Il regno dei
barbari
L’era moderna in Italia è finita, dice Scalfari .Ma la vera domanda è un
altra: sono gli invasori incolti ad aver vinto o è la sinistra ad aver perso?
Eugenio Scalfari, ospite in una trasmissione televisiva per il suo ultimo libro,
ha detto che in Italia l’era moderna è finita e che siamo in un’età
contemporanea abitata e dominata dai barbari. Constatazione
condivisibile ma fino a un certo punto. Chi ha vissuto con strumenti storici la
crisi del vecchio sistema politico del ’92-94 e l’ascesa di Berlusconi non
può dimenticare che sono stati proprio molti “moderni”, di cui parla Scalfari,
a favorire l’arrivo dei barbari con i loro gravi errori a sinistra come,
altrettanto, a destra. E ancora, mentre i barbari ormai impazzano,
assistiamo ai soliti scontri tra moderni che assomigliano ai barbari e ripetono
all’infinito le vecchie lotte di potere, sempre le stesse.
Affronta la contraddizione di questo periodo con armi più leggere, ma per certi
versi più efficaci, un giornalista colto come Piero Dorfles, immaginando di
essere un dinosauro di fronte ai barbari di oggi e scrivendo un saggio assai
godibile che si intitola Il ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura
(Garzanti, pp.205, 18 euro) e che mette in luce l’atteggiamento molto
negativo delle classi dirigenti, soprattutto di governo, sull’istruzione, sull’università
e sulla ricerca, quindi sulla cultura degli italiani.
Da questo punto di vista, vale la pena parlare di un documento
straordinario come il Carteggio Pannunzio-Salvemini 1949-1957 (pp 190) edito
dall’Archivio Storico della Camera dei Deputati, che rievoca l’incontro
felice che si realizza in un periodo difficile, come quello del dopoguerra
caratterizzato da un’aspra guerra fredda in cui è immersa l’Italia, tra lo
storico pugliese Salvemini, appena tornato dal lungo esilio americano per
sfuggire al fascismo, e il giornalista italiano Mario Pannunzio che aveva
ripudiato il passato fascista e credeva a una repubblica democratica come quella
costruita dall’Italia con la Costituzione del 1948.
Le diffidenze iniziali, che pure c’erano state nel primo incontro, erano state
fugate dalla comune volontà delle due personalità che avevano una fede comune
nella democrazia occidentale dopo lo scoppio della guerra fredda e Salvemini
decide di collaborare al Mondo, il nuovo settimanale fondato da Pannunzio che
rappresenta, come osserva a ragione Massimo Teodori nel suo saggio introduttivo,
«la reazione alla crisi della forze di democrazia laica emarginate nel 1948» dal
governo De Gasperi che si preparava a sostenere, con la cosiddetta “legge
truffa” una battaglia mortale il 18 aprile 1948 con i partiti socialista e
comunista costretti dalla guerra fredda a passare all’opposizione anche per la
loro vicinanza all’Unione Sovietica.
In quello scontro la Democrazia Cristiana non vinse, perché la
legge truffa non scattò, ma riuscì a tenere all’opposizione i partiti della
sinistra e si aprì un scontro a lungo termine tra le esigenze costituzionali
dell’opposizione e le ragioni della democrazia repubblicana.
Il settimanale di Pannunzio, a sua volta, tenne diritta la barra tra la
battaglia per i diritti civili e una democrazia avanzata, continuando peraltro a
difendere le ragioni dell’alleanza occidentale contro il blocco orientale e
filosovietico.
Il carteggio è ricco di notizie sulle grandi campagne giornalistiche condotte
dal settimanale per un’Italia consapevole della sua migliore tradizione
democratica e furono alla base di quei convegni del Mondo sulla libera
concorrenza, sui monopoli, sullo Stato imprenditore, sulla corruzione, sulle
interferenze del Vaticano, che avrebbero preparato, assai meglio di altri
dibattiti, la nascita del centro-sinistra e di quella che negli anni sessanta
sarebbe stata, pur con le sue inevitabili contraddizioni, la stagione delle
riforme possibili nella difficile situazione internazionale.
Furono l’espressione di una mentalità illuministica (su cui sono
preziose le Lezioni illuministiche di Enzo Ferrone edite da Laterza (200
pagine, 22 euro) che oggi manca nelle classi dirigenti e che è
all’origine, non soltanto del fanatismo e degli scontri feroci all’interno della
classe politica, ma anche di un tatticismo esasperato che ha sostituito, grazie
al tramonto delle grandi ideologie palingenetiche, il modo di agire dei governi
e dei partiti.
