Il ricatto di don Gelmini
Le vie del Signore sono infinite, mentre quelle di Don Piero Gelmini
sono poche ma buone, e portano tutte dritte dritte ad Amelia,
provincia di Terni, dove ha fondato la “Comunità Incontro”, casa
madre di oltre 200 comunità nel mondo. E in effetti, di incontri nel
regno incontrastato di Gelmini se ne possono fare parecchi, e di
interesse più che rilevante per l’andamento del nostro paese, ogni
giorno che passa sempre più terreno di conquista di una chiesa
tornata ai fasti migliori dell’epoca delle crociate: ma la conquista
degli infedeli italiani, stavolta viene intrapresa a colpi di
inaccetabile collateralismo con i poteri teoricamente laici dello
Stato. Questo almeno è quanto emerge da un’intervista, rilasciata al
maggior quotidiano nazionale dal prete nato a Pozzuolo Martesana nel
1925, sacerdote dal 1949, che pensavamo (e speravamo) in questi
giorni venisse se non smentita, almeno edulcorata in alcuni suoi
passaggi apparsi francamente pesanti e difficili da digerire, almeno
per chi pensa di aver già subìto sufficienti ingerenze
ecclesiastiche nella storia del proprio paese. Invece, neanche una
parola sulle dichiarazioni rilasciate a commento della nuova legge
sullla droga, nelle quali don Piero si lascia andare a confidenze
degne di una camera caritatis torbida e oscura, dagli inquietanti
risvolti pseudo-massonici. Sembra infatti che al momento della votazione in parlamento, il telefono di (don) Pierino la peste abbia cominciato a squillare all’impazzata, per ricevere i complimenti commossi di numerosi esponenti del Palazzo, da Gasparri a Buttiglione, passando per Cutrufo e, naturalmente, per il (demo)cristianissimo e (forza)italiota Giovanardi. Sì, perché il vero demiurgo di questa ennesima norma repressiva partorita dalla maggioranza in zona Cesarini, approfittando dell’urgenza del decreto sulle Olimpiadi, è stato proprio lui, don Gelmini, servito e riverito da una fitta schiera di politici di centro-destra, desiderosi di accontentarlo prima della fine della legislatura, così da rispettare un patto siglato addirittura nell’anno della discesa in campo dell’Unto dal Signore: “Quando scese in politica, nel ’94, Silvio arrivò qui con i capi di centrodestra, e io feci sottoscrivere a tutti un documento per sostenere che ogni tipo di droga andava vietata. Lo scrisse Buttiglione, altri lo firmarono qui, su questo tavolo. Oggi l’obiettivo è stato raggiunto”. Dunque potente e tenace il nostro prete, che non si è lasciato infiacchire dalla caduta del primo governo-Berlusconi, tessendo con pazienza la tela della sua legge antidroga sino alla vittoria, bissando il successo incassato all’epoca della prima modifica voluta da Craxi circa vent’anni prima, come conferma quest’altra affermazione: “Le radici di entrambi le leggi antidroga sono state piantate qui, ad Amelia...Craxi aveva ancora idee libertarie, gli ho parlato a lungo, si è convinto, e ha combattuto la buona battaglia che ha portato alla legge allora chiamata Iervolino-Vassalli”. A dir poco agghiacciante; ma il meglio, anzi il peggio, deve ancora venire, perché alla fine della sua generosa confessione, don Gelmini ci regala la chiusura col botto. “In questi quarant’anni sono passati dalle nostre comunità 300 mila ragazzi solo in Italia. Salvare un figlio dà un certa influenza sulla sua famiglia (!). Sono tre milioni le persone cui posso arrivare. Berlusconi lo sa, e mi dà retta”. Detto questo, rimane soltanto pregare che il bravo Don Gelmini, prima di questa intervista, si fosse fatto una bella canna, con principio attivo fortemente elevato. Altrimenti siamo nei guai fino al collo.
AprileOnLine n.99 del 10/02/2006
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