Religione e politica. La caccia ai "voti del cielo"
L’elettore cattolico e la sua prossima scelta sono al centro di una battaglia
senza esclusione di colpi tra teo-con, teo-dem, pro-life, atei devoti,
post-clericofascisti... Uno scontro dalle radici antiche che riecheggia il 18
aprile 1948 con le sue Madonne pellegrine, i frati volanti e il motto inventato
da Guareschi: "Nell´urna Dio ti vede, Stalin no"
Suggestione meta-elettorale per gli aspiranti teocrati delle varie e numerose
specie, teo-con, teo-dem, pro-life, atei devoti, cattolicanti centristi, post
clericofascisti, tradizionalisti padani: rimboccarsi le maniche e costruire
tutti insieme una grande chiesa, una basilica, «pegno solenne di perpetua pace
fra l´Italia e la Chiesa, nuova testimonianza della profonda cattolicità della
nazione». Perché nelle pieghe della storia, meglio se in quella minore e perfino
in quella incompiuta, non di rado pare di cogliere barlumi di attualità.
E così, come ha scoperto anni orsono uno studioso attento come Giovanni Tassani,
l´idea di erigere un tempio alla Conciliazione fu effettivamente lanciata nel
1954, con tanto di bozzetti e sopralluoghi, da una compagine di cattolici che le
sacre immagini e i valori della Cristianità avevano messo sui loro stendardi. O
forse sarebbe meglio dire gagliardetti, dal momento che l´animatore
dell´iniziativa, il giovane e brillante conte Vanni Teodorani, fondatore della
Rivista Romana, era certamente stato e forse a quei tempi continuava a ritenersi
fascista. Ma dietro di lui c´erano soprattutto cattolici, e anche ecclesiastici
illustri e già influenti come il padre gesuita della Civiltà cattolica Tacchi
Venturi.
Strano a dirsi, ma l´enorme basilica nazionale e teocratica sarebbe sorta a Saxa
Rubra, «la località in cui Costantino ebbe la visione della Santa Croce, sicuro
auspicio di vittoria», si legge, tipo depliant, sulla Rivista Romana. Il
progetto fu affidato alla cupa esuberanza baroccheggiante dell´architetto,
nonché accademico d´Italia, Armando Brasini che certo non trascurò il motto
apparso all´imperatore: «In hoc signo vinces», e infatti alla sommità del tempio
svetta una colossale croce di marmo. Quella che si affacciava dallo scudo della
Dc, evidentemente, non bastava a soddisfare l´esigenza dei valori religiosi
nella vita pubblica.
Ora, a volte si è tentati di raffigurare la storia come una grande scala nella
quale ogni nuovo pianerottolo raggiunto evoca inesorabilmente non quello appena
lasciato, ma il penultimo. E questo un po´ vale anche per la partecipazione e il
consenso elettorale dei cattolici, di cui per mezzo secolo almeno la Chiesa e in
seguito la Dc si sono ritenute esclusive depositarie. Ma prima? Ecco: anche
"prima", che poi non è mai un "prima" assoluto, l´antica caccia affannosa ai
«voti del cielo», come li ha designati Massimo Franco (I voti del cielo,
appunto, Baldini&Castoldi, 2000) ricorda per fuggevoli lampi e arcane
corrispondenze questa di oggi, Casini, Ruini, Veltroni, Berlusconi, Bagnasco,
Giulianone Ferrara: voti che ora come agli albori della Repubblica «vivono nel
limbo di una terra di nessuno - come scrive Franco - volatili, volubili,
percorrono strade misteriose, si dividono fra astensionismo e trasformismo,
pattinano lungo tutto l´arco delle nuove ideologie». E delle vecchie e nuove
mistificazioni, viene anche da pensare.
Questo spiega come mai, al di là degli anniversari, sulle elezioni del 1948 si
concentri l´attenzione non solo degli storici, ma anche dei più evoluti studiosi
di comunicazione politica, come Edoardo Novelli che in un libro di prossima
uscita per Donzelli, Te lo ricordi quel 18 aprile, ha riletto «parole, immagini
e strategie» di quella fatidica campagna nella quale l´intervento variegato e
massiccio della Chiesa fu determinante tanto nel risultato quanto nelle forme
espressive della ricerca del consenso.
La grande epopea di Gedda e dei suoi Comitati civici, simboleggiati da due mani
che s´intrecciavano sullo sfondo di un campanile e il motto: «Pro aris et focis»,
per gli altari e i focolari. In poco meno di due mesi, senza mai chiedere
esplicitamente il voto per la Dc la Chiesa riuscì autonomamente a mettere in
piedi una vera e propria "crociata" - «Con Cristo o contro Cristo», aveva del
resto intimato Pio XII - realizzando uno sforzo ideativo e organizzativo ancora
più sorprendente di quello che consentì a Berlusconi di conquistare per la prima
volta l´Italia nel 1994.
