienza
della nostra realtà di
paese di passo, aperto a tutte le presenze del mondo. "L´origine degli Italiani
attuali risale agli stessi
immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto
perennemente vivo
dell'Europa": lo diceva perfino il manifesto razzista del 1938 con parole che,
in tempi di
criminalizzazione legale dell´immigrazione clandestina e di sfruttamento
bestiale dei lavoratori
africani e orientali condannati alla clandestinità, sembrano venire da un altro
mondo.
Resta il fatto che alla discriminazione poliziesca di quel piccolo contingente
di bambini (di volta in
volta definiti "pericolosi" o "in pericolo" , a seconda della franchezza o
dell´ipocrisia di chi parla) si
dovrà opporre un rifiuto fermo. Chi ha autorità per farlo la usi. Chi si
vergogna del paese che fa
questo lo dica. Nel 1938 ci fu un italiano che alla lettura delle leggi razziali
esplose gridando che si
vergognava di essere italiano. Si chiamava Achille Ratti ed era Papa col nome di
Pio XI.
(L'episodio è emerso grazie a uno studio di P. Giovanni Sale sulla "Civiltà
cattolica"). Se il Papa
non giunse a dichiarazioni pubbliche conseguenti e adeguate, ciò si dovette solo
alla morte che lo
colse di lì a poco.
Le parole di un Papa contano. Contano anche i silenzi. Qualcuno immaginerà che
si voglia qui
riaprire la questione del cosiddetto "silenzio" del successore di Pio XI , un
altro italiano di diversa
personalità: Papa Pacelli. Non è questo il punto. Si vuole solo ricordare una
realtà a tutti evidente: il
Papa aveva allora in Italia e sulle cose italiane uno speciale campo di azione e
di governo. Lo ha
ancor oggi: e non certo meno di allora. L´esercizio del diritto papale a fare
politica è un dato di
fatto. Che di recente l´attuale maggioranza di governo se ne sia fatta garante è
piuttosto una mossa
del gioco politico che una sanzione al di sopra delle parti.
Potrebbe il Papa di oggi avvertire lo stesso sentimento di vergogna del suo
predecessore Pio XI?
Difficile immaginarlo. Ci si vergogna per il paese a cui si appartiene, così
come i bambini si
vergognano per i genitori. Ma qui si pone un problema non di sentimenti bensì di
atti politicamente
e socialmente rilevanti. Sia l´eventuale parola del Papa sia un suo perdurante
silenzio avranno il
loro peso in una lacerazione della società e in un disagio che emergono oggi
soprattutto dalle voci
del mondo cattolico più impegnato nel volontariato e nel governo pastorale; un
disagio tanto più
forte quanto più vasta è l´apertura di credito fatta al nuovo governo italiano
da parte delle autorità
della Chiesa.
Nell´Italia del 1938 al papato guardarono con speranza gli ebrei italiani, in
nome di una
antichissima tradizione storica che aveva costituito il vescovo di Roma come il
protettore supremo
della comunità ebraica. Ebbene, anche gli zingari hanno costruito nei secoli un
vincolo di tipo
protettivo col pontefice. Come ha raccontato Bronislaw Geremek, gli zingari
ricorsero molto spesso
alla protezione papale . Si appellarono al Papa perfino per dimostrare che, se
rubavano, lo facevano
con un suo permesso scritto (apocrifo, naturalmente).
Anche questa è una storia tutta italiana. Ne fu protagonista quella stessa
minoranza di antica
presenza nella penisola che è stata vittima di recenti gravissime violenze e che
oggi è nel mirino di
misure legali di discriminazione. Discriminazione etnica: non diremo razziale
perché le razze non
esistono.
Adriano Prosperi la
Repubblica 15 luglio 2008