SECOLARIZZAZIONE, LENTA MA CRESCENTE
Nel secondo anno della pubblicazione dei dati riguardanti il fenomeno religioso cattolico in Italia, si è deciso di fornire una guida alla loro lettura. A questo scopo tra i numerosi indicatori, di cui si sono rilevati i valori per gli anni tra il 1991 ed il 2003, si sono scelti quelli contenenti maggiori informazioni e di più immediata comprensione.
Prima di presentare i dati,
occorre precisare che riguardano unicamente la religione cattolica
e quindi è solo di questa che qui si tratterà e non in generale del
fenomeno religioso. Inoltre, gli indicatori non sono il risultato di una ricerca
ad hoc ma sono raccolti da diversi enti o istituzioni (dalla Chiesa cattolica
nel suo annuario statistico, dalla Cei, dall’Istat, dal Miur, dal Ministero
della Salute), che li pubblicano per i loro scopi. Non essendo disegnati per la
ricerca, sono in grado di rappresentare solo alcuni degli innumerevoli
aspetti del fenomeno religioso cattolico e non sempre in modo adeguato,
per questo nell’interpretarli a volte è stato necessario piegarli al nuovo punto
di vista dopo aver considerato quello della fonte. Ad ogni modo, l’insieme di
questi accostamenti spesso inusuali offre alcune interessanti opportunità di
riflessione.
La prima dimensione considerata è quella della pratica
religiosa visibile. Essa è costituita da quell’insieme di riti imposti
da una credenza religiosa che si svolgono pubblicamente, la frequenza alla messa
ad esempio. Esiste anche un altro tipo di pratica religiosa quella invisibile
che ha luogo nel privato, come la preghiera individuale. Per la pratica
religiosa visibile, è stato possibile rilevare la frequenza di alcuni riti di
passaggio, vale a dire il battesimo, la prima comunione, la cresima, il
matrimonio.
La seconda dimensione del fenomeno religioso esaminata è quella
dell’appartenenza. Chi si sente parte di un gruppo religioso
assume atteggiamenti coerenti con quelli del gruppo, questi comprendono sia la
pratica religiosa sia scelte riguardanti la vita quotidiana, per le quali
esistono esplicite prescrizioni morali. La pratica e l’appartenenza sono
strettamente legate, infatti la prima è un indicatore della seconda. Ad esempio
la celebrazione pubblica di un rito segna i confini tra il “noi” e gli “altri”,
rafforzando il sentimento di appartenenza ad una comunità, la sola pratica,
però, non esaurisce il tema dell’appartenenza, che coinvolge da vicino
l’identità delle persone, e per questo si manifesta anche attraverso delle
scelte concrete. Ad esempio: un medico ginecologo cattolico sarà obiettore di
coscienza riguardo agli interventi di interruzione volontaria di gravidanza.
Il terzo gruppo di indicatori scelti riflette alcuni aspetti
della chiesa cattolica in quanto organizzazione e della sua
presenza nella società in alcun ambiti precisi: la scuola; le attività
socio-assistenziali, che spesso si sono sostituite all’ampiamente lacunoso
sistema di welfare italiano; l’editoria.
Si consideri la pratica religiosa visibile e si osservi l’andamento dei relativi
indicatori. La percentuale dei bambini con età inferiore ad un anno che sono
stati battezzati, rispetto al totale dei nati vivi nell’anno di
riferimento, mostra tra il 1991 ed il 1998 un andamento altalenante, che oscilla
tra il massimo registrato nel 1991 e pari a 89,9% ed il minimo di 85,8% del
1996. Dopo aver raggiunto di nuovo un picco nel 1998 pari a 89,2%, appare essere
in costante diminuzione assestandosi nel 2003 a 80,7%, con una perdita
di ben nove punti percentuali in soli cinque anni. Vero è che la
percentuale dei battezzati in età superiore ad un anno sul totale dei battesimi
è andata crescendo in questi stessi anni (da 1,8% nel 1991 a 3,9% nel 2003), ma
ciò non assicura il recupero alla religione cattolica di tutti i bambini non
battezzati nel primo anno di età. Per spiegare la diminuzione costante dei
battesimi entro il primo anno di vita, due sono le ipotesi che si possono
formulare e che dovrebbero essere sottoposte ad opportuna verifica. Da un lato,
l’apporto alla natalità totale del paese degli immigrati, tra i quali molti
professano una religione diversa da quella cattolica, dall’altro un
atteggiamento individualistico dei genitori, che li spinge a lasciare ai figli
la decisione del battesimo in età più adulta.
