Se la politica dei barbari cancella i diritti di tutti
Servono 10, 100, 1000 Rosa Parks all´incontrario per reagire alle proposte
segregazioniste nella metropolitana milanese (Rosa Parks era la donna nera che,
nel ´55 in Alabama, andò a sedersi nella parte di un autobus riservata ai
bianchi, fu arrestata, ma il suo gesto avviò la fine della segregazione).
Si può organizzare una pacifica marcia su Milano di cittadini italiani di pelle
bianca e capello liscio che vadano a sedersi in metropolitana accanto agli
immigrati, anzi cedano loro il posto? Si può chiedere al sindaco Moratti di
usare i suoi colloqui su YouTube con Red Ronnie per una serie di
convinti elogi degli immigrati brutti, sporchi e cattivi, e tuttavia
indispensabili? Si può andare a Bergamo e esigere che si possa mendicare
per più di un´ora? Si può andare nelle città che hanno inaugurato un
protezionismo nazional-gastronomico (suppongo a difesa delle schifose pizze
surgelate con pomodori cinesi e cascami di formaggio) e ordinare ad alta voce
kebab, cibi aztechi e altri piatti etnici? Si può essere d´accordo con Vaticano
e Onu nelle critiche alle politiche di "respingimento" selvaggio dei disperati
che cercano di approdare sulle nostre coste? Si può chiedere ai mezzi
d´informazione decenti di dedicare uno spazio specifico e ben identificato per
segnalare gli episodi di strisciante o palese razzismo quotidiano?
E infine (o prima di tutto): si può dire al presidente del Consiglio che il suo
«no all´Italia multietnica» da una parte è un´insensatezza, perché basta
guardare i volti delle persone per strada e si vede che l´Italia è multietnica
senza possibilità di ritorno, e dall´altra che questo modo di parlare è
l´ennesimo, pericolosissimo rifiuto di dare al nostro paese strutture e cultura
rispettose dei diritti di tutti? Capisco che a Berlusconi la
Costituzione non piaccia. Ma è il caso di ricordargli che l´articolo 3 vieta le
discriminazioni basate proprio su razza, lingua e religione e che la Carta dei
diritti fondamentali dell´Unione europea, da lui votata, non solo ribadisce
questo principio ma, all´articolo 22 afferma anche la necessità di rispettare
"la diversità culturale, religiosa e linguistica". Questi sono appunto i tratti
di una società multietnica. Negandola, Berlusconi si pone una volta di più
fuori dal quadro costituzionale italiano e europeo.
Si deve
essere intransigenti per impedire che si consolidi ancora di più un perverso
senso comune che non è eccessivo chiamare razzismo. Certo, si possono
accogliere con compiacimento la scomparsa delle norme sui medici-spia e i
presidi-spia o le bacchettate di Gianfranco Fini a Matteo Salvini, inventore dei
vagoni "riservati" agli immigrati nella metropolitana di Milano. Ma il semplice
fatto che queste proposte vengano ormai avanzate a getto continuo, e arrivino
fino alla soglia della loro trasformazione in norme di legge, è sconvolgente,
è il segno di una regressione civile che rischia di cambiare nel fondo il
modo d´essere della società italiana.
Quando parlamentari, presidenti di Regione, sindaci, persone con responsabilità
pubbliche fanno schiette dichiarazioni di razzismo, si producono almeno due
effetti. Il primo riguarda il fatto che il cosiddetto "cittadino comune"
si senta legittimato non solo a pensare nello stesso modo, ma a tenere
comportamenti che rispecchiano appunto la linea dettata dai suoi rappresentanti,
innescando forme di rifiuto dell´immigrato che arrivano, come
tristemente ci ricordano le cronache, fino all´assassinio. La società, in questo
modo, conosce la barbarie, alla quale rischia di assuefarsi.
Il secondo effetto riguarda la raccolta del consenso, "lo stare sul territorio",
l´essere in sintonia con il "popolo". Non ho dubbi sul fatto che la sinistra,
nelle sue varie declinazioni, abbia gravemente indebolito le sue capacità di
"leggere" e interpretare trasformazioni e bisogni della società italiana
seguendo le chimere del partito leggero, affidando la propria capacità
rappresentativa alla presenza nei talk show televisivi, divenendo oligarchica,
accettando la logica della pura "democrazia d´investitura" che interrompe
proprio il circuito della comunicazione continua con i cittadini. Ed è vero che
la Lega si è insediata anche in questo vuoto. Ma, fatta questa constatazione e
considerata la necessità di tornare ad altre forme di rapporto con i cittadini,
si può poi sottovalutare il modo in cui tutto questo è avvenuto, la
sollecitazione continua di pulsioni verso identità aggressive, in una parola la
costruzione dell´"altro" come nemico?
Una lunga condiscendenza ha fatto sì che questo atteggiamento si consolidasse.
Sono state degradate a folklore le parole pesanti e irriferibili di sindaci e
parlamentari della Lega, i maiali trascinati sui terreni destinati alla
costruzione di una moschea. Si è pensato che le cene del lunedì ad Arcore tra
Berlusconi e Bossi servissero davvero a disinnescare le "bravate" dei capi
leghisti. Invece la deriva è continuata, si è trasformata in linea politica
sempre più esibita (perché lamentarsi poi delle reazioni dell´Unione europea,
che mi auguro sempre più vigili e dure?), ha trovato nelle ultime parole di
Berlusconi una sorta di benedizione finale.
Non è mai troppo tardi per reagire, per impegnarsi seriamente nel contrastare
questa resistibile ascesa. Bisogna farlo essendo consapevoli di quel che stiamo
perdendo. Il rispetto della dignità delle persone, degradate ad oggetto da
accettare o respingere come un carico più o meno avariato, a merce da sfruttare
da parte di imprenditori rapaci. Il rispetto del principio di eguaglianza,
quando l´immigrato è discriminato davanti alla legge per questa sua condizione
personale (lo vieta l´articolo 3 della Costituzione). Il rispetto dei diritti
fondamentali delle persone, quando salute, istruzione, possibilità di sposarsi
vengono negati o compressi, cancellando così una idea di cittadinanza che
consiste in un insieme di diritti che ci appartengono in quanto persone e che ci
accompagnano quale che sia il luogo del mondo in cui ci troviamo. Quando si
aprono questi varchi, ci si riferisce formalmente agli immigrati, ma in realtà
si creano le premesse per mettere in discussione le libertà di tutti. È già
avvenuto. Possiamo rassegnarci a vivere in un paese incivile?
Stefano Rodotà Repubblica 11.5.09