Revisioni storiche
Porta Pia e il senso del ridicolo
Può essere? A prima
vista almeno no, non può capitare che il generale dei Granatieri Antonio Torre,
commemorando il 138˚anniversario della Breccia di Porta Pia, taccia sui 49
caduti italiani.
E che lo stesso generale legga invece uno ad uno i nomi dei 19 caduti papalini.
Però è successo.
E' successo pure, se è per questo, che il vicesindaco Antonio Cutrufo, che
rappresentava alla cerimonia il sindaco di Roma Gianni Alemanno, non abbia
provato a porre riparo alla dimenticanza, chiamiamola così, del generale,
probabilmente perché nemmeno se ne è accorto; e che il succitato Alemanno,
almeno a stare alle sue dichiarazioni, abbia fatto mostra di non essersi accorto
neanche lui della gaffe. Sempre che soltanto di una gaffe si sia trattato, e che
anche questa vicenda, in sé alquanto grottesca, non ci segnali, al pari di varie
altre succedutesi nelle ultime settimane, qualcosa di più complesso e di più
preoccupante. Sembra pensarla così Giovanni Sabbatucci, intervistato ieri dal
Corriere, che si chiede, ironicamente ma non troppo, se, andando avanti di
questo passo, d'ora in avanti il 4 novembre saranno ricordati i caduti delle
truppe austroungariche a Vittorio Veneto. E non è il primo a porsi domande di
questo tipo. Già nei giorni scorsi, all'indomani delle improvvide affermazioni
del sindaco Alemanno e del ministro La Russa sul fascismo male più o meno
assoluto e sull'amor di patria dei ragazzi di Salò, Emilio Gentile si era
interrogato (anche lui facendo ricorso, si capisce, all'ironia) su che cosa
possiamo aspettarci, di qui a poco, dalle celebrazioni del centocinquantesimo
anniversario dell'Unità d'Italia: un sofferto omaggio a Metternich e Cecco
Beppe, magari?
Sabbatucci e Gentile sono due storici di vaglia, e non fanno parte in alcun modo
delle schiere degli indignati in servizio permanente effettivo, sempre pronti a
lanciare denunce accorate contro gli infami disegni di chi, si dice, vorrebbe
procedere a buttare giù tutto, oggi la Resistenza, domani il Risorgimento,
dopodomani chissà. Quello che ci segnalano è però forse più preoccupante di
un'offensiva politica e ideologica, o di un consapevole tentativo di spingere il
revisionismo storico verso lidi fino a qualche tempo fa letteralmente
inimmaginabili, sottoponendo ad aperta e radicale contestazione certezze più o
meno consolidate e miti fondativi della storia nazionale. Per restare al 20
settembre, l'ultimo caso in ordine di tempo: forse gli ultratradizionalisti di
Militia Christi, gli unici ad esultare, sarebbero ben contenti anche della
restaurazione del potere temporale dei papi, e di certo non escludono che, con
l'aria che tira, la questione possa in qualche modo tornare di attualità. Ma
tenderemmo ad escludere che il generale, il vicesindaco e il sindaco di Roma
siano dei nostalgici del Papa Re. E' molto più probabile, piuttosto, che
siano ad un tempo vittime e propagatori di una nuova, e diffusa, malattia
nazionale, il cui sintomo più evidente è la caduta del senso del ridicolo.
Una caduta così vistosa che pochi si sorprendono se agli aspiranti infermieri
specializzati, come ci ha ricordato sabato sul Corriere Paolo Macrì, viene
chiesto di pronunciarsi in sede di esame sulla tesi di Alberto Asor Rosa,
secondo il quale il fascismo sarebbe stata cosa ben più alta e nobile del
berlusconismo; e nessuno si meraviglierebbe troppo se qualcuno saltasse su a
segnalarci la buona fede degli zuavi di Pio IX che restarono fedeli a costo
della vita alla consegna pur sapendo che la causa dello Stato pontificio era
votato alla sconfitta.
Forse (forse) il generale, il vicesindaco e, seppure in forma indiretta, il
sindaco di Roma hanno semplicemente creduto, celebrando i soldati del Papa nel
giorno della Breccia di Porta Pia, di interpretare lo spirito di marmellata dei
tempi. Secondo il quale, essendosi fatto tutto assai vago e incerto, il modo
migliore di cavarsela è quello di rendere omaggio alle buone ragioni che, c'è da
giurarlo, dovevano pure albergare in fondo al cuore di ciascuno, quali che
fossero la causa e la bandiera per cui militava. Forse (forse) il generale, il
vicesindaco e, seppure in forma indiretta, il sindaco di Roma hanno
semplicemente pensato di uniformarsi alla logica che sommariamente definiamo
bipartisan, estendendola dai rapporti politici tra maggioranza e opposizione sui
grandi problemi nazionali aperti alla storia patria, questione romana compresa;
e solo per eccesso di zelo bipartisan si sono ricordati degli zuavi, ma hanno
dimenticato i bersaglieri e i fanti. Capita. Può capitare. Non è il caso di
farne un dramma o, Dio ci scampi, di chiedere, a mo' di risarcimento, che il 20
settembre torni ad essere festa nazionale: in fondo 138 anni fa si è solo
realizzato il sogno di generazioni e generazioni di italiani. Ma non è
nemmeno il caso di dimenticare che di ridicolo si può anche, e ingloriosamente,
morire.
Paolo Franchi Corriere della Sera 22.9.08