Se la vita diventa un bene della Chiesa
La vicenda di Eluana mostra quello che accade quando i confini tra fede e
legge svaniscono. Teniamolo presente ora che riparte la discussione sul
testamento biologico.
Come è giusto che sia, ora il dibattito parlamentare ripartirà dal testo della
Commissione sanità del Senato sul Testamento biologico. Esso però rischia
ulteriori sopraffazioni rispetto alle esigenze e alle volontà delle persone. Con
efficacia, Claudio Magris ci ha ricordato che «La qualità della vita può essere
valutata solo dall’interessato, l’unico autorizzato a poter decidere della
propria vita e della propria morte».
È opportuno rileggersi per intero l’art. 32 della Costituzione, composto di due
paragrafi. Il primo afferma che «La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti». Non meno significativo il secondo, proprio alla
luce delle recenti vicende: «Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Sono principi fondati sulla libertà personale e sulla responsabilità dei medici
e della scienza, beni che lo Stato mette a disposizione dei suoi cittadini per
garantire il diritto alla salute. E qui sta il grande valore della laicità e
della inalienabile distinzione tra fede e legge. Il governo e il
centrodestra hanno abbracciato con piglio decisionista la posizione del Vaticano
e delle gerarchie cattoliche, sostituendosi alle volontà della povera Eluana e
della sua famiglia, alle attenzioni dei medici chiamati al capezzale, alle
sentenze della magistratura fino ai rilievi costituzionali del Capo dello Stato.
Ieri sulla procreazione assistita, oggi sul testamento biologico, Governo
e Chiesa irrompono nelle vite delle persone dettando norme, stabilendo obblighi,
prescrivendo comportamenti, anziché favorire diritti e assicurare tutele.
Con il risultato che, in nome del principio secondo cui la disponibilità della
vita appartiene alla volontà di Dio anziché agli individui, è lo Stato a
determinare come si viene al mondo e come si lascia questa terra. Così si
finisce per fare leggi tanto mostruose quanto inapplicate ed inapplicabili (i
voli della speranza per le cliniche spagnole dove coppie sterili cercano di
avere figli sono aumentati del 300% dopo l’approvazione della legge 40).
Oppure, da una parte si condanna l’accanimento terapeutico e gli eccessi di
certi abusi tecnologici e poi li si impone per decreto legge.
Il naturale e l’umano vengono usati, fino ad essere vilipesi, in nome della
supremazia contingente, sia essa della Chiesa, sempre più incline a espressioni
teocratiche, sia della maggioranza politica pro tempore. La quale
legifera di morte e dimentica la vita. Come quella legata alla salute dei
migranti, da segnalare alle forze dell’ordine se osano usufruire del nostro
sistema sanitario. La Chiesa stessa, come ogni buon medico e ogni buon
infermiere, ha denunciato i devastanti effetti di questa norma. E alcune regioni
(la Puglia, la Toscana, il Lazio) hanno già deciso di non applicarla. La rivolta
di tanti medici, cattolici e non cattolici, indica come si può stare dalla parte
della vita battendosi contro il furore ideologico di taluni atti legislativi.
Le crociate integraliste basate sull’affermazione dei valori cristiani sembrano
prevalere sulla libertà di coscienza (e di cure) dei medici e dei cittadini.
Contro ogni autodeterminazione delle persone, il governo ha scelto il terreno
che più terremota le coscienze e abbatte le barriere di partito: il dolore.
Trasformando una complessa e straziante vicenda nell’ennesimo scontro tra dove
finisca la vita e dove inizi la morte.
Giovanni Berlinguer l’Unità 11.2.09