Come riempire il deficit etico delle democrazie
LA RELIGIONE DI NOI MODERNI
(Pietro Scoppola: La Repubblica 17 Giugno 2005)
La religione è tornata alla grande sulla scena pubblica. Solo poche decenni fa il fattore religioso sembrava destinato a scomparire sotto gli effetti della secolarizzazione; perfino scrittori cattolici si chiedevano se il cristianesimo non fosse ormai in agonia. Invece le ideologie sono morte e le rei8ioni rinascono. E non solo le ideologie sono morte ma la democrazia è in crisi e fra i tanti motivi della sua crisi vi è quello di un deficit di ispirazione etica. Un grande laico come Norberto Bobbio nel suo libro del 1984 Il futuro della democrazia, osservava come una delle promesse della democrazia fosse quella di alimentare autonomamente e spontaneamente lo spirito democratico, ma osservava anche che questa promessa non era stata mantenuta: insomma la democrazia aveva dimostrato di non sapersi alimentare spontaneamente, di non essere autosufficiente.
Le religioni che ritornano saranno in grado di alimentare la democrazia o sono destinate ad approfondirne la crisi?
Habermas ha affermato che solo la religione può ricivilizzare la modernità perché solo la religione, sia pure tradotta politicamente in un linguaggio laico, può aiutare la società europea a conservare le proprie risorse morali. In questa prospettiva la secolarizzazione, nel mondo cristiano, non esclude un’incidenza del fattore religioso sulla società, anzi la implica, ma in forme nuove rispetto al passato e in particolare rispetto ai modelli di cristianità, più o meno storicamente fondati, offerti dalla storia.
Di fatto, però, gli effetti del ritorno in scena del fattore religioso non sono univoci, ma ambigui e contradditori.
Il fattore religioso è stato fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta un elemento rilevante nella crisi del comunismo e perciò nella affermazione di spazi di libertà; ma pochi anni dopo ha avuto una parte non secondaria nella crisi della Jugoslavia e ha contribuito al dramma di intere popolazioni scacciate dalle loro terre e decimate dalla “pulizia etnica”; è stato cioè, in questo caso, elemento di frattura e di crisi della convivenza. Negli ultimi anni ha assunto in Medio Oriente le forme minacciose del fondamentalismo.
Gli interrogativi sono molti: la deriva verso il fondamentalismo dell’Islam è legata alla natura stessa della religione islamica o è una sua deformazione? Vi sono rischi di fondamentalismo cristiano?
E ancora guardando ad un ambito più ristretto: quale ruolo svolge e svolgerà il fattore religioso all’interno della nostra società che oramai, per effetto dei grandi fenomeni migratori, tende a diventare necessariamente multietnica e multireligiosa?
Le condizioni della convivenza e del positivo apporto delle esperienze religiose alla democrazia posto in luce da Habermas sono molteplici: sono legate anzitutto al quadro che gli stati democratici saranno capaci di offrire: solo stati autenticamente laici in cui la laicità non sia una religione alternativa di stato ma uno spazio di libera espressione garantita a tutte le confessioni religiose potranno favorire la convivenza e al tempo stesso l’apporto delle religioni all’arricchimento del tessuto etico della società. Si delinea un suggestivo intreccio: la laicità dello stato garantisce la libera espressione e convivenza delle religioni, ma le libere espressioni della esperienza religiosa garantiscono il necessario apporto etico alla democrazia e la stessa laicità.
Quelle condizioni sono legate anche al modo stesso di vivere l’esperienza religiosa e al superamento delle molteplici forme di fondamentalismo o di integralismo. L’esperienza religiosa vissuta come adesione a una realtà che trascende la nostra condizione umana, di fronte alla quale l’uomo è sempre in ricerca è per sua natura incompatibile con l’integralismo in ogni forma. L’integralismo nasce invece quando l’esperienza religiosa è vissuta come possesso esclusivo della verità, che fonda un privilegio.
Ma il problema si complica e si intorbida quando compare in scena un altro decisivo attore: una cultura ed una politica laica che anziché favorire le condizioni di una autentica laicità dello Stato e anziché aprirsi al dialogo con la esperienza religiosa nelle sue espressioni più profonde ed autentiche, si serve delle spinte integralistiche sempre presenti in ogni esperienza religiosa per un obiettivo politico conservatore, per un rafforzamento della identità collettiva, per reagire al confronto con le nuove identità cui le società multietniche sono spontaneamente esposte. Siamo allora di fronte alle posizioni cosiddette “teocon” che trovano spesso la Chiesa permeabile e indifesa di fronte alla illusione di aver trovato nuovi alleati. Allora il contraccolpo è pesante sulla laicità dello stato, sull’apporto delle esperienze religiose alla democrazia e sulla autenticità stessa del messaggio religioso.
Siamo in Italia oggi di fronte alla possibilità reale di un incontro e di una saldatura fra tendenze conservatrici laiche e spinte integralistiche di matrice cattolica? E’ questa la domanda e, più che la domanda, l’ipotesi formulata da molti commentatori all’indomani del recentissimo referendum sulla fecondazione assistita.
In realtà un incontro del genere è sempre possibile e si è numerose volte manifestato nella storia dell’Europa cristiana. Qualcosa di analogo si manifesta negli Stati Uniti, dove più che a un incontro fra realtà diverse si assiste al fenomeno di una forte influenza di gruppi fondamentalisti cristiani (non cattolici) sulla politica repubblicana. Si può stabilire fra le due sponde dell’Atlantico un fenomeno di risonanza...
Ma è a mio avviso del tutto fuori della realtà legare queste ipotesi all’esito del referendum: l’effetto mobilitante dell’appello cattolico alla astensione, sostenuto dai cosiddetti “teocon”, è stato assai relativo se è vero che il 20% dei cattolici praticanti sono andati a votare in una percentuale cioè assai vicina a quella dell’intero elettorato. L’astensione massiccia assai più che risposta all’appello cattolico è stata espressione spontanea e ragionevole del rifiuto di rispondere, in quesiti difficilmente comprensibili, a problemi di naturale competenza del parlamento.
Dunque non si confondano i problemi: non si cerchi in una questione di grande respiro culturale quale quella del rapporto fra religione e democrazia e della laicità, non priva di problemi ma ancora aperta a grandi e positivi sviluppi, una copertura a evidenti errori di valutazione politica che la sinistra nel suo insieme ha compiuto.