Religione. Col nuovo compendio del catechismo presentato martedì, la Chiesa di Benedetto XVI torna ad essere ''Magistra'' e rinuncia al ruolo di ''mater'' |
Il vademecum del professor Ratzinger Pagine 208, euro 18. Un investimento tutto sommato modesto, pur nella difficile congiuntura economica, per portarsi a casa un agile vademecum su cosa bisogna fare e cosa no per vivere cristianamente, anzi cattolicamente, anzi, va da se, rettamente. Il nuovo compendio del Catechismo della Chiesa romana, presentato martedì dal papa in modo solenne e diffuso da ieri un po’ ovunque (“persino nei supermercati e negli autogrill”, gongola l’Avvenire) vuole essere, nelle parole dello stesso Benedetto XVI, “una sintesi fedele e sicura”del grande Catechismo promulgato nel 1992 da papa Wojtyla, del quale non costituisce una rilettura, ma una riproposizione in forma sintetica. La Chiesa prosegue la riedificazione inaugurata da Giovanni Paolo II dopo i turbamenti montiniani e postconciliari, rilancia la sua monolitica lettura della dottrina e della storia (la prima vista come “navicella di salvataggio” nei marosi relativistici e un po’ empi della seconda) e torna a riproporre le sue formule nello stile dialogico tanto caro al papa antimoderno per eccellenza, quel Pio X che un secolo fa dava alle stampe il suo catechismo e intanto metteva all’indice Romolo Murri, il modernismo e i movimenti di rinnovamento ecclesiali. La grande cesura nella storia della Chiesa del ‘900, il Concilio Vaticano II, chiedeva di modificare non tanto i contenuti della dottrina, ma le modalità della sua elaborazione e trasmissione. Non più immutabile “depositum fidei” (anche perché in realtà il cattolicesimo novecentesco è più vicino a quello monarchico e “papacentrico” di Pio IX che a quello delle origini) ma soffio di spirito perennemente rinnovabile. Tra gli strumenti ritenuti superati, in quella breve stagione di primavera conciliare, c’era proprio il catechismo, giudicato troppo scolastico, troppo dottrinario e pedante per dialogare col mondo moderno. “Noi siamo convinti del contrario – ebbe a dire nel 2003 l’allora prefetto del Sant’Uffizio Ratzinger – perché per dialogare bene è necessario co noscere la sostanza della nostra fede”. Soprattutto oggi, quando “l’ignoranza religiosa è tremenda”. Torna qui l’immagine più ratzingeriana: quella di un mondo sballottato dai “venti di dottrina”, in cui l’umanità indifesa si è persa, allontanandosi dal Verbo. Un’immagine che nulla concede all’autonomia e alla dignità del credente, alla compartecipazione del laico alla crescita della pianta della Chiesa, come era stata prefigurata dai padri conciliari e dalla stessa tradizione apostolica delle origini. La dottrina di questa Chiesa postmoderna, postideologica e postconciliare (ma quel post si confonde spesso in un pre), non è più il terreno su cui far germogliare la propria fede e la propria coscienza, come scriveva il grande teologo Yves Congar, ma il reticolo in cui disporre le proprie azioni rinunciando “ai dubbi e alle domande perniciose”, per dirla col grande oppositore del Concilio, il cardinal Ottaviani. E affidando al clero e alla gerarchia, con in testa il pontefice, la guida esclusiva e monarchica dell’Ecclesia (che per inciso voleva dire comunità). Uno schema da cui a fatica si scorge il messaggio di Gesù, come sottolinea oggi Massimo Cacciari, secondo il quale ''c'è una dissonanza paurosa tra la vitalità e antidogmaticità dell'annuncio e queste forme di propaganda''. Detto questo, è quasi superfluo richiamare i contenuti del compendio, peraltro non nuovi. L’insistenza sulla bioetica, con l’ennesima condanna all’inseminazione e la fecondazione eterologa. La difesa del matrimonio, della vita, dell’embrione, e la richiesta esplicita allo stato di intervenire in tal senso. Non è una novità neanche l’insolita tolleranza con cui vengono affrontate le questioni della guerra, lasciata al “giudizio prudente dei governanti”, e della pena di morte, non esclusa a priori malgrado le richieste in tal senso giunte in Vaticano da vasti settori del mondo cattolico. Una tolleranza del tutto assente invece nella morale sessuale: sono peccati contro la castità “adulterio , masturbazione, fornicazione, pornografia, prostituzione, stupro, atti omosessuali”. Si potrebbe dire, con un po’ di demagogia, che condannare a morte migliaia di persone o portare la guerra in un paese sovrano (ogni riferimento è casuale) può non essere peccato, ma farsi una toccatina di tanto in tanto si, e non c’è discussione. Ma spaventa soprattutto la sordità e il disprezzo con cui nella cittadella vaticana si lanciano strali contro gli errori e contro gli “erranti”, superando la celebre distinzione caritatevole di Roncalli, che invitava a riaccogliere e ad amare questi ultimi. La Chiesa del professor Ratzinger torna ad essere Magistra, rinuncia al ruolo di Mater così caro a papa Giovanni, e si candida inesorabilmente a ridursi, da faro ideale per le genti (la “lumen gentium” conciliare), a tornare “instrumentum regni”, inutile e barocca legittimazione ideologica per il nuovo impero. [Paolo Giorgi] Da www.aprileonline.info n° 292 del 30/06/2005 |