Tassani ha studiato l´"Ufficio psicologico" dei Comitati civici, laboratorio
d´archetipi, fucina d´immaginario. Perché ci furono, sì, le madonne pellegrine,
sia pure d´importazione francese, e il "microfono di Dio", come venne chiamato
il missionario gesuita Lombardi; e se è per questo ci furono anche i baschi
verdi dell´Azione cattolica, «Siam gli araldi della Fede» echeggiava nelle
piazze il loro inno, e perfino i "frati volanti", in giro con certi furgoni
dotati di altare e megafono, pronti a interrompere i comizi del Pci. Ma il vero
salto nel futuro fu l´uso di scrittori come Longanesi, cui si deve l´opuscolo
Non votò la famiglia De Paolis o Guareschi, suo il motto «Nell´urna Dio ti vede,
Stalin no»; così come decisivo fu il lancio di illustratori e vignettisti che
produssero manifesti un po´ pulp, ma indimenticabili. O filmati abbastanza
ricattatori come La verità sulla scomunica: una bimba sta per fare la prima
comunione, ma il papà comunista non vuole, né può entrare in chiesa (alla fine
si converte).
Quello cattolico era a quei tempi un elettorato d´ordine, conservatore, anche
reazionario. Più che al Pci si trattava di strapparlo all´Uomo qualunque, che
nel 1947 a Roma aveva superato la Dc. Gedda ci riuscì: e dal Papa, per
ringraziamento, ebbe in dono un orologio. Il paradosso del personaggio è che
all´apice della vittoria cominciò la sua sconfitta. Non credeva all´unità
politica dei cattolici e invece, oltre al pericolo comunista, bene o male la Dc
fu anche capace di contenere, attizzare e neutralizzare questo elettorato
timoroso della modernità, questo popolo di destra naturale ed inespressa. Lo
fece vellicandone gli istinti conservatori, ma anche la paura, talvolta in modo
gaglioffo.
Alle elezioni del 1953, per dire, venne organizzata una mostra itinerante sull´"Aldilà",
cioè sulle persecuzioni ai lavoratori e ai credenti "schiavizzati" nei paesi
dell´Est. Solo che si trattava di immagini false: come si legge ne I cattolici
nella storia d´Italia di Libero Pierantozzi (Edizioni del calendario, 1970) un
operaio di Roma, a nome Nardecchia, si riconobbe tra i perseguitati: «Quello so´
io!», disse. Non che all´Est per i cattolici fossero rose e fiori, tutt´altro,
ma insomma la mostra era più che altro un servizietto "dell´aldiquà".
Per tutti gli anni Cinquanta e oltre, anche perché timorosi di uno sbocco
spagnolo, alla Franco, a partire da De Gasperi i democristiani cercarono con
successo di liberarsi dell´occhiuta tutela ecclesiastica. La basilica a Saxa
Rubra non si fece mai. Vennero piuttosto individuati dei bastioni intoccabili:
istruzione, sanità, carattere sacro di Roma, controllo della cultura, dei
costumi e della tv. È una storia lunga, piena di tappe, sfumature e
contraddizioni, ma in estrema sintesi si può azzardare che il pontificato di
Giovanni XXIII, il Concilio e la lunga stagione di Paolo VI, che i capi dello
scudo crociato conosceva uno a uno avendoli anche difesi dall´integralismo di
Gedda, funzionarono come una specie di benedizione. Intanto, i voti del cielo
erano pur sempre al sicuro.
Ci rimasero si può dire fino al 1974, sconfitta referendaria sul divorzio. Ma a
quel punto nuove generazioni cattoliche buttavano decisamente a sinistra.
Cattolici del No, dissenso, preti operai, scelta di classe, teologia della
liberazione, terzomondismo. Richiami delle gerarchie, moniti anche dal Sacro
Soglio. Insieme con Moro, la Dc perde l´anima. Dura ancora una dozzina d´anni,
quindi si scioglie. Questa è storia di ieri. Quella di oggi non è nemmeno
storia. L´altro giorno Famiglia Cristiana ha pubblicato un sondaggio da cui
emerge che i cattolici - se ancora è congrua la definizione - vogliono più soldi
in busta paga, meno tasse per le famiglie, un po´ più di moralità. Ed è molto
difficile per chiunque non riconoscersi in questi desideri.