I due successivi indicatori della pratica religiosa visibile sono anche essi da
riferirsi a riti di passaggio: il tasso di prime comunioni e
confermazioni (in realtà queste ultime sono in leggerissima ripresa)
ogni mille cattolici. Entrambi sono in lieve ma costante diminuzione
nel periodo di riferimento (1991 al 2003), infatti, il primo è passato dal 9,9
al 8,5 per mille ed il secondo dall’11,1 al 8,7 per mille. Questo calo è
probabilmente influenzato anche dall’invecchiamento della popolazione, ma altre
ricerche sulla religiosità dei cattolici hanno messo in luce come anche i riti
di passaggio, pur resistendo meglio di altre forme di pratica religiosa siano in
costante diminuzione.
L’ultimo indicatore considerato si riferisce al numero assoluto di
matrimoni religiosi, che è anche esso andato costantemente
diminuendo nell’arco di tempo considerato. Si tornerà sull’argomento in
modo più approfondito più avanti quando si confronteranno i dati sul matrimonio
con quelli sulle separazioni.
La seconda dimensione che si è scelto di trattare è quella dell’appartenenza
religiosa. Gli indicatori capaci di rappresentarla tra quelli rilevati, possono
distinguersi in due gruppi. Il primo gruppo riguarda atteggiamenti legati a
scelte etiche degli individui, su cui la chiesa cattolica fornisce chiare
indicazioni. A tale scopo si sono considerate: le separazioni legali
concesse a coppie sposate con matrimonio concordatario, il consumo di
anticoncezionali (purtroppo è disponibile solo la contraccezione
orale), il numero di interruzioni volontarie di gravidanza e
l’obiezione di coscienza tra ginecologi, anestesisti e
paramedici, che operano nelle strutture dove essa si pratica. Il secondo gruppo,
riguarda altre scelte come la frequenza dell’ora di religione
nelle scuole pubbliche, le donazioni, l’otto per mille, che
sono si in relazione con l’appartenenza religiosa ma non sono da considerarsi
eticamente vincolanti. In altri termini, chi si sente di appartenere alla chiesa
cattolica è molto probabile che scelga di devolvere l’otto per mille in suo
favore, ma non è tenuto a farlo per essere un buon cattolico. Si considerino gli
indicatori inseriti nel primo gruppo. Le separazioni civili concesse a
matrimoni concordatari appaiono in termini assoluti in costante crescita,
così come accade del resto per quelle di coniugi uniti solo civilmente e per le
sentenze di divorzio (per le quali non esiste distinzione tra matrimoni solo
civili o concordatari). Per completezza dell’informazione si noti che anche la
percentuale dei matrimoni celebrati solo civilmente sul totale dei
matrimoni è in crescita continua, passando dal 17,5% del 1991 al 28,5% del 2003,
così come il numero assoluto delle libere unioni. Secondo molti studiosi della
famiglia queste ultime sono sottostimate rispetto alla situazione reale
(mancherebbero incentivi che spingano i conviventi a dichiarare la loro
condizione). Il quadro è dunque quello di una crescente indifferenza al
messaggio della chiesa cattolica dell’indissolubilità del matrimonio.
Un altro aspetto che coinvolge scelte etiche su cui la chiesa fornisce
indicazioni precise è l’adozione di misure anticoncezionali tra le donne
fertili. Purtroppo si conosce solo la percentuale delle donne che
consumano quelli orali, che risulta essere raddoppiata tra il 1992 ed il 2002
(è passato dal 10,3% al 19%).
Si passi ora agli indicatori riguardanti un tema cui la chiesa cattolica
attribuisce un grande valore in termini etici: le interruzioni
volontarie di gravidanza. Il numero assoluto degli interventi per le
interruzioni volontarie di gravidanza nel 1991 era di 159.399 unità. Tra il 1991
ed il 1992 è diminuito del 4,4%, per poi mantenersi costante (intorno alle
152.400 unità) fino al 2001, anno in cui si è verificata una vistosa
diminuzione pari al 18,8%, raggiungendo solo le 123.792 unità. Questa
diminuzione è probabilmente legata all’aumento della diffusione dei
metodi contraccettivi anche se l’ipotesi rimane da verificare.
Si consideri ora l’obiezione di coscienza del personale medico
e paramedico. L’andamento di questo dato, calcolato separatamente per
ginecologi, anestesisti e paramedici, non rivela una tendenza univoca. Per i
ginecologi, se si confrontano solo il primo e l’ultimo anno disponibile (il 1991
ed il 2002), si trova un valore identico (60,4%), ma la percentuale non è
rimasta sempre costante negli anni. Ha viceversa seguito un andamento
altalenante raggiungendo il suo massimo nel 2000. Per gli anestesisti ed i
paramedici si rileva una generale tendenza al calo (gli anestesisti
obbiettori sono passati da 60% al 48,6% ed il personale paramedico da 45,7% a
40,4%), anche se i primi fino al 1995 hanno seguito un andamento in
crescita come quello dei ginecologi. L’ipotesi che possiamo formulare è che
queste tendenze siano influenzate non solo dall’appartenenza religiosa, fattore
rilevante visto che per tutti il 2000 è stato un anno in cui le obiezioni di
coscienza hanno raggiunto percentuali elevate, ma anche da strategie di carriera
condizionate a loro volta da fattori di tipo organizzativo e quindi dalle
politiche sanitarie.
Per quanto riguarda gli altri indicatori dell’appartenenza religiosa si
consideri la percentuale degli iscritti alla scuola pubblica che ha scelto di
frequentare l’ora di religione. Negli anni qui considerati essa
ha subito un andamento altalenante assestandosi nel 2003 su un valore lievemente
inferiore a quello del 1991, e peraltro identico a quello del 2002. In
sostanza la frequenza non risulta essere variata di molto.
Le donazioni alla chiesa cattolica non hanno una tendenza chiara per gli anni tra il 1991 ed il 1998, successivamente invece diminuiscono toccando il minimo nel 2001, ultimo anno disponibile.
Molto più interessante appare l’8 per mille, in crescita tra il 1991 (anno in cui la fetta che tocca alla chiesa cattolica è dell’81,4%) ed il 1993, seguito da un calo costante nei quattro anni successivi (nel 1997 si è tornati di nuovo all’81,6%) ed un recupero sostanziale dal 1997 al 2001, anno in cui la chiesa cattolica raggiunge il massimo sfiorando l’87,3% (forniamo di seguito una rappresentazione grafica). Certamente sull’andamento degli ultimi anni deve aver influito positivamente l’ampio e sapiente utilizzo della comunicazione pubblicitaria e di una strategia comunicativa che ha dato risalto soprattutto all’impegno sociale dei cattolici. Il tema del finanziamento pubblico alla chiesa cattolica è noto che non si esaurisce con l’8 per mille.
Si considerino infine quelli che sono stati scelti come indicatori dello stato di salute dell’organizzazione chiesa cattolica e della sua presenza nella vita quotidiana degli italiani. In primo luogo si è rilevato il numero di sacerdoti, religiosi e religiose, diaconi, laici consacrati e laiche consacrate, catechisti, missionari laici. Tra tutti si individua una chiara tendenza di fondo alla diminuzione.
Gli unici in controtendenza sono i diaconi, che nel 2003 erano più che raddoppiati rispetto al 1991 (per ogni diacono del 1991 ve ne sono 2,5 nel 2003), anche se il loro numero assoluto rimane basso (nel 2003 erano 2.794), ed i catechisti anche loro cresciuti dal 1996 (primo dato disponibile) al 2003 di una volta e mezza (da 75.000 a 184.000). Interessante la comparsa dei missionari laici in coincidenza con l’anno santo del 2000, che con varie oscillazioni sembrano rimanere sempre intorno al migliaio. L’assenza del voto di castità è la caratteristica che accomuna diaconato, l’attività di catechesi e il missionariato laico; esse permettono di impegnarsi nelle attività religiose senza rinunciare ad avere una famiglia, cosa impossibile per le religiose ed i religiosi.
Si considerino in proposito le defezioni tra i sacerdoti, il cui numero assoluto non varia mentre il rapporto tra le nuove ordinazioni e le defezioni, che indica per ciascuna defezione quanti sono i sacerdoti nuovi ordinati, non mostra una tendenza univoca. Se nel 1991 per ciascun allontanamento vi erano almeno nuovi dodici sacerdoti, nel 1992 si otteneva il valore più alto della serie storica pari a diciassette per poi scendere di nuovo l’anno successivo a quattordici. L’andamento tra alti e bassi appare poi assestarsi di nuovo intorno al valore iniziale di dodici, per poi scendere nel 2002 a circa otto sacerdoti che rimangono per ciascun sacerdote che abbandona, e di nuovo risalire a dieci nel 2003.
La costante diminuzione delle vocazioni si riflette inevitabilmente anche sul numero di religiose e religiosi che insegnano la materia “religione” nella scuola italiana, sempre più sostituiti da personale laico (i valori forniti dalla Cei mostrano delle imprecisioni la somma delle percentuali tra le diverse modalità che sono contenute nella tabella per alcuni anni non è pari a cento).
Un’altra dimensione interessante, sempre legata alle vocazioni, è il numero di iscritti nei seminari, che si dividono a loro volta tra coloro che frequentano le scuole secondarie e gli iscritti alle facoltà di filosofia e teologia. I primi sono in costante diminuzione, dei circa 7.000 rilevati nel 1991 nel 2003 ne erano rimasti meno della metà (circa 2.700). I secondi, invece, sembrano mantenersi costanti, il valore si aggira sempre intorno alle seimila unità. Ciò potrebbe spiegarsi con una maggior individualizzazione della scelta sacerdotale.
Per
quanto riguarda la presenza della chiesa cattolica nella vita quotidiana degli
italiani sono state considerate le scuole cattoliche di ogni ordine,
incluse le università, le istituzioni socio-assistenziali ed il volontariato
cattolico, ed infine la presenza cattolica nel settore editoriale.
In primo luogo riferiamoci alla percentuale di scuole cattoliche rispetto al
totale delle scuole. L’andamento di questo indicatore riflette una
costante seppur lieve diminuzione (tra il 1992 ed il 2003 la quota delle scuole
cattoliche è diminuita dell’1%): sono le materne e le secondarie a
registrare la perdita maggiore, mentre la percentuale di scuole elementari che
erano lievemente cresciute tra il 1991 ed il 1996, successivamente ha subito una
lieve diminuzione, che nel 2003 le ha riportate ad un livello di poco superiore
a quello del 1991 (7% circa). Si considerino gli iscritti alle scuole
cattoliche rispetto al numero totale di iscritti in tutte le scuole, anche essi
sono in costante diminuzione: se nel 1991 gli iscritti alle scuole
cattoliche erano il 9,1% degli iscritti nelle scuole italiane, nel 2003 erano
solo il 6,9%.
La percentuale degli iscritti alle
materne cattoliche
rispetto agli iscritti a tutte le scuole materne (pubbliche, private non
cattoliche, private cattoliche) è diminuita passando dal 24,1%
del 1997 al 21,22% del 2003. Lo stesso dicasi per le scuole elementari, dove si
passati dal 5,8% al 4,9%. Per le scuole secondarie il dato è mancante e si è
deciso di approssimarlo con il rapporto tra gli iscritti alle scuole cattoliche
ed il totale degli iscritti alle scuole private, anche esso in costante
diminuzione (dal 74,5% del 1997 al 46,4% nel 2003). Questo rapporto presenta un
simile andamento anche per le scuole degli altri ordini.
Interessante è l’andamento degli iscritti nelle istituzioni
universitarie cattoliche rilevati dal ministero per l’istruzione
l’università e la ricerca. Questi tra il 1998 ed il 2003 hanno avuto un
andamento altalenante dietro al quale si individua una tendenza alla
crescita, passando da 38.300 a 46.500. È stato possibile anche reperire
ulteriori dati al riguardo, dall’annuario statistico pubblicato dal Vaticano
(per il quale il numero assoluto degli iscritti sarebbe andato crescendo
costantemente da circa 44.900 unità nel 1991 a 64.300 nel 2000, si sarebbe
registrata una diminuzione negli anni successivi, dapprima lieve e poi
massiccia, così che nel 2003 si tornerebbe a quota 45.700). Essi, però, non sono
coerenti con quelli forniti dal ministero dell’istruzione dell’università e
della ricerca, secondo i quali gli iscritti alle università cattoliche sarebbero
cresciuti tra il 1998 ed il 2003 rispetto agli iscritti a tutte le università
private. La percentuale ha avuto un andamento oscillatorio, passando comunque
dal 41,7% al 43,1%. La tendenza alla crescita confermata anche dalla crescita
costante del corpo docente delle università cattoliche che è passato da 1306
unità nel 1997 a 1428 nel 2001.
Si consideri ora la presenza della chiesa cattolica nel sociale.
Particolarmente interessante notare quanto avviene nelle attività legate alla
salute dove si registra un disimpegno per quanto riguarda ambulatori e
strutture di tipo ospedaliero; probabilmente questa scelta è legata sia
a fattori economici sia demografici. Infatti, investire nel settore è diventato
nel tempo sempre più costoso, per il venir meno del personale religioso, che in
passato offriva le proprie prestazioni a titolo gratuito e che oggi deve essere
sostituito da laici. Ormai forte è la competizione con altre strutture private
non cattoliche sempre più numerose. Inoltre, le religiose ed i religiosi che
hanno ormai raggiunto un’età avanzata, hanno bisogno a loro volta di cure e
anche questo spiega perché si riscontra parallelamente una crescita costante
delle case di cura per anziani e degli istituti di assistenza cui si già
accennato precedentemente.
Altro
settore dove la presenza cattolica si è rafforzata è quello dei centri
di difesa della vita e della famiglia (da 487 nel 1991 a 1669 nel
2003), dei nidi d’infanzia (da 130 a 399) ed in misura minore dei consultori
familiari (da 467 a 534). Gli orfanotrofi e centri di tutela per l’infanzia
hanno avuto un andamento meno costante di quanto ci si aspetterebbe, considerata
la complessità della loro organizzazione. Gli istituti che si occupano di non
meglio specificati altri settori, sono poi diminuiti sensibilmente nel 2000, in
coincidenza proprio di una ripresa nel numero degli orfanotrofi e di un
improvviso aumento dei centri di difesa per la vita e la famiglia. Probabilmente
anche questo mutamento è da collegarsi all’anno santo, e alla riconversione di
molti istituti ecclesiastici in case di accoglienza per i pellegrini, in alcuni
casi poi riutilizzati come strutture per l’assistenza sociale.
Interessante è anche il dato delle associazioni di volontariato
(disponibile solo per gli anni 1997 1999, 2001), dove la presenza cattolica
appare in costante diminuzione sia per un notevole aumento
delle associazioni di volontariato totali, sia per una effettiva diminuzione
delle associazioni cattoliche.
Nell’insieme l’analisi di questi indicatori restituisce un’immagine complessa e
per la sua natura puramente descrittiva lascia aperti numerosi
interrogativi. La diminuzione della partecipazione ai riti di
passaggio, una sempre minor tenuta di alcuni dettami in campo etico (come
l’indissolubilità del matrimonio e l’utilizzo di metodi contraccettivi
naturali), la diminuzione costante delle vocazioni, la crescente preferenza per
le scuole pubbliche o private non religiose e la diminuzione costante delle
donazioni indicano un costante e continuo mutamento in atto nel fenomeno
religioso cattolico e quindi della religiosità degli italiani.
Allo stesso tempo però altri indicatori si muovono nell’opposta direzione. Ad una diminuzione del successo delle scuole corrisponde un crescente successo delle università, ad una diminuzione delle donazioni si contrappone, seppur con alterne vicende probabilmente influenzate da martellanti campagne pubblicitarie, la tenuta dell’otto per mille. Del resto l’abilità di utilizzare i metodi di comunicazione è testimoniata dall’aumento della tiratura di opere religiose proprio in coincidenza con l’anno duemila. Il quadro del mutamento in atto è complesso perché numerosi sono gli elementi che entrano in gioco nel caratterizzare il fenomeno religioso cattolico. Si intravede comunque la direzione di questo processo che va verso una maggior autonomia nelle scelte di vita, da ricondursi ai più generali processi di individualizzazione che coinvolgono la società.
Silvia Sansonetti dal numero 123 della rivista Critica liberale