Se si usa la
privacy per difendere il potere
Sono state usate le parole giuste e forti per denunciare quel vero attentato
all´ordine democratico rappresentato dalle nuove norme sulle intercettazioni.
Un´opinione pubblica si è manifestata, ha occupato la scena politica e ad essa
soltanto si deve quel mutamento di linea del governo che, pur essendo del tutto
inadeguato, mai sarebbe venuto se ancora una volta avessero prevalso gli spiriti
deboli e i cultori della moderazione sempre e ovunque. Ma un grave danno
culturale è stato comunque provocato. Quando ho visto in piazza Montecitorio un
cartello che proclamava "Non ho nulla da nascondere. Intercettatemi", sono stato
preso da un vero scoramento, mi sono chiesto il perché di quella protesta
estrema e mi è sembrato subito evidente che la nostra fragile cultura della
privacy è a rischio proprio a causa di una legge che proclama di volerla
proteggere.
Non è un
esito paradossale. È il risultato di una riflessione sociale. Un´opinione
pubblica sempre più larga si è resa conto che quella non era una legge a tutela
della riservatezza delle persone, ma uno scudo protettivo per un ceto di cui si
scoprivano l´immoralità civile, i mille traffici, la corruzione come regola.
Da qui la reazione estrema, "intercettateci tutti", che ricorda il grido
disperato dei ragazzi di Locri dopo l´ennesimo delitto della ´ndrangheta,
"ammazzateci tutti".
Ma questa esasperazione ci porta nella direzione sbagliata. Dico per l´ennesima
volta che l´"uomo di vetro" è immagine nazista, è l´argomento con il quale tutti
i regimi totalitari vogliono impadronirsi della vita delle persone. Se non avete
nulla da nascondere, non avete nulla da temere. E così, appena qualcuno
vuole rivendicare un brandello di intimità, diventa un "cattivo cittadino" sul
quale lo Stato autoritario esercita le sue vendette.
È un argomento, dunque, da non usare mai, così come mai si deve ricorrere al suo opposto, all´uso strumentale della difesa della privacy per occultare comportamenti illegali o socialmente inaccettabili, per negare la trasparenza e la controllabilità dell´esercizio d´ogni potere. Entrambi questi atteggiamenti screditano la privacy agli occhi dei cittadini e occultano la realtà. Una realtà che, in questi anni, ha conosciuto gravi limitazioni della privacy dei dipendenti pubblici e il capovolgimento dell´impostazione con la quale si era cercato di mettere le persone al riparo dai disturbatori telefonici che invadono con pubblicità sgradite la sfera privata. Dopo aver ridotto la privacy di milioni di persone, ora la maggioranza si fa paladina di quella di un ceto indifendibile, cercando di cancellare quanto già è scritto nell´art. 6 del Codice sull´attività giornalistica: «La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilevo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica».
Parole
chiarissime, così come è chiara la ragione di questa ridotta "aspettativa di
privacy" per tutti quelli che hanno ruoli pubblici. In democrazia non
bastano i controlli istituzionali (parlamentari, giudiziari, burocratici), serve
il controllo diffuso di tutti i cittadini, dunque la trasparenza. E la
Corte europea dei diritti dell´uomo ha sottolineato con forza che questa
essenziale esigenza democratica può rendere legittima anche la pubblicazione di
notizie coperte dal segreto. L´opposto di quel che si cerca di fare in Italia.
La privacy, dunque, conosce diversi livelli di protezione. E non
corrisponde alla realtà dei fatti sostenere che la tutela ha funzionato solo a
favore dei vip. Prima di fare affermazioni del genere bisognerebbe dare
un´occhiata all´attività passata e presente del Garante e si scoprirebbe che i
casi riguardanti i cosiddetti vip sono una percentuale davvero minima e
che l´attività nel suo insieme è volta a garantire proprio la "gente comune". Un
lavoro sempre più difficile, che non può essere screditato con qualche
sprezzante formula liquidatoria, ma che dovrebbe essere accompagnato da una
attenzione che dia alle persone la consapevolezza dei loro diritti.
La
privacy non è più soltanto il diritto d´essere lasciato solo, di allontanare
lo sguardo indesiderato. È sempre di più uno strumento essenziale perché
non si debba vivere in una società del controllo, della sorveglianza, della
selezione sociale. Servono, dunque, strategie adeguate per contrastare
la bulimia informativa di poteri pubblici e privati, per sottrarsi allo "tsunami
digitale" che si sta abbattendo sulle persone.
La prima mossa riguarda l´osservanza del principio che limita la raccolta delle
informazioni personali a quelle strettamente necessarie per raggiungere una
determinata finalità. Una indicazione importante viene dal programma del nuovo
governo britannico, che ha scelto una strada del tutto opposta a quella che,
negli ultimi anni, stava trasformando l´Inghilterra in una società della
sorveglianza. Ecco allora lo stop alla carta d´identità e al passaporto
biometrico, alla creazione di banche dati del Dna senza garanzie adeguate, alla
raccolta delle impronte digitali dei bambini senza il consenso dei genitori,
alla videosorveglianza a tappeto, alla conservazione generalizzata dei dati
riguardanti l´accesso a Internet e la posta elettronica, a tutte le misure
restrittive introdotte con il pretesto della lotta al terrorismo. I nostri
garantisti a corrente alternata daranno un´occhiata a queste pagine,
significativamente intitolate "libertà civili"?
La
privacy assume così le sembianze di altri specifici diritti. Diritto
all´oblio, dunque a ottenere la cancellazione di dati che non debbono seguirci
per tutta la vita (un diritto particolarmente importante nel tempo delle reti
sociali, di Facebook). Diritto di "rendere silenzioso il chip",
vale a dire potere individuale di disconnettersi da una serie di apparati
tecnologici di controllo. Diritto all´anonimato, che può essere essenziale per
la libertà di espressione, come ha appena sostenuto la Corte suprema di Israele
scrivendo che esso offre una tutela importante per chi vuole esprimere opinioni
non ortodosse.
Uno sprazzo di questa consapevolezza tecnologica si ritrova persino nell´orrendo
testo in discussione al Senato, dove si prevede che, per ottenere i tabulati
telefonici, sia necessaria la stessa autorizzazione richiesta per le
intercettazioni. Una scelta corretta. Infatti i tabulati, pur non fornendo i
contenuti delle conversazioni, rivelano una serie di informazioni (nome del
chiamante e del chiamato, luoghi dove questi si trovano, durata della
conservazione) che consente di ricostruire l´intera rete delle relazioni
personali, politiche, economiche, religiose di tutti. E, mentre si può
contestare il contenuto di una intercettazione, liberandosi così dal sospetto,
questo diventa più difficile, o addirittura impossibile, quando i dati
conservati registrano solo il nudo fatto dell´aver telefonato ad una persona.
Queste sono alcune delle strade da seguire se davvero si vuole tutelare la
privacy delle persone, ormai identificata con la libera costruzione
della personalità, con il potere di controllare chiunque usi le nostre
informazioni, con il rifiuto di sottostare a pretese ammantate di sicurezza o
efficienza del mercato. Qui si gioca la vera partita. Anche per
questo dobbiamo uscire dalla trappola allestita da chi vuole trasformare la
privacy in difesa del nudo potere.
Stefano Rodotà Repubblica 2.6.10