Capita spesso anche a chi scrive di aver nostalgia di quella grande stagione di tre secoli fa in cui un gruppo di illuministi in Francia, ma anche in Italia, superò l’epoca feudale e l’ancien regime e aprì la strada alla modernità e alla democrazia. Ma possiamo sperare, oggi, in un ritorno dell’illuminismo?
Nicola Tranfaglia l’Unità 18.5.10
Scalfari: "Più
dei barbari temo gli imbarbariti"
"Da ragazzo avevo preso di Nietzsche solo la teoria del Superuomo. Oggi lo
vedo come la bomba che mina la modernità"
«La modernità è un epoca, quella che mette in discussione gli assoluti. E
come epoca, è finita». Oggi arrivano i «barbari», che si
definiscono così non in modo spregiativo o limitativo, bensì nel senso che gli
davano i greci antichi: gente, dunque, che parla una lingua a noi
estranea, incomprensibile. Sono «il nuovo che arriva, sono la nuova
epoca». Non «amano leggere libri, non amano la parola scritta. Non contestano,
come facevamo noi, i valori dei nostri nonni e dei nostri padri per cambiarli:
non lo fanno semplicemente perché non vogliono nuovi valori. Vogliono
ricominciare da zero, il che è pure importante. Se li faranno da soli, i
valori».
I barbari, comunque, sono pur sempre «un fattore vitale», mentre ben altra
cosa sono gli «imbarbariti». Oggi ce n´è una molteplicità di «imbarbariti»,
che imbarbariscono i nostri valori. Per questo «li dobbiamo combattere».
Gli «imbarbariti» non sono presenti in Per l´alto mare aperto (Einaudi),
l´ultimo libro di Eugenio Scalfari, che è un viaggio, un´esperienza, dalla
nascita alla decadenza della modernità, intrapresi tra Cartesio e Montaigne,
Spinoza, Kant e Hegel, Diderot e Nietzsche, Ulisse e Don Chisciotte. Il
fondatore di Repubblica, tuttavia, fa emergere l´imbarbarimento in virtù di una
domanda partita dalla platea affollatissima del Salone del Libro di Torino, dove
ieri ha dialogato con Ernesto Franco e Antonio Gnoli.
È un pomeriggio intenso, di riflessioni e d´interrogativi, quello che nella Sala Gialla del Lingotto, davanti a una folla silenziosa e attenta, prende l´avvio dall´avvento della modernità che Scalfari identifica piuttosto che con la scoperta dell´America con Montaigne e i suoi Saggi, sul finire del secolo XVI, in quanto rappresentano «il pensiero che pensa la modernità». La ricognizione si chiude con Nietzsche. La "bomba" innescata da Montaigne nell´universo dell´assoluto e della metafisica, in ogni caso, scoppia quando il filosofo tedesco annuncia che «Dio è morto e noi l´abbiamo ucciso». Rifacendosi a un recente commento del direttore de L´Osservatore Romano, che interpretava da cattolico quell´affermazione sulla morte di Dio, e sul fatto che siano stati gli uomini a ucciderlo, l´autore di Per l´alto mare aperto avverte, pur senza volere intaccare l´autorevolezza del giornalista vaticano: «Nietzsche dice che abbiamo ucciso ciò che abbiamo creato. Siccome noi abbiamo creato Dio, siamo in grado di ucciderlo».
C´è molto Nietzsche nel ragionamento di Scalfari, nel colloquio
con Franco e con Gnoli. Quel Nietzsche che è «una malattia», che spezza «il
centro», l´io irrigidito, e sostiene che è ovunque. Come tutte le malattie, del
resto, ha vari stadi, diversi gradi di lettura. Cambia il nostro modo di
leggere, come dice Montaigne «siamo noi che cambiamo. Io l´ho letto tre volte,
lo leggerò ancora». Racconta che in gioventù lo lesse in una maniera assai
differente da quelle che sarebbero seguite: «Ero allora uno studente fascista,
scrivevo sui giornali del Guf, portavo una stupenda divisa che piaceva alle
ragazze. Un giorno fui convocato dal segretario del partito. Quando fui davanti
a lui mi strappò le spalline, me le gettò in faccia e mi espulse. Restai
sbalordito, credevo di essere fascista. Così mi domandai se era lui a essere
diventato antifascista, oppure se lo ero diventato io. Dico questo perché, a
quell´epoca, avevo letto Nietzsche da fascista: il superuomo che prende il
potere e schiaccia i deboli».
Il pomeriggio con Scalfari si conclude tra domande e applausi. Con quei
«barbari» che «non si possono distruggere perché sono il nuovo che arriva»,
quelle ««isole» dell´epoca della modernità che «resistono, circondate». E con
quegli «imbarbariti» che frantumano i valori che sopravvivono, ma che sono un
buon motivo per combattere un´estrema battaglia di civiltà.
Massimo Novelli Repubblica 17.5.10