Rifiuto evidente

Nel momento in cui la Francia discute sull'identità nazionale in un clima politica propizio a tutti gli
sbandamenti, e in cui si interroga sulla proibizione del burqa nello spazio pubblico, la votazione
svizzera è un segnale d'allarme che interpella tutta l'Europa.
Un'Europa in cui l'islam è, come in
Francia, la seconda religione. Il 29 novembre, in Svizzera, una netta maggioranza di votanti si è
pronunciata in favore della proibizione di costruire dei minareti.
Questo rifiuto evidente dei simboli visibili di una religione, che troppo spesso ancora dei
musulmani europei devono praticare in condizioni indegne, va ben oltre la Svizzera.
In Belgio, nei
Paesi Bassi, in Danimarca, dei populisti di ogni tipo applaudono e vogliono ispirarsi all' “esempio”
svizzero. In Francia, il Front National, sempre a caccia delle paure che potrebbero essere il loro
miele elettorale, non nasconde la propria gioia.
Il voto svizzero equivale all'edificazione di un nuovo muro in un'Europa che tuttavia fa della
tolleranza uno dei suoi valori primari
. Un muro di diffidenza, di ignoranza, di timore che
simboleggia il rifiuto dell'altro, quando pratica una religione che è stata raffigurata accomunandola
alle peggiori fantasie e a cui si chiede, nel migliore dei casi, di essere invisibile.
Da una decina
d'anni, l'attualità internazionale ha favorito la stigmatizzazione dell'islam, abusivamente confuso
con l'islamismo, l'estremismo, ossia il terrorismo. La crisi ha innalzato ostacoli ulteriori alla
necessaria integrazione dell'islam in Europa. Essa amplia sempre più il terreno favorevole agli
adepti del ripiegamento su se stessi e dell'intolleranza.
Bisogna uscire dalle caricature e dalle assimilazioni vergognose. L'Europa, che negozia ancora con
la Turchia sulla sua eventuale adesione, deve condurre una riflessione sul posto dell'islam
. L'identità
europea, è anche il riconoscimento delle religioni, che va di pari passo con la difesa della laicità.

Questo vale anche per la Francia, dove troppo spesso si è ancora al limite della stigmatizzazione
dell'islam. Il rifiuto dei segni visibili di questa religione rischia di alimentare l'estremismo e il
ripiegamento comunitario, con tutte le derive pericolose che questo può provocare. La costruzione
di luoghi di culto degni – in corso di realizzazione in diverse città, come a Strasburgo o a Marsiglia,
dove sarà costruita la più grande moschea in Francia – può solo confortare gli sforzi di integrazione
della comunità musulmana. Il rispetto della legge del 1905 sulla laicità di cui Nicolas Sarkozy
auspicherebbe l'adattamento, non ammette nessun finanziamento pubblico. E impone anche il diritto
di praticare tutte le religioni.

editoriale      Le Monde  2 dicembre 2009

 

 

 

Se l'Islam fa paura agli ignoranti


La democrazia diretta, praticata nella Confederazione elvetica, è a volte fonte di aberrazioni. È
accaduto domenica: il referendum contro i minareti ha ottenuto più del 57 per cento dei sì. Che cosa
vuol dire? Che si accolgono volentieri i musulmani in territorio svizzero, purché si rendano
invisibili, discreti fino a scomparire dal paesaggio. E rinuncino a erigere qualsiasi segno o simbolo
che ostenti la loro presenza.

Vuol dire che l'islam continua a far paura. E che questa diffidenza, questa fobia è basata
sull'ignoranza
. I manifesti diffusi dai fautori della campagna referendaria sono abbastanza
eloquenti: raffigurano minareti neri a forma di missili, piantati su una bandiera svizzera accanto a
una donna in burqa. Per quanto si sia detto e ripetuto che il burqa - usanza di certe tribù afgane o
pachistane - non ha nulla a che vedere con l'islam e non è mai menzionato nei suoi testi, c'è sempre
chi continua a confonderlo con una religione.
Quel manifesto è al limite del razzismo: suggerisce idee e minacce che il buon cittadino percepisce
come un avvertimento
. Quanto al voto, non risolverà nulla, ma al contrario non farà che accentuare
i contrasti tra la comunità musulmana, diversa e simile, e gli elvetici.
Sopprimere i minareti vuol dire attaccare un simbolo che è il segno di una presenza, e non ha in sé
nulla di aggressivo, né di politico. E in nessun caso incide sui «diritti fondamentali in Svizzera»,
secondo quanto afferma il partito della destra populista.
Come ha detto alla televisione francese una giovane musulmana: ieri il velo, oggi il burqa, ed ecco anche il minareto!

