Religioni senza pace
Teoricamente la religione si oppone alla violenza, nasce dall’amore per Dio e
dovrebbe promuovere la pace. Ma nella storia le cose non sono andate così, e a
regnare è stata l’intolleranza. Senza tolleranza e senza rispetto per i diritti
di chi è diverso da noi, i conflitti e le guerre sono inevitabili. In passato le
cose sono andate così, e probabilmente andranno così anche in futuro, come
Samuel Huntington ha profetizzato nel suo libro «Lo scontro delle civiltà e il
nuovo ordine mondiale»; a meno che, per la sopravvivenza dell’umanità e
attraverso una rivoluzione delle mentalità delle religioni, a prevalere siano il
dialogo e la convivenza pacifica.
Le grandi religioni monoteistiche sono caratterizzate dall’amore nei confronti
di un Dio che a quanto pare è lo stesso per tutte loro, e tutte parlano
dell’amore per il prossimo. Ma chi si deve intendere per “prossimo”? Anche gli
infedeli e gli eretici?
Dato che si tratta di religioni rivelate, ognuna è portatrice di una sua verità.
È per questo che a volte il dialogo interreligioso è difficile - ma non
impossibile, come è stato dimostrato dalla storia più recente.
I fedeli di una religione possono essere gli infedeli per chi professa un altro
credo. E poi ci sono gli eretici. Ancora più difficile è il dialogo tra credenti
e non credenti, che si tratti di agnostici o di atei.
In passato si ricorreva regolarmente ai conflitti interreligiosi o alle guerre
per “convertire gli infedeli”, come nel caso delle crociate. Ovviamente ci
furono anche eccezioni, tra cui il califfato di Cordova, in cui nel XII e XIII
secolo cristiani, ebrei e musulmani convivevano e dialogavano in pace.
La separazione tra Stati e chiese e la difesa del pluralismo religioso sono idee
moderne che risalgono alla nascita degli Stati secolari in Europa.
La cultura dei diritti umani e della pace come beni supremi è fondamentale in un
mondo globalizzato per assicurare il rispetto per gli altri e mettere freno al
fanatismo e alla violenza religiosa.
In passato i vinti di una religione, in Europa e negli altri continenti, erano
obbligati a una falsa conversione. Oggi il fondamentalismo religioso - islamico,
evangelico o ebraico - scatena guerre “sante” per eliminare chi non professa il
suo credo.
Razionalmente non esistono né potranno mai esistere “guerre sante”. D’altro
canto è chiaro che anche se le guerre sono chiamate “sante” a scatenarle non
sono solo ragioni religiose: ci sono altri motivi, come la povertà, le
disuguaglianze sociali, i nazionalismi, i ritardi culturali, l’umiliazione dei
dominati.
È qui che si inserisce il problema dell’unilateralismo e in particolare il
tentativo di emarginare l’Onu e la controcultura delle guerre preventive. Si è
detto che è stata una risposta al terrorismo islamico emerso brutalmente l’11
settembre 2001, che ha dimostrato la vulnerabilità della superpotenza dominante.
Ma indubbiamente è stata la risposta meno intelligente e meno adatta per un
fenomeno complesso come il terrorismo. Il terrorismo deve essere combattuto, ma
senza mettere in questione i diritti umani e la loro universalità.
La coscienza di muoversi su un terreno scivoloso e irto di pericoli per la pace
mondiale ha spinto il presidente spagnolo Rodríguez Zapatero e il primo ministro
turco Erdogan, con il sostegno del segretario generale delle Nazioni Unite, a
lanciare l’iniziativa dell’Alleanza delle civiltà (che era stata precedentemente
suggerita dall’ex presidente iraniano Kathami).
Nonostante tutte le iniziative di buona volontà e i dialoghi ecumenici nati in
diversi orizzonti, i fanatismi religiosi si sono esacerbati e non lasciano
presagire un futuro di pace.
Per questo è un dovere morale lottare contro qualsiasi espressione di violenza e
imparare a costruire, globalmente, una cultura di pace. Le religioni devono
dialogare per aprire strade di comprensione e coesistenza pacifica.
La violenza è nefasta per le religioni, a breve e a lungo termine, è lo è anche
per il rapporto tra credenti e non credenti che per forza di cose convivono
nelle nostre società moderne.
È importante ricordare come l’anticlericalismo abbia perso la sua aggressività
di pari passo con l’affermazione della separazione tra lo Stato e le chiese.
Un mondo senza violenza: potremmo cominciare ad avvicinarci a questa magnifica
utopia del ventunesimo secolo se solo fossimo capaci di controllare tutte le
espressioni di violenza che ogni giorno entrano nelle nostre case con la
televisione, i film e internet, e se le chiese, tutte le chiese, si
convincessero che la lotta per la pace, per i diritti umani e per il rispetto
per la diversità, in un quadro di multiculturalismo e di multilateralismo, è il
modo migliore per esprimere il proprio amore per Dio.
Mario Soares è stato presidente e primo ministro del Portogallo, e attualmente
presiede la Commissione per la libertà religiosa del Portogallo
copyright IPS traduzione di Sara Bani
Mario Soares l’Unità 11.12.07