Se il papa sbaglia

Benedetto XVI ha infine dimostrato, dopo 2000 anni, in modo definitivo e incontrovertibile, la dottrina della fallibilità del papa. Il pontefice che la stampa inglese insiste a definire «il rottweiler di dio», l'ex prefetto del Santo Uffizio, è riuscito a sgretolare uno dei cardini dell'ortodossia cattolica: prima con i suoi attacchi al limite della goffaggine contro Maometto, durante la visita in Germania e, ieri, con le sue «quasi scuse» e la sua «desolazione» di fronte alla marea crescente di proteste tra il miliardo e 300 milioni di musulmani nel mondo. Il papa sbaglia.
Ma la disfatta teologica impallidisce di fronte al disastro diplomatico e politico, il più grave per la Chiesa cattolica da mezzo secolo. Che bisogno aveva infatti Ratzinger di riesumare una frase del 1391 («di nuovo, Maometto ha portato solo cose cattive e disumane»), pronunciata per di più da un imperatore, Manuele II Paleologo, che da bambino era stato prigioniero dei turchi, che vedeva il suo impero spazzato via dagli ottomani, e che quindi non poteva certo esprimere un'opinione distaccata?
Se proprio voleva mostrare come non si propaga la fede con la spada, perché non ricorrere alla storia cristiana, citando le crociate o la conversione forzata degli indios americani? Con le sue parole ha dato più di un argomento a quei musulmani che vedono nelle guerre di oggi una riedizione delle crociate. Con la sua «maldestra» citazione, il papa ha innescato una crisi assai più grave di quella delle vignette su Maometto: non è un giornalista a esprimersi, ma la guida spirituale di un miliardo di cattolici. A differenza della crisi delle vignette, in gran parte orchestrata dai governi islamici, questa volta la furia è spontanea e la «desolazione» non basterà a calmare la collera. Già nell'Islam molti la considerano insufficiente e il Marocco ha ritirato l'ambasciatore presso la Santa Sede. Dall'altro canto scuse ancora più esplicite, quali chiede il New York Times in un durissimo editoriale, segnerebbero per gli islamici una vittoria insperata.
Si potrebbe dire che uno stimato intellettuale non fa un buon politico, e tanto meno un grande vicario di Cristo. Il fatto è però che Benedetto XVI non è nuovo a questi atteggiamenti. Non a caso una delle sue prime decisioni era stata di rimuovere l'esperto vaticano dell'Islam, l'arcivescovo Michael Fizgerald, presidente della commissione per il dialogo interreligioso, e di esiliarlo come nunzio apostolico in Egitto. Attizzando la furia delle moltitudini islamiche Ratzinger alimenta il fanatismo che dice di voler combattere.
L'esternazione pontificia ci ha infatti procurato l'iscrizione non richiesta al club dei bersagli dei terroristi iracheni e somali che ora minacciano attentati a Roma. Così Benedetto XVI scatena quella guerra santa che ostenta di aborrire.
Perfino per la rigidità dottrinale teutonica sembra una miopia eccessiva. Viene il sospetto che, al contrario, lo scopo recondito della gaffe fosse per il navigato prelato proprio quello di creare le condizioni per un vero «scontro di civiltà». O è così, o i tempi del suo pontificato rischiano di accorciarsi drammaticamente: dagli esempi recenti del passato non risulta che la curia abbia molta pazienza nei confronti dei gaffeurs.

 

Marco d'Eramo   Il manifesto 17/09/06