E Baget Bozzo
fustigò "il santone" La Pira
Scherza coi fanti e
lascia stare i santi. I problemi semmai, nelle schermaglie politiche e religiose
fra cattolici, cominciano quando i santi non sono ancora tali. Nel 1961 Giorgio
La Pira, oggi candidato agli altari, era sindaco di Firenze e da Palazzo Vecchio
aveva messo in piedi un´ardente e diffusa attività a sostegno della pace nel
mondo: discorsi, viaggi, cerimonie, convegni, anche missioni e mediazioni
segrete presso i «nemici» dell´occidente, sovietici, cinesi.
A quel tempo Gianni Baget Bozzo, che oggi è una specie di cappellano di Forza
Italia e come altri ecclesiastici di rango non disdegna di inscrivere il
berlusconismo in un disegno provvidenziale, non era ancora sacerdote, ma una ex
giovane promessa del dossettismo clamorosamente pentitosi, più che dubbioso
ormai sulla possibilità della Dc di fronteggiare la minaccia comunista, ideologo
e fautore di un risoluto gollismo, prima nell´orbita di Gedda e poi di Tambroni.
C´è anche da dire che La Pira e Baget si conoscevano bene ed erano anche stati
amici ai tempi della "Comunità del Porcellino", il mitico appartamento delle
sorelle Portoghesi a piazza della Chiesa Nuova nel quale erano vissuti Dossetti,
Fanfani e gli altri «professorini» eletti alla Costituente.
Ma le amicizie, si sa, possono a volte risolversi nel loro contrario. Così lo
storico dei movimenti cattolici Giovanni Tassani ha scovato tre «discorsi
controcorrente» che nel 1961 il trentaseienne Baget Bozzo in qualità di
segretario dei "Centri per l´ordine civile", che nel loro simbolo recavano il
motto «Vox clamantis», pronunciò uno all´hotel Bristol di Genova, uno al teatro
Eliseo di Roma e uno al Baglioni di Firenze. Li pubblica nel prossimo numero la
rivista Nuova Storia Contemporanea e un po´ fanno impressione per la
sottigliezza e insieme per la virulenza con cui Baget Bozzo attacca il «falso
carisma» di La Pira dandogli del «santone», del «fariseo», del falsificatore;
sostenendo che è ammaliato da Kruscev e per questo, mistificando le Sacre
Scritture, si è fatto strumento e complice dell´offensiva comunista a livello
mondiale.
Il pretesto di questa resa dei conti a sfondo politico-teologico è la pubblica
proiezione fragorosamente organizzata da La Pira del film del regista francese
Claude Autant-Lara Non uccidere, nonostante fosse stato proibito dalla censura
per apologia di reato in quanto favorevole all´obiezione di coscienza. Accusa
Baget Bozzo: «Si è creato attorno a La Pira uno stato di privilegio
insopportabile. Debbo dire, come cristiano: quello farisaico; cioè quello che
viola la legge non in nome della santità, ma della santonità. Cioè del fatto che
uno, per il fatto che parla di San Paolo, si crede autorizzato, contro le parole
di San Paolo, a disobbedire all´autorità». Chi fa la parte del santone, come nel
caso di Danilo Dolci, «ci guadagna sempre - accusa Baget Bozzo - applausi,
sostegni di stampa, fama di eroe. Il regime del rotocalco ci consente questi
eroi a buon mercato che sono poi dei grandi opportunisti».
Vedi anche il modo in cui La Pira, sulla scorta del profeta Isaia, considera
Kruscev una figura di pace, pure richiedendo a un convegno la presenza del
cosmonauta sovietico Yuri Gagarin. Al quadro internazionale è dedicato
interamente il discorso di Firenze dal titolo: «La Pira o la tecnica mistica del
potere». Nel senso che il sindaco di Firenze, «nuova Gerusalemme» degli illusi,
si sente investito da una rivelazione che lo porta a considerare il kruscevismo
come «il comunismo che si integra nei tempi messianici». Questa visione è tanto
più pericolosa in quanto, secondo Baget Bozzo, influenza la politica estera di
Fanfani che non a caso cerca sponde non solo in Russia, ma anche nel mondo
arabo.
Tutto torna insomma in politica, anche con qualche risonanza nel presente.
Mentre per quello che riguarda la religione, beh, varrà giusto la pena di
ricordare, come fa Tassani, che il 17 dicembre del 1967, quando Baget Bozzo fu
ordinato sacerdote dal cardinale Siri erano presenti Luigi Gedda, Giuseppe
Dossetti e anche Giorgio La Pira, santo o santone che sia stato. (f.cec.)
Filippo Ceccarelli Repubblica 24.2.08