Se la Chiesa
processa gli eretici di oggi
L’attualità del caso Galileo mentre si chiude a Firenze un convegno a lui
dedicato
A cento anni dalle sue scoperte, il rito accusatorio contro lo scienziato
ripropone tutta la violenza contro la Ragione di cui la Fede è capace
L’invito a rileggere il processo a Galileo spicca nel programma del convegno
fiorentino che si chiude oggi ad Arcetri. E´ un invito da prendere sul serio. La
ricorrenza centenaria di quello straordinario 1609 quando Galileo passò le notti
a guardare il cielo col cannocchiale ha certamente qualcosa da dire al nostro
presente. Quello fu un momento altissimo della cultura italiana nella fase
matura della sua egemonia europea, come documenta la splendida mostra fiorentina
curata da Paolo Galluzzi. Ad esso seguì un precipitoso declino. Anche a
causa di quel processo, col quale, scrisse John Milton, la censura ecclesiastica
«spense l´ardore dell´ingegno italiano». Si chiudeva il processo a Galileo, si
apriva quello alla Chiesa . Oggi sono le autorità della Chiesa cattolica a
difendersi, parlando di un «malinteso», di una «reciproca incomprensione» (così
papa Wojtyla), di un problema del rapporto «tra ragione e fede», come scrive
l´attuale arcivescovo di Firenze. Fede e Ragione, Chiesa e Ricerca: grandi
parole, frastornanti per chi vuol capire che cosa accadde allora. Per questo
bisogna rileggere i documenti.
Davanti alle carte processuali si è presi come da una vertigine pensando alla
storia che documentano e a quella che hanno creato. Una storia non di
avventure, di fede e di passione, come avrebbe detto Benedetto Croce, ma
piuttosto di violenze e di astuzie, di volpi e di leoni. Astuzia di
Galileo, per esempio. Aveva a che fare con poteri occhiuti e sospettosi. Perciò
si tutelò con ben due «imprimatur» nel pubblicare il suo Dialogo: il che mise in
imbarazzo i giudici e dette al processo un andamento peculiare. Il potere gli si
presentò coi modi vellutati del gesuita Bellarmino nell´incontro del febbraio
1616, quando il cardinale cercò di convincere quel brillante professore a
dissimulare la sostanza della sua scoperta. Ma la violenza dei nemici – tanti,
per l´odio che sempre si scatena davanti alla vera creatività - era già
nell´aria se, come sembra, è autentico il discusso documento dell´intimazione
del Commissario Segizzi su cui il processo del 1633 fece leva. Il processo, un
testo di inesauribile fascino drammatico, all´altezza delle massime espressioni
del teatro barocco, si concluse come doveva. Galileo si arrese alla forza
mascherata di diritto: «Son qua nelle loro mani, faccino quello li piace».
Il fascicolo fu riposto nell´archivio del Sant´Uffizio, il
carcere-tribunale più antico di tutta Italia, un vero monumento storico
dell´immobilità del potere nel paese più ballerino e traballante d´Europa.
Ci vollero le armate di Napoleone per farlo uscire da lì. Quello che se ne seppe
fu solo la sentenza di condanna, inviata a pochi e ben mirati destinatari. In
Italia i professori lessero e giurarono. Lo stesso fecero quasi tutti i loro
eredi del secolo scorso, negli anni dell´abbraccio fra regime fascista e Santa
Sede. Riflessi condizionati. Su questi precedenti si basano i tentativi che
ancora si fanno da noi di imporre vincoli di legge a chi cura gli immigrati , i
malati, i morenti.
Oggi su queste carte antiche si tenta di aprire un processo nuovo: non più
quello di rito inquisitorio, della rigorosa ricerca della verità, ma quello di
rito accusatorio in cui il giudice media tra due contendenti . Al posto di
Galileo che voleva che la terra si muovesse c´è oggi la Scienza. Al posto di
papa Barberini che la voleva immobile c´è la Fede, candida e benevolente. E´ tra
questi due contendenti che si vuole cercare l´accordo. Ma, come sono in genere i
patteggiamenti che nei tribunali permettono di beffare la giustizia, anche
questa offerta di accomodamento sembra piuttosto truffaldina. La fede, quella
con la minuscola, non c´entra, non è una istituzione, è una cosa che ha tante
forme quanti sono gli esseri umani. C´entra la Chiesa come potere, quel
potere che in Italia ha fatto di ogni riformatore un eretico. La «reciproca
incomprensione» è una formula adatta alle liquidazioni di incidenti
automobilistici per «concorso di colpa». E la colpa di Galileo è una sola:
a lui si dovette la sconfitta del sistema di potere che saldava filosofia
aristotelica e geografia tolemaica nel disegno di un mondo chiuso sotto il
sigillo simbolico del Libro sacro affidato da un Dio al di sopra delle nubi a un
Vicedeo in terra. Quel fatto è incancellabile. Dagli orizzonti di allora
il mondo si è allontanato quanto da noi si allontanano i satelliti che portano
il nome di Galileo tra le stelle.
Adriano Prosperi
Repubblica
30.5.09