Sebben
che sian romeni
Una regola basilare di qualsiasi società fondata sullo Stato di diritto si
chiama garantismo. E fin qui
non ci piove.
Solo che se facciamo un passo in più, oggi, in Italia, nel clima che ormai si è
creato, rischiamo la
più profonda impopolarità. Però lo facciamo lo stesso, per dire che anche
i romeni hanno diritto a
essere garantiti. Addirittura quei romeni accusati e arrestati per stupro.
Quelli della Caffarella, quelli
di Primavalle e chiunque altro sia stato o sarà incriminato di qualsiasi reato.
Al di là del fatto che siano innocenti o colpevoli - e al momento ci sono molti
dubbi che i due
accusati dell’orrendo stupro su una ragazza di 14 anni abbiano commesso quel
reato, anche se uno
dei due è indicato come responsabile di un altro stupro - la regola deve valere
per tutti. Italiani,
romeni, albanesi, tunisini e via dicendo. Fino alla prova definitiva della loro
colpevolezza, si tratta
di persone (persone) innocenti. E possono avere qualsiasi faccia truce,
qualsiasi espressione poco
raccomandabile, possono frequentare i peggiori bassifondi della città, ma sempre
innocenti sono
fino a che non si dimostra il contrario. Sebben che son romeni, insomma, sebbene
cioè si tratti
ormai della popolazione che nel cosiddetto immaginario collettivo suscita più
paura, più repulsione
e provochi l’istinto primordiale del nemico da sconfiggere o cacciare, sebbene
tutto questo, sempre
di persone stiamo parlando che potrebbero anche essere innocenti accusati
ingiustamente.
Ora, figuriamoci, sappiamo benissimo che nelle statistiche della criminalità
importata nel nostro
Paese, i romeni non sono certo tra gli ultimi. Anzi. Ma proprio per questo,
ancora di più vale il
discorso. Perché se ci facciamo trascinare dal nostro terrore per il
romeno, e lasciamo che le
indagini, gli arresti, i processi, insomma la giustizia faccia non il suo corso
previsto dalla
Costituzione ma vada avanti sull’onda dell’emotività pubblica, allora un domani
saranno guai per
tutti. Anche per noi italiani. Se poi in questo quadro già piuttosto
preoccupante ci mettiamo pure le
ronde in arrivo, lo scenario che si prospetta non è certo tranquillizzante.
Possiamo prevedere, senza
grandi rischi di sbagliare, che saranno proprio i romeni (seguiti dagli
albanesi, i tunisini, i neri, gli
immigrati in genere) quelli più «segnalati» dalle squadre di cittadini perbene
chiamati a vigilare
sulla nostra sicurezza. Ma quanti di loro risulteranno poi innocenti, gente che
magari beveva una
birra per strada, discuteva, scherzava rumorosamente, o forse litigava pure?
Quanti di loro saranno
costretti a passare una notte in Questura cercando, faticosamente, di dimostrare
la loro estraneità a
qualsiasi azione criminale? E alla fine, quanti di noi italiani finiranno
nella stessa situazione?
Domande retoriche, risposte scontate.
E evidente che più l’emergenza stupri cresce nella percezione
dell’opinione pubblica, più
bisognerebbe avere la capacità di tenere a freno le emozioni.
Soprattutto se si è chiamati a
responsabilità di qualsiasi genere, dal governo fino all’ultimo poliziotto, fino
all’ultimo rondista. E
fino a qualsiasi cittadino si trovi sulla scena di un delitto sentendosi magari
sicuro di riconoscere
quel romeno piuttosto che quell’altro. Non è facile riconoscere una persona
intravista nella notte e
che magari assomiglia a tanti suoi connazionali. Già si sente in giro la frase
«quello ha la faccia da
romeno» (chi si ricorda lo straordinario libro-inchiesta del tedesco Wallraff
Günter, «Faccia da
turco»?). Si dovrebbe allora pensarci due volte prima di accusare qualcun
altro, si dovrebbero
vagliare tutti gli indizi, una, dieci, cento volte, prima di arrestare qualcuno.
E si dovrebbe anche
stare attenti - noi che facciamo informazione - a come pubblicare queste
notizie, con quale enfasi,
quali certezze, quale rilievo, quali e quanti dubbi. Tanto più se si tratta di
romeni: un aggettivo che
purtroppo è diventato sinonimo di criminale.
Riccardo Barenghi La Stampa 3 marzo 2009