Se i due romeni fossero romani

Perché li tengono dentro, quei due, se il Tribunale del Riesame ha stabilito che Alexandru Loyos e
Karol Ractz non sono colpevoli dello stupro al parco romano della Caffarella? E se l'esame del Dna
scagiona Ractz pure dallo stupro del 21 gennaio a Primavalle? Chiediamocelo: sarebbero ancora in
carcere, si fosse trattato di due romani anziché di due romeni? D'accordo, la loro fedina penale è
tutt'altro che immacolata. E mettiamoci pure che hanno una brutta faccia. Ma non posso fare a meno
di pensare come avrebbe figurato la mia, di faccia, esibita in tv con l'accusa di avere violentato una
quattordicenne.

Il medioevo elettronico contemporaneo si nutre di simili mostri. Il biondino, il pugile, le baracche, i
campi rom, il Dna più o meno maldestramente ascrivibile a un ceppo etnico, le statistiche sulla
pericolosità degli stranieri estrapolate con disinvoltura da campioni di popolazione non comparabili.
Intrappolati come siamo tra la paura e il furore, finiscono per apparirci di un progressismo temerario
perfino le massime autorità istituzionali, quando criticano (inascoltate) il ricorso alla connotazione
razziale della delinquenza. Perché nel frattempo ci sono funzionari dello Stato, come il prefetto e il
questore di Treviso, che presenziano agli incontri di partito per la formazione delle ronde. Dando
luogo a una commistione tra forze dell'ordine e militanza di fazione, in nome della difesa del
popolo, tipica dei regimi antidemocratici.
L'indagine di polizia sul cosiddetto stupro di San Valentino s'è dipanata in un clima d'isteria
collettiva falsamente giustificata come moto di solidarietà nei confronti della vittima.
Sballottati tra
il clamore mediatico e le esigenze della politica, gli inquirenti già domenica 15 febbraio lasciavano
trapelare: siamo in procinto di acciuffare i colpevoli. "Il cerchio si stringe, questione di ore",
promettevano i siti Internet. Diffondendo un'aspettativa non so se autorizzata, ma comunque
eccessiva, tanto è vero che la sera di lunedì 16 febbraio la Questura di Roma doveva precisare in un
comunicato che nessun cittadino romeno risultava al momento iscritto al registro degli indagati. Gli
arresti sarebbero giunti la notte dell'indomani. Consentendo martedì 18 febbraio la ben nota sfilata
di Coyos e Racz ammanettati tra flash e telecamere, subito prima della conferenza stampa in cui
veniva precisato - guarda caso - che l'indagine s'era felicemente conclusa senza bisogno di ricorrere
alle intercettazioni telefoniche.
Indicata come prova regina la confessione filmata resa dal "biondino", dapprima gli inquirenti
hanno lasciato trapelare l'esistenza di quel video. Quando poi sono emersi forti dubbi sull'impianto
accusatorio, la polizia ha pensato di difendersi fornendo ai media quel materiale d'inchiesta e
rendendo così pubblico il filmato di una confessione che i magistrati hanno giudicato non credibile.
Sarebbe stato difficile pretendere che la polizia lavorasse con serenità in un tale contesto
ambientale. Ne è scaturita un'inchiesta come minimo frettolosa, il che dovrebbe bastare a definirla
un'inchiesta sbagliata. Se anche restassero fondati sospetti che Alexandru Loyos abbia reso la falsa
confessione per coprire altre persone, la sua autoaccusa lo descrive piuttosto come vittima che come
colpevole. Nel frattempo "Le Iene" hanno mostrato in tv una ronda di loschi figuri che si
aggiravano intorno al parco della Caffarella a caccia di stranieri con un coltello in mano.
Due
cittadini albanesi, scambiati per romeni, sono stati malmenati nel quartiere romano di Tor Bella
Monaca. La sera stessa è stato impedito l'accesso in una discoteca milanese di due cittadini indiani,
giudicati indesiderabili per il colore della pelle. Questo è il clima che si è alimentato
irresponsabilmente nelle nostre città, per le quali si aggirano in veste di giustizieri dei brutti ceffi
razzisti incoraggiati dal via libera alle ronde.

Perveniamo così al paradosso che, per l'incolumità di due persone "mostrificate" come Alexandru
Loyos e Karol Rocz, forse oggi in Italia il luogo più sicuro resti la prigione in cui sono detenute.
Ciò che naturalmente non giustifica la loro permanenza in carcere. Se e quando usciranno, è
prevedibile che si dileguino come ladri. Così il benpensante si rafforzerà nella sua convinzione: ve
l'avevo detto che erano dei poco di buono! E la caccia all'uomo potrà ricominciare, nobilitata dalla
sofferenza delle donne violentate. Senza giustizia.

Gad Lerner     la Repubblica 13 marzo 2009