Religione cattolica a scuola: riprendere il passo per la laicità


Deve essere stata la schiacciante percentuale del numero di alunni che preferirebbero insegnamenti come «diritti umani», «Storia delle religioni» e altro all'«ora di religione» a far perdere la testa a qualche insegnante e alla dirigenza, se una sanzione così severa è stata inflitta al professor Marani del Liceo Righi di Cesena.
Sempre più ci meravigliamo del Consiglio di disciplina del Cnpi che dovrebbe comprendere il fior fiore dei docenti, in grado di discernere, che non può certo limitarsi a mitigare la sanzione o a proporre provvedimenti come quello che ha colpito alcuni mesi fa il professor Franco Coppoli per aver staccato il crocefisso dalla parete durante la sua ora di lezione. Ma ciò che nella vicenda di Cesena ci pare degno di nota è la dimostrazione di quanto sia radicata nell'opinione pubblica la concezione che basterebbe un insegnamento formativo «certo» e «programmato» per aver assicurata la laicità della scuola. Come se l'insegnamento della religione cattolica (irc) fosse una materia «normale», sia pure facoltativa, alla quale giustapporre altri insegnamenti considerati alla sua stregua. Ciò ci dà la misura di quanto ci siamo allontanati dalle battaglie di principio dei primi anni dell'entrata in vigore del nuovo Concordato (1984), che provocarono la famosa sentenza della Corte Costituzionale in nome della tutela del principio di non discriminazione su cui si fonda lo stesso Nuovo Concordato (art. 9).
Quella sentenza (n. 203 del 1989) proclamò infatti lo stato di assoluto non obbligo per tutti coloro che non si avvalgono dell'irc, poiché non ci sono alternative paragonabili, la cui scelta dipende da un'esigenza della propria coscienza (e non dal fatto se vi siano proposte alternative più o meno stimolanti); tale sentenza cancellava di fatto la Mozione parlamentare del 1986 che aveva considerato «opzionale» la scelta facoltativa dell'irc prevedendo per i non avvalenti un insegnamento alternativo «certo», in un certo senso «equivalente». La richiesta di attività formative, preventivamente predisposte dal Collegio dei docenti, incontra oggi il favore di molti genitori e anche di studenti, se l'offerta è interessante. Si torna così alla visione pragmatica della Mozione del 1986, poiché contrariamente al principio sancito dalla Corte costituzionale, tale offerta viene messa in alternativa all'irc.
Questa procedura, ammesso che le scuole riescano a metterla in atto, non salvaguarda comunque il principio di non discriminazione, poiché resta lo scoglio della valutazione. Chi - in piena legittimità - rifiuta una qualsiasi attività formativa in alternativa all'irc, uscendo dall'edificio o non svolgendo alcuna attività, continua ad essere penalizzato non avendo il voto di un docente nel Consiglio di Classe. Un esempio evidente lo abbiamo nella vicenda dei crediti scolastici nell'ammissione all'Esame di Stato, assegnati anche al docente di religione cattolica e di attività alternativa, nei pur rari casi dove essa sia stata attivata su richiesta.
Ma c'è un altro risvolto. Il nuovo Regolamento predisposto dal ministro Gelmini non prevede più la presenza del docente di attività alternative del Consiglio di classe, ma solo una sua breve nota informativa relativa all'insegnamento e al profitto. Protestano, ovviamente, genitori e qualche sindacato, poiché il campo è lasciato libero al docente di religione. Paradossalmente questo provvedimento avrebbe un lato buono, anzi due: la cancellazione della discriminazione all'interno delle diverse scelte dei non avvalenti e l'emergere - con luminosa evidenza - della discriminazione tra coloro che seguono l'irc e hanno un apposito docente e appositi programmi e tutti gli altri.
Non sarebbe il caso, considerati i tagli che rendono ancor più difficile l'organizzazione di attività alternative già oggi scarse, di riprendere la battaglia per una collocazione dell'irc all'esterno dell'orario scolastico obbligatorio, rifiutando la sua omologazione alle altre materie con l'istituzione di alternative curricolarizzate, in nome del principio di non discriminazione? Non sarebbe questo un passo importante per una scuola almeno un po' più laica?

 Antonia Sani    Il manifesto 12 06  2009