Il sacro bene della società
FILIPPO GENTILONI
In prima pagina una decisa ripresa del sacro. La
secolarizzazione in crisi; le religioni in pieno vigore. Non soltanto per le
folle in Vaticano in occasione della fine e dell'inizio di un pontificato. Non
soltanto per l'abbondanza di titoli e di spazio nei mass media. Anche per
l'importanza del «fatto religioso» nella politica mondiale: in Europa, ma
soprattutto negli altri continenti. Una ripresa che pochi prevedevano, anche se
è indubbiamente collegata con la crisi dei «grandi racconti». Siamo sempre alla
ricerca delle risposte fondamentali sulla nascita, la vita, la morte, quelle
risposte che le religioni sono pronte a fornire, soprattutto se altri «palazzi»
non le danno.
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Una ripresa certamente ambigua,
anche perché ai segnali positivi se ne aggiungono altri indubbiamente di segno
opposto. Una discussione che dovrà continuare, ma sulla quale si può forse porre
qualche punto fermo. Nonostante le contraddizioni.
Il tipo di religione in auge,
prima di tutto. Si diffonde sempre più una religione del tipo «fai da te». Si,
dunque, al bisogno di salvezza, forse di trascendenza, di un «oltre», di un di
più di felicità. Si anche alle aperture verso gli altri. Ma no ai dogmi
precisamente definiti, e no alle imposizioni di tipo etico, soprattutto se di
etica sessuale. Ciascuno accetta quello che gli sembra più opportuno,
soprattutto più utile alla vita quotidiana. Per questa vita quotidiana - la sua
pace, la sua felicità - la religione è chiamata ad essere utile, non per una
eventuale altra vita. Questa non viene negata, ma neppure sottolineata.
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In altri termini, più
religione e meno chiese. Non si da importanza, quindi, ad una appartenenza a un
gruppo, a una comunità. Un atteggiamento che evidentemente lascia spazio proprio
a coloro che esaltano il gruppo, la «chiesa»: i gruppi si moltiplicano, ma
rimangono minoranze, anche se saranno sempre più determinanti per la vita del
sacro. Determinanti, ma non maggioritari.
La maggioranza delle
religioni, invece, si orienta sempre più decisamente verso qualche tipo di
religione «civile». Una religione, cioè, utile al bene comune delle società in
cui si trova a vivere: le aiuta, le sorregge, cerca di impedirne le deviazioni.
Mentre le benedice, le sostiene: da sole non ne avrebbero le forze. Un incrocio
fra i ministeri degli interni, della sanità, del lavoro, ecc.
Fa parte della
religione civile la dichiarazione di insufficienza della laicità. Il modello,
non unico, è quello degli Usa, con il loro In God we trust (ma qualche
cosa del genere diceva anche il nazismo: un accostamento significativo). Nel bel
volume La religione nel mondo contemporaneo (Il Mulino) Alan Aldridge
conferma e precisa: «La religione civile è una dimensione religiosa pervasiva
della vita politica americana, esistente indipendentemente dalle chiese».
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Di questa religione
civile, che dagli Usa arriva in buona parte del mondo cristiano, si occupa la
sociologia molto più della teologia. Le discussioni su Dio, l'al di là, il bene
e il male non sono così importanti: conta maggiormente la fotografia
dell'esistente, con i suoi bisogni e le sue possibilità. La verità, che per
secoli è stata al centro delle religioni e delle sue dispute, non viene
dimenticata ma certamente accantonata: a favore della felicità.
E' con questa religione
che tutti, oggi, credenti e non, ci piaccia o meno, dobbiamo fare i conti.
Il manifesto 26/06/05