RIFLESSIONI PER IL REFERENDUM
A gran voce molti cittadini, dai giornali
ai pubblici dibattiti, accusano Ratzinger e la gerarchia cattolica
di ingerenza rispetto ai 4 referendum. A mio avviso, le cose stanno
diversamente.
Il Vaticano e la corporazione gerarchica cattolica fanno il loro
mestiere e lo fanno con grande impegno. Essi, a livello strutturale,
rappresentano una istituzione di abuso ideologico e spirituale, una
delle centrali
della oppressione delle coscienze.
A mio avviso, questo è sostanzialmente il mestiere che sanno fare
con coerenza e radicalità.
E' comprensibile lo stupore per i toni da crociata, ma la loro
politica, il loro progetto consiste nell'agire e organizzarsi contro
la libertà delle coscienze e contro la laicità.
Una rigorosa analisi della struttura gerarchica ci libera da ogni
illusione. La "retorica dell'embrione"fa parte di questa politica
del dominio. Come credente, vivo la realtà e la pratica di una
"chiesa altra" e mi prendo la motivata e convinta responsabilità di
votare 4 SI........ in compagnia di milioni di donne e di uomini che
cercano di far fiorire la vita fuori dai dictat di un'autorità senza
autorevolezza.
don Franco Barbero
Il prete e il suo fustigatore
"Io andrò a votare, questo è certo. Non so ancora come.
In ogni caso ritengo di dovermi riferire ad un'obbedienza superiore a quella che
devo ai miei pastori:l'obbedienza al Vangelo, e alla mia coscienza illuminata
dal Vangelo"
"Quello di Ruini lo ritengo un intervento volgare, che spero i cattolici alla
fine non ascoltino. Squallido dal punto di vista culturale e ambiguo dal punto
di vista ecclesiale. Più preoccupato del risultato politico finale che
dell'unica cosa che invece dovrebbe contare per la Chiesa: che ogni cristiano
possa decidere secondo coscienza"
don Fabio Masi - da 23 anni parroco di S. Stefano a Paterno (Bagni a Ripoli,
Firenze)
La Repubblica, cronaca di Firenze 4 giugno 2005
Un Capezzone qualsiasi
"Il
solo fatto che Ruini finisca sui telegiornali come un Capezzone qualsiasi
ne svilisce completamente il ruolo."
Daniele Capezzone, Segretario
dei Radicali italiani
Giornale di Sicilia, 8 giugno 2005
Appello di alcuni
docenti della Facoltà teologica valdese di Roma per il voto ai referendum sulla
fecondazione assistita
Fulvio Ferrario, Daniele Garrone, Ermanno Genre,
Martin Hirzel e Yann Redalié, professori della Facoltà Valdese di Teologia di
Roma, hanno reso noto, il 3 giugno scorso, un documento in cui prendono
posizione sulla necessità di andare a votare agli imminenti referendum sulla
procreazione assistita. "Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna
sono d iventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va
a votare", scrivono. Proprio per questo, "è doveroso andare a votare". Di
seguito il testo da loro sottoscritto.
Impegnati da tempo nel dialogo ecumenico ed interreligioso ci sembra importante
dire con franchezza perché non possiamo accogliere il pressante invito della Cei,
rivolto certo in primis ai cattolici, ma anche a tutti i cristiani e a tutti i
cittadini di questo paese, a non andare a votare i 4 referendum relativi alla
legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, il 12 e 13 giugno 2005.
Sulla materia oggetto dei quesiti referendari la nostra Chiesa non ha assunto
alcuna posizione ufficiale, certo non sono mancate significative prese di
posizione a favore dei referendum abrogativi, ma le posizioni non sono unanimi
(si veda il dossier del settimanale Riforma del 27.05.05). Come in altre simili
occasioni, per la formazione della propria convinzione si è preferito
privilegiare un dibattito largo e app rofondito e un libero confronto su
argomenti così essenziali e delicati.
Su un punto però riteniamo doveroso intervenire, cioè sulla decisione libera e
personale presa in coscienza da ciascuno, cardine dell'espressione democratica,
che nei nostri sistemi elettorali viene garantita dalla segretezza del voto. Qui
non è in discussione la legittimità dell'astensione o del non voto; invitare
all'astensione è pienamente legittimo dal punto di vista della legge. La
questione di fondo è però un'altra: essa concerne l'esercizio della libertà di
esprimere la propria personale opinione.
La campagna che si è sviluppata nelle ultime settimane da parte della Cei, sia
attraverso i media sia attraverso una mobilitazione capillare nelle parrocchie,
ha spostato il luogo della decisione fuori dalla cabina di voto. Infatti, se il
significato del non voto rimane ambiguo - può essere motivato dall'indifferenza
totale oppure dalla convinzione più forte -, l'andare a votare, atto palese,
pubblico e no n garantito dal segreto, si carica di un significato chiaro di
disubbidienza all'autorità ecclesiastica (o almeno di non raccogliere l'invito
pressante della gerarchia cattolica).
Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono diventati del tutto
secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare. E questa
situazione in un paese dove la presenza della Chiesa cattolica è capillare, e
tante persone ne dipendono per il loro lavoro quotidiano, rappresenta una
pressione notevole, tale da poter provocare autocensura.
Dialogare in un libero e leale confronto ideale, convincere e farsi convincere,
e lasciare poi la piena libertà di espressione della propria convinzione: tale è
l'invito che vorremmo rivolgere a tutti quelli che hanno una posizione da fare
valere nel dibattito. Anche per questo motivo fondamentale, per noi è doveroso
andare a votare sui quesiti referendari il 12 e 13 giugno.
(Fonte: Adista)
Nel nome di dio
ROSSANA ROSSANDA
E'dal 1948 che la chiesa cattolica apostolica romana non
lanciava le sue schiere contro la laicità dello stato come sta succedendo in
questi giorni, da quando il cardinal Ruini ha suonato la carica. Cinquant'anni
fa portarono in giro fra gli operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni delle
madonne di media grandezza che erano dette «pellegrine». Appena la Dc vinse le
elezioni del 18 aprile le riposero in sagrestia. Alla stessa stregua si ritirava
dalla radio, dove aveva tuonato tutti i giorni, padre Lombardi detto «il
microfono di Dio». Il Papa taceva dopo aver usato l'arma letale, la scomunica,
contro i comunisti e chi li votava. Il cardinal Ruini doveva essere ancora un
fanciullo e Ratzinger cantava forse nel coro della messa in Baviera. Da allora
non s'era vista un'analoga mobilitazione. La Democrazia cristiana non osava
inginocchiarsi in Vaticano un giorno sì e un giorno no, stava più attenta nelle
forme alla laicità dello stato, si comportava insomma da partito cattolico
tornato al mondo dopo i non expedit. Le cose cambiarono venti anni dopo
con i referendum sul divorzio e soprattutto sull'aborto - quest'ultimo chiamato
ad abrogare la 194. Poiché si suppone che le donne seguano il marito o il prete,
e gran parte di destra e sinistra lo dava per perso, la Chiesa non si mobilitò
con la stessa energia, delegando soprattutto al Movimento per la vita di
spaventare la gente portando in giro grandi boccali contenenti feti sotto
spirito. Non ricordo che il Papa scomunicasse nessuno - forse ai preti era
arrivata la direttiva di non assolvere la abortente, ma sono secoli che la
disattendono. Le donne votarono compattamente No, salvo in una regione, e la
Chiesa parve ritirarsi in buon ordine.
Oggi la Dc non c'è più e la posizione della Udc - fatta eccezione per il
ministro Buttiglione - è meno sguaiata di molte di quelle della Casa della
Libertà, peraltro minata all'interno da Stefania Prestigiacomo. Ma è la chiesa
che è scesa in campo come un enorme partito, ramificato in ogni angolo della
penisola, vescovi, parroci, manifesti murali, giornali e giornaletti. Forse
qualche bravo parroco disobbedirà in silenzio. Ma per il resto la gerarchia ha
funzionato come un orologio. Il nuovo papa Benedetto XVI, già cardinal Ratzinger,
ha usato magistralmente della dottrina della quale è stato per ventisei anni
occhiuto custode, anzi le ha dato una piccola spinta in più, sulle orme di
Giovanni Paolo II: ha denunciato gli orrori della modernità relativista e la
tentazione eugenetica insita nella scienza. Quel che non ha fatto lui stesso lo
fa il cardinal Ruini. I volteggi intellettual-filosofici degli atei devoti -
stirpe che finora si ignorava - gli ha fatto toccare con mano quante inaspettate
alleanze fossero disponibili nel campo presunto laico. Il presidente del senato
Marcello Pera ha chiamato a gran voce alla religione come surrogato delle
ideologie. L'arma fatale che il Vaticano ha impugnato, ritenendo che nel voto
normale il No riuscirebbe perdente, è il tentativo di far mancare il quorum.
Manovra politica spregiudicata oltre che la sola che permette di controllare il
voto: diversamente da chi mette la scheda nell'urna, chi sta a casa è visibile,
specialmente nelle piccole città e può essere annotato dalla parrocchia.
Sul ribrezzo che fa a me, donna, vedere con quanta ingordigia un'autorità tutta
maschile, tutta celibe, e presumibilmente tutta ignorante di che cosa
significhino sessualità, maternità, paternità, metta il naso e i suoi fantasmi
nell'intimo del corpo della donna e nelle sofferenze della coppia, non appongo
verbo. Ma come cittadina di una repubblica che credevo laica sono rivoltata
dalla genuflessione di tutte le sfere dello stato. E dal silenzio di un altro
grande che parla tutti i giorni, il Presidente della Repubblica, davanti a
un'intrusione senza precedenti della chiesa nello stato.
il manifesto 09/06/05
Iperpoliticismo, assenza di tradizione laica, trasformismo. Tutti i mali italiani nella competizione tra sì e no |
Astensionisti e crociati. Un'anomala vigilia batticuore per un
referendum
|
Vaticano. Benedetto XVI continua nella campagna contro il referendum e dice: ''Astenetevi da ciò che non piace a Dio'' |
Ratzinger senza freni: pