Se l'Etica si fa Legge e perde di vista
la persona
Pervasa
dal discorso sul morire, l'attesa natalizia della Nascita si fa quest'anno più
segreta, e più preziosa. L'Evento, l'Inaudito, l'Imprevisto che il Natale
celebra e rinnova è forse l'antidoto più sano alla volontà di potenza di
un'Etica e di una Legge che tutto vorrebbero rendere definito, regolamentato,
previsto e prevedibile, dalla culla alla tomba, dalla nascita alla morte. E'
proprio quando il discorso dell'Etica, e sull'Etica, si fa più pressante che
dobbiamo imparare a diffidarne; è proprio quando l'Etica si erge a paladina
della Vita, che dobbiamo vederne la pulsione di morte che l'attraversa; è
proprio quando si erge a Legge generale, che dobbiamo combatterne la tendenza a
prescindere dalle situazioni particolari. Come sulla procreazione, difendendo la
vita del bambino che ancora non c'è una certa etica prescinde dalla vita della
madre che c'è, così sul morire difendendo la sopravvivenza del morente quella
stessa etica prescinde dal suo volere, anzi dal volere che in lui si forma nelle
concrete e viventi relazioni - con i cari, con il medico, con la tecnica - in
cui si trova.
Scrive il filosofo francese Alain Badiou in un
pamphlet del '93 su (e contro) L'etica, oggi ristampato da Cronopio: «L'etica,
con la sua determinazione negativa e a priori del Male, si impedisce di pensare
la singolarità delle situazioni, cioè quel che è l'inizio obbligato di ogni
azione propriamente umana». E criticando una situazione rovesciata rispetto al
caso Welby continua: «Il medico allineato all'ideologia 'etica' mediterà in
riunioni e commissioni su ogni tipo di considerazione circa 'i malati'. Ma lo
stesso medico non vedrà alcun inconveniente nel fatto che questa persona non
venga curata in ospedale, e con tutti i mezzi necessari, nel caso in cui sia
senza documenti, o non registrata presso la cassa previdenza e malattia...Vi è
una sola e unica situazione medica: la situazione clinica, e non c'è bisogno di
alcuna 'etica', ma solo di una visione chiara di questa situazione, per sapere
che nella circostanza il medico è medico solo se cura questa persona che glielo
domanda sotto la regola del massimo possibile».
Rovesciamo la situazione e rileggiamo in questa
ottica il caso Welby: più si chiedevano pronunce generali al consiglio superiore
di sanità, più si invocavano leggi generali sull'accanimento terapeutico, sul
rifiuto della cura, sul testamento biologico e sull'eutanasia (confondendoli tra
loro), più si rischiava di perdere di vista quella persona, quella situazione,
quella domanda di non essere più curato, quelle relazioni, con la moglie e la
sorella, che hanno consentito a Piergiorgio Welby di affrontare umanamente una
situazione ai limiti dell'umana sopportazione. E quel medico che infine ha
eticamente deciso di agire secondo la domanda di quel malato, che non è detto
sia la stessa di tutti «i malati». «Ogni umanità si radica identificandosi nel
pensiero di situazioni singolari. Non c'è etica in generale. C'è - eventualmente
- solo un'etica dei processi attraverso i quali si trattano le possibilità di
una situazione», scrive ancora Badiou. Non è relativismo - sentiamo già montare
l'accusa - né nichilismo. Al contrario: è fiducia nella capacità umana di fare
del bene, contro l'ossessione del Male da cui l'etica è perseguitata, e nella
capacità dell'umano di misurarsi con la contingenza, anche la più tragica,
quando non funziona «la sua inscrizione ordinaria in 'ciò che c'è'» e un evento
«ci costringe a decidere una nuova maniera d'essere», né scritta né prescritta.
Ida Dominijanni il manifesto 24/12/2006