Il relativismo non c’entra


C’entra il pluralismo etico. La Chiesa, e quindi l’Osservatore romano, hanno sicuramente il diritto di esprimere pareri e formulare giudizi su tutti i fatti e gli eventi della vita pubblica italiana, anche su una sentenza della Corte di Cassazione. Tuttavia potremmo chiedere un po’ più di rispetto per la suprema corte, e insieme un po’ più di rispetto per il pubblico, cioè per noi tutti. Rispetto significa attenersi alla realtà e non fare ad arte confusione tra cose diverse. Nel riaprire il processo sulla sorte di Eluana Englaro, la Cassazione non ha espresso un orientamento all’eutanasia. È assolutamente fuorviante parlare di eutanasia a proposito del rifiuto delle cure: lo scambio, voluto, ha evidentemente lo scopo di proiettare tutta la problematicità dell’eutanasia su una questione molto più semplice e circoscritta, sulla quale il consenso dell’opinione pubblica è tendenzialmente molto più alto, come si è visto nella recente emblematica vicenda di Welby. Non è vero che nella sentenza, e in generale nella spinta attuale al riconoscimento del diritto di rifiutare qualunque trattamento sanitario, comprese l’idratazione e l’alimentazione, si esprima un cedimento all’eutanasia: si tratta solo di prendere atto che oggi la fase terminale della vita solo raramente è un processo naturale, e quindi va riportata nell’ambito della capacità di scelta e della libertà di decidere del paziente, che peraltro è sancita dalla nostra Costituzione. Anche sull’eutanasia volontaria, peraltro, sarebbe possibile e opportuno affrontare un dibattito sereno, come del resto sta avvenendo in molti paesi europei. Tuttavia è chiaro che si tratta di un tema scabroso: lo testimonia la decisione presa dal parlamento spagnolo, compresi i deputati socialisti, di non affrontare oggi una proposta di legge sul tema, presumibilmente per non creare nuove tensioni a poca distanza dalle elezioni politiche del 2008.
La scelta, già sperimentata con Welby, di schiacciare il rifiuto delle cure sull’eutanasia risponde dunque a una logica di battaglia estrema, basata sull’idea che sia in gioco l’umanità stessa e che solo la Chiesa la possa difendere, battendosi contro un supposto relativismo che mortificherebbe la dignità umana. Ma proprio qui si palesa un macroscopico errore di prospettiva. La dignità non è un attributo del corpo biologico, ma sta nella coscienza e nella libertà che costituiscono il destino - spesso tragico - dell’essere umano. Il relativismo non c’entra nulla; c’entra invece il pluralismo etico, che è un fatto e perfino, con buona pace dei cattolici, un fatto positivo. Solo le società teocratiche o totalitarie possono essere omogenee dal punto di vista etico. In regime di libertà è del tutto inevitabile che vi siano diverse etiche, e non una sola. La Chiesa non ha il monopolio dell’etica, e la società moderna non è una società disumanizzata, ma - fortunatamente - una società pluralista: cioè una società in cui si confrontano diverse idee su che cos’è l’umanità e il suo destino. È del tutto normale che la legge e i tribunali riflettano questa realtà.
Il pluralismo in realtà garantisce tutti (compresi i cattolici) senza impedire a nessuno di seguire le proprie convinzioni né di sostenerle pubblicamente criticando e anche combattendo - con le forze della ragione e dell’argomentazione - quelle degli altri. Per questo il pluralismo richiede un solo requisito: il rispetto degli altri, pur nel convinto sostegno delle proprie idee. Quando si fa ricorso a qualunque argomento, pur di avere la meglio, si viene meno a questo rispetto. Confondere il rifiuto delle cure con l’eutanasia, il pluralismo con il relativismo, è un gioco scorretto, che non fa onore a chi lo pratica. E mostra una certa cattiva coscienza: come se si temesse - restando sul terreno del confronto corretto tra diversi modi di pensare - di non avere abbastanza presa sull’opinione pubblica, e forse soprattutto sui suoi rappresentanti politici. È alla politica infatti che si rivolgono queste intemerate. Non ci resta che sperare che la politica sappia rispondere con serenità e con spirito di responsabilità.

Claudia Mancina       il Riformista 19.10.07