Se il clubbino
mette le mani nella Chiesa
Anche nelle ventimila pagine di intercettazioni del criccagate, le
tonache non mancano. E come
in molti sospettavano già dall’estate del 2001, quando Angelo Balducci, allora
provveditore alle
opere pubbliche del Lazio, venne nominato “consultore” della Congregazione di
Propaganda Fide, a
Roma, nonostante il mutare dei governi, il celebre aforisma di Ricucci (quello
che accettava una
certa scelta sessuale solo usando le terga altrui) ha continuato ad avere
vigenza anche tra il clero. A
scorrere la lista dei beni ecclesiastici passati di mano, in questi ultimi dieci
anni, a prezzi risibili
oppure locati a canoni amichevoli dalla congregazione che sovrintende alle
missioni cattoliche, ci si
trova di tutto: boiardi di stato, parenti di boiardi di stato, politici di ogni
partito, grand comis di
destra e di sinistra, ministri, amiche di ministri, poliziotti potenti,
portaborse, giornalisti e quanto
d’altro.
E per facilitare le cose, (sempre dall’autunno del 2001)
con una raffica di sfratti e di esosi
adeguamenti del canone di affitto, le case sono state liberate dagli inquilini
più poveri in un modo
così brutale da far chiedere agli interessati costituitisi in “comitato
di lotta” nel 2007, con una lettera
indirizzata al cardinale Bagnasco se «dietro questa frenesia speculativa ci sono
persone più
bisognose a cui dare le nostre case, oppure i mercanti sono di nuovo nel
tempio?».
In quei mesi, un parroco delle montagne abruzzesi, su un quotidiano nazionale
commentava:
«Fa male, ferisce a sangue e toglie speranza il silenzio venale di una
gerarchia capace solo di
gridare all’untore. Che non viene neppure sfiorata dal dubbio dell’immoralità
devastante che la
attraversa mentre fa incetta di regalie e di privilegi e mentre i semplici
fedeli e i cittadini sono
chiamati a rinunce e sacrifici... Non più, quindi, “libera Chiesa in libero
Stato” ma “piccolo Stato in
infida Chiesa”».
In un contesto, come quello romano, dove le sovrapposizioni
sono date da tutti come inevitabili, la
strana commistione di preti e laici in ogni sconcezza sociale del nostro confuso
vivere civile e
politico sembra ormai secolarmente accettata come costante ineludibile.
Tuttavia, alla luce del recente documento della Cei sul Mezzogiorno d’Italia, e
del passaggio in cui i
cattolici (preti e monsignori compresi) vengono invitati a “liberarsi” dai
rapporti con una cultura
ambientale coinvolgente, non sarebbe male se nella Chiesa (aspettando di
sapere perché i magistrati
continuino a “sorvolare” sull’argomento) ci si chieda perché, dagli scandali
della sanità a quelli di
oggi, per limitarci a qualche esempio, siano sempre gli stessi i nomi che
ritornano.
Una volta liberi da questa insopportabile zavorra, è probabile che i credenti di
questo Paese ancora
impegnati nella vita politica saranno più agevolmente messi in condizione di far
comprendere a
tutti i loro concittadini che i cattolici italiani, preti inclusi, non sono
laicofobici. In Europa, in Italia,
in tutto il mondo la Chiesa viva (che non coincide sempre con quella del clero)
non deve farsi
conformare a una concezione ideologica unitaria, deve restare un “a priori”
contrario ad ogni
mentalità corrente; presente in quanto comunità mondiale, come una forza che si
oppone. Essa è
serbatoio di libertà perché ha una carica comunitaria e comporta un impegno
comunitario.
L’ideologia liberista che, in sostanza, riconduce tutto
l’esistente a una mediazione tra i rapporti di
potere, non solo (e questa è un’opinione personale) corrompe l’umano che è in
noi, ma corrompe
anche (e questa è un’opinione del 1997 dell’allora cardinale Ratzinger) le basi
stesse della Chiesa. I
fatti di questi giorni sembrano accadere per dare ragione all’ex prefetto della
congregazione per la
dottrina della fede.
Le recenti riflessioni della Chiesa italiana sulla presenza dei cattolici nella
vita politica del
Mezzogiorno d’Italia, e le preoccupazioni che monsignor Crociata ha espresso per
la democrazia
italiana, hanno bisogno di interpreti credibili affinché i
cristiani presenti trasversalmente in tutti i
partiti possano operare concordemente a partire dalla propria responsabilità
politica, anche oltre gli
stessi confini confessionali. Diversamente da ciò che le forze vive di questo
Paese (e la Chiesa, in
questo è sempre stata in prima fila) fanno da dieci anni a questa parte, l’unico
che ha avuto bisogno
di abbellire la realtà è sempre stato Berlusconi. Agli altri, cattolici e laici,
per l’andamento politico
ed elettorale, è arrivato il momento di parlare solo di cose vere e serie.
Filippo Di Giacomo l'Unità 3 marzo 2010