Si riaccende lo scontro tra Guelfi e Ghibellini
Si è riacceso in questi giorni che coincidono con la grande vacanza nazionale di agosto l'antico
dibattito tra guelfi e ghibellini, vecchio ormai di otto secoli. Vecchio ma sempre latente e attuale. Il
dibattito riguarda il rapporto teorico tra la Chiesa e lo Stato democratico e quello più concreto tra il
Vaticano di papa Ratzinger e il governo di Silvio Berlusconi.
Non ci sono molte novità da segnalare per quanto riguarda il rapporto teorico tra lo Stato e la
Chiesa: si tratta di due entità che agiscono su terreni ben distinti e che come tali si riconoscono. Lo
Stato democratico è laico per definizione e come tale riconosce alla Chiesa (anzi a tutte le Chiese e
alle associazioni di qualunque genere) il diritto di usare lo spazio pubblico per diffondere le loro
dottrine e tutelare i loro legittimi interessi.
La Chiesa a sua volta riconosce la laicità dello Stato con una sorta però di nota aggiuntiva che si
concentra su un solo aggettivo: laicità purché sia buona. Se non è buona, la Chiesa di papa
Ratzinger si riserva il diritto-dovere di emendarla raccomandando ai suoi fedeli nonché ai politici
cattolici di sostenere e tradurre in norme di legge l'emendamento da lei sostenuto.
Questa è la novità e non è da poco. Si tratta di una novità tipicamente italiana che si spiega con il
fatto che l'Italia è considerata dalla Chiesa come il giardino del Papa, luogo privilegiato dove il
Vaticano si permette interventi, pressioni, forzature che in altre democrazie dell'Occidente cristiano
sarebbero impensabili, non avrebbero alcuna risonanza e cadrebbero nell'indifferenza generale. Ma
a questa eccezionalità del caso italiano siamo purtroppo abituati anche se noi "ghibellini"
continuiamo a protestarne il carattere democraticamente abusivo.
Ho letto su qualche giornale (mi pare su un recente numero di "24 Ore") che la vecchia questione
tra guelfi e ghibellini non rispecchia più la realtà e quindi non merita d'esser ripresa. Sarei felice se
fosse così ma purtroppo non lo è affatto; ma se volete possiamo anche cambiare il lessico usando le
parole di Chiesa militante e di laici impegnati. Va meglio così?
* * *
Il rapporto tra il Vaticano di papa Ratzinger e il governo di Silvio Berlusconi è invece molto
complesso e si sta sviluppando su diversi piani gestiti per la parte cattolica dal segretario di Stato,
cardinal Bertone, dal presidente della Cei, cardinal Bagnasco, dal cardinale Ruini sempre vigile
malgrado l'apparente pensionamento e, naturalmente, dal papa in prima persona. Per il governo
Gianni Letta in veste di gentiluomo vaticano, il ministro del Walfare Sacconi e direttamente dal
presidente del Consiglio.
Il Vaticano agisce su due pedali. Il primo potremmo definirlo il pedale dei rimproveri: il dissenso
della Chiesa sulla politica dell'immigrazione, sui respingimenti in mare, sulle ronde, sul reato di
clandestinità e su ciò che ne consegue. Su tutti questi temi il rimprovero cattolico è stato ed è
vibrante e netto, fortemente appoggiato dal clero parrocchiale e dalla stampa cattolica che ad esso fa
capo. Fa parte del tema del rimprovero anche la spinosa questione dei comportamenti licenziosi del
premier, più volte denunciati con crudezza da "Famiglia cristiana" e con più prudente fermezza
dall'"Avvenire". Lo stesso cardinal Bagnasco è intervenuto in proposito manifestando
rincrescimento e disapprovazione per "certi comportamenti" di personalità che non danno "buon
esempio e tanto meno esempio di virtù cristiana".
Il secondo pedale è invece quello delle richieste, tanto più perentorie quanto più si estenda
minacciosamente nelle coscienze cattoliche il rimprovero e la censura. Esiste tra questi due pedali
un nesso molto visibile che non mette affatto in dubbio né la sincerità dei rimproveri né la fermezza
delle richieste, ma che dà a queste ultime una forza che proviene dalla debolezza del governo e dalla
sua ricattabilità politica. Si è spesso parlato in questi mesi della ricattabilità internazionale del
presidente del Consiglio e anche della maggior forza acquisita dalla Lega nei suoi confronti; ma
esiste anche una soverchiante pressione del Vaticano dovuta ai comportamenti "morali" del premier
e al suo urgente bisogno di riguadagnarsi una nuova legittimazione sul versante cattolico.
Il ventaglio delle richieste vaticane è vario e ampio: la revisione delle procedure della legge
sull'aborto e sulla procreazione medicalmente assistita, una rigorosa limitazione nell'uso della
pillola abortiva; un'attentissima sorveglianza sul testamento biologico che di fatto ne vanifichi ogni
più liberale disposizione; il finanziamento esplicito delle scuole cattoliche. Da ultimo è
sopraggiunta la sentenza del Tar che esclude l'insegnamento della religione dai "crediti scolastici"
riaprendo così il tema estremamente controverso dell'immissione in ruolo dei docenti indicati dai
vescovi, avvenuto tre anni fa ad opera del governo Prodi.
Su questa sentenza, contro la quale ha già fatto ricorso il ministro dell'Istruzione, Mariastella
Gelmini, la disputa tra Chiesa militante e laici impegnati si è vivacemente riaccesa. La senatrice
Binetti ha reindossato il cilicio e affianca la Gelmini, la pubblicistica laica lamenta la debolezza
congenita del laicismo, il cardinal Bagnasco sentenzia che la morale non può esser decisa dalla
pubblica opinione, Angelo Panebianco distingue moralità e moralismo con il solo evidente intento
di proteggere il premier dalle critiche che gli piovono addosso da più parti. A lui ha risposto giovedì
scorso Mario Pirani sicché mi astengo dal maramaldeggiare.
* * *
La questione dell'insegnamento della religione nella scuola pubblica merita qualche precisazione; si
tratta infatti di un tema capitale per la laicità dello Stato e non può essere liquidato sulla base delle
convenienze di parte.
1. La religione non può essere un insegnamento facoltativo. Dev'essere obbligatorio come debbono
esserlo la storia della letteratura, la storia degli avvenimenti politici, la storia dell'arte, quella della
filosofia, quella della musica.
2. L'insegnamento della religione non ha nulla a che fare con il catechismo, che viene invece
insegnato nelle parrocchie o nelle scuole private cattoliche. Quell'insegnamento non può che
consistere in una storia comparata delle religioni e in particolare delle tre religioni monoteistiche
che hanno in Abramo il loro ceppo comune.
3. Gli insegnanti debbono essere scelti attraverso pubblico concorso come avviene per tutte le
materie in questione.
4. Il "placet" del vescovo rappresenta una latente violazione della laicità, raffigura una
discriminazione inaccettabile rispetto agli altri insegnanti e una lesione del diritto degli studenti ad
una corretta istruzione.
5. Da questo punto di vista il ricorso del ministro Gelmini contro la sentenza del Tar è un atto molto
grave perché lesivo d'un diritto costituzionalmente garantito. Esso difende infatti uno stato di fatto
discriminatorio in vigore nella scuola pubblica, che cozza contro le norme di reclutamento dei
docenti e contro i diritti degli studenti.
6. Il fatto che la maggioranza degli studenti abbia aderito all'attuale insegnamento facoltativo della
religione cattolica non ha alcun peso in una discussione che coinvolge principi costituzionali che
(ha ragione il cardinal Bagnasco) non possono essere affidati al computo delle maggioranze.
7. La popolazione di fede musulmana è ormai presente in forze in Europa e in Italia ed è destinata a
crescere ancora nel prossimo futuro. Dovremo dunque aprire corsi facoltativi di quella religione,
affidati anch'essi al "placet" di qualche autorità religiosa che possa designare docenti coranici?
8. Il ministro dell'Istruzione che ha firmato il ricorso contro la sentenza di un tribunale
amministrativo ha agito a nome del governo che si è pronunciato in proposito oppure di propria
iniziativa? Ha i poteri per farlo quando si tratta di materia di questa delicatezza?
L'opposizione di centrosinistra si è già pronunciata in proposito ma non ha ancora, ch'io sappia, dato
luogo ad una mozione o interpellanza capaci di promuovere un dibattito parlamentare. Eppure se c'è
un luogo deputato ad affrontare una questione di tale genere è per l'appunto il Parlamento. E' perciò
auspicabile che questa mozione sia presentata fin d'ora e iscritta dalle Camere per la ripresa
Eugenio Scalfari