È vero che il disagio esiste: l'islam, anche quello pacifico - peraltro maggioritario
- continua a dar fastidio. Meglio allora riprendere i testi e non ascoltare i falsificatori, i provocatori
che utilizzano il dogma per istigare all'odio tra i popoli.
Con quest'attacco ai minareti, la Svizzera prende di mira il simbolo di una religione che vorrebbe
far scomparire dal proprio contesto
. Ma il referendum, lungi dal raggiungere il suo scopo, non fa
che esacerbare le passioni, anche al di là dei confini elvetici. In Francia, il Fronte nazionale ha
applaudito all'esito del voto e si augura di poter esercitare un giorno questa forma di democrazia
diretta e popolare per esprimere il rifiuto dell'islam in Francia.
Dello stesso ordine è il dibattito italiano sul crocifisso nelle scuole: un simbolo che non fa male a
nessuno, ma nel momento in cui si vuole caricarlo di altri messaggi tutto si complica e si politicizza.

Come nel caso del dibattito francese sull'«identità nazionale», che arriverà anche in Italia. Questa
questione dell'identità si pone dal momento in cui si avverte un cambiamento nei colori e nelle componenti del paesaggio umano di un dato Paese.

È una questione che riguarda tutta l'Europa,
perché dovunque l'immigrazione è una realtà, e i figli degli immigrati sono europei, talora
musulmani ma anche animisti o senza religione. Bisogna pure accettarla, questa realtà. Non serve a
nulla organizzare votazioni per eliminarla dal paesaggio o correggerla. Evidentemente, la
convivenza è qualcosa che si impara.
E questo è possibile solo nel rispetto reciproco, che è anche
rispetto delle leggi e del diritto.
Infine, un ultimo punto: gli immigrati e i loro figli non se ne andranno. Fanno parte della storia
europea. Sono persone che hanno bisogno della propria cultura, del proprio culto, come qualunque
cittadino di accertate origini europee.

Tahar Ben Jelloun    la Repubblica 1° dicembre 2009


 

 


Non solo minareti, ma qualcosa di più


Il procedimento è sotto diversi punti di vista tipicamente svizzero, e in quanto tale non facilmente
trasferibile in altri paesi. Innanzitutto per il fatto che nessun altro paese scriverebbe nella sua
Costituzione la frase “La costruzione di minareti è proibita”
. Ciò che in altri paesi nel migliore dei
casi è di competenza di leggi subordinate o di disposizioni attuative, in Svizzera può essere fatto
scrivere nella Costituzione per iniziativa referendaria.

Tipicamente svizzeri sono anche i ricordi che sorgono per questa iniziativa referendaria. Quando
venne tolto nel 1973 uno degli ultimi articoli eccezionali della Svizzera, la proibizione ai gesuiti.
Se
ciò allora non fosse stato fatto, avrebbe potuto causare alla Svizzera problemi a livello
internazionale. Ed ora quindi si percorre nuovamente la stessa via – ed anche i problemi si
presenteranno, come si può ben capire.

Tipico della Confederazione è del resto il fatto che con questa iniziativa naturalmente non si intende
solo puntare ai minareti, ma a qualcosa di più. Iniziative di questo genere vogliono scuotere
l'opinione pubblica e cambiare le opinioni. In ultima analisi si trattava per i propugnatori di questo
referendum di mostrare uno scenario minaccioso di pretese in termini di potere politico-religioso e
fare quindi politica. L'iniziativa di domenica scorsa è solo un primo passo.

Ma per quanto l'iniziativa dei minareti appaia tipicamente svizzera, la cosa non può lasciare nessuno
tranquillo anche al di fuori della Svizzera
. Anche la fondata prospettiva che questa decisione
giuridicamente non venga mantenuta, non migliora le cose. Il tema affrontato riguarda stati d'animo
e problemi che si possono trovare anche in tutti i paesi vicini e che rappresentano una sfida senza
pari per la politica, la società, la religione e la cultura. Il tema integrazione e pluralità religiosa non
deve essere lasciato a coloro che in definitiva vogliono solo metter fuoco alle polveri.
Ad esempio,
non bisogna lasciare spazio a posizioni che consapevolmente e sistematicamente non distinguono
tra islam ed estremismo islamico. E la libertà religiosa o è piena o non esiste. Proprio i cattolici lo
sanno molto bene in Svizzera.
 

Klaus Nientiedt      in “Konradsblatt” (settimanale dell'arcidiocesi di Friburgo)  n° 49 del 6 dicembre 2009