IL
SEGNO DEL COMANDO
La prescrizione è imperativa: «Spetta alla politica approntare e varare, senza
lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che -
in seguito al pronunciamento della Cassazione - preservi il paese da altre
analoghe avventure». L'avventura di riferimento è quella della morte di Eluana
Englaro. La prescrizione è del cardinal Bagnasco, solennemente rivolto al
Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Più che da ingerenza,
il tono imperativo è da comando, se non da guerra permanente con lo stato. Ma
non è solo questo il punto.
Il punto è che prima di arrivare all'osso della legge sul testamento biologico,
e dopo aver bacchettato «l'ostracismo» politico europeo sul viaggio del Papa in
Africa e relative dichiarazioni sui preservativi, il presidente della Cei fa un
interessante giro largo sullo spirito del tempo presente, tentando uno
spericolato spostamento dell'asse del discorso pubblico mondiale dallo «scontro
di civiltà» ad un altro scontro, altrettanto epocale, fra «due diverse, per
molti aspetti antitetiche, visioni antropologiche»: quella (religiosa) che
salva il fondamento immateriale della natura umana, e quella (secolare) che fa
dell'uomo un mero prodotto dell'evoluzione naturale e storica.
Il bersaglio non è nuovo: si tratta dell'ennesima bordata contro il paradigma
evoluzionistico darwiniano, non da oggi individuato da questo papato (e dal
precedente) come causa prima della deriva materialistica del mondo
contemporaneo. Ma il tiro stavolta è più largo e più strategico, per ragioni
geopolitiche e culturali. Sul piano geopolitico, la svolta di Obama
evidentemente non è passata invano: il Vaticano deve e può prendere atto della
obsolescenza del discorso dello «scontro di civiltà» che presupponeva una
matrice religiosa del conflitto fra Occidente e resto del mondo. Ma in
compenso alza la posta sulle matrici culturali del conflitto interno alla
cultura occidentale, fra visione religiosa e visione secolare del mondo e della
natura umana. L'impostazione è quella ratzingeriana della lotta fra due
diverse concezioni della ragione. Il di più che ci mette Bagnasco è una mossa
violenta di forzatura ideologica, che per sostenere gli argomenti del campo
religioso riduce a una caricatura quelli del campo secolare.
Nel primo campo c'è la
solennità alta di una ontologia che riconosce nell'uomo un fondamento
irriducibile alla pura materialità, fondamento che è radice e matrice di libertà
e dignità. Nel secondo campo c'è la rozzezza di una antropologia (l'ontologia o
è fondamentalista o non è) che nell'uomo vede «un mero prodotto dell'evoluzione
del cosmo» e « uno sghiribizzo fluttante nella storia». Nel primo caso la
libertà umana è dono divino e sa coniugarsi con la vita, la pace, la giustizia,
la solidarietà. Nel secondo caso diventa arbitraria, individualistica,
capricciosa, pronta a fare di ogni desiderio un diritto e di ogni istinto una
pretesa: «In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di
senso e di valori che induce alla disgregazione dell'uomo e ad una società
individualista fino all'ingiustizia e alla violenza. Anzi, verso un nichilismo
gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre
semplicemente la inganna».
Il testo di Bagnasco infila molte altre perle, ciascuna direttamente indirizzata
allo scontro politico e legislativo in corso in Italia dopo il caso Englaro.
Dice che la decisione di lasciar morire Eluana non solo ha aperto la strada a
una «deriva eutanasica», ma ha ribaltato d'un colpo la cultura giuridica
imperniata sul favor vitae , con ciò ponendosi in contrasto perfino con le
battaglie per l'abolizione della pena di morte. Fa propri i peggiori argomenti
già sentiti nell'arena politica e mediatica, sulla morte di Eluana come
anticipazione diabolica di una società spietata che procede per eliminazione dei
più deboli, dei più fragili, di quanti «non sono all'altezza dello standard
vigente». Ribadisce un'idea, questa sì evoluzionistica e biologistica, di
vita legata al battito cardiaco e al respiro polmonare, che permane nello stato
vegetativo. Ciascuno di questi argomenti si presta allo scontro politico
e mediatico, e lo rinfocola.
Ma per contrastarli, è la forzatura ideologica di partenza che va rigettata.
Essa consiste, primo, nell'avocare alla Chiesa il monopolio del discorso
sull'umano, negando alla cultura secolarizzata qualsiasi competenza in merito.
Secondo, nel ridurre la cultura secolarizzata a un materialismo senz'anima e a
un biologismo senza linguaggio, che fa fuori un paio di secoli di storia della
cultura europea. Terzo, nel ridurre a individualismo, consumismo e nichilismo la
partita sulla libertà che si gioca da decenni dentro il campo laico e non, o non
solo, fra questo e il campo religioso. Una partita in cui - Bagnasco
finge di non saperlo - non pertiene affatto alla Chiesa né la concezione
relazionale della libertà, né l'esigenza di «limitare il potere biopolitico sia
della scienza sia dello Stato», né quella di non ridurre a un automatico
«diritto» la delicata vicenda della fine della vita : in nome di che cosa se non
di questo abbiamo cercato di tutelare la relazione fra Eluana e Beppino Englaro
dal decisionismo del governo, o preferiamo un vuoto di legge a una legge dettata
dall'onnipotenza del biopotere? C'era un tempo in cui la cultura cattolica
sapeva costruire, sulle proprie istanze, un terreno di mediazione con il mondo
laico. Quel tempo, par di capire, è finito, e non certo per sola
responsabilità dei laici.
Ida Dominijanni Il manifesto 24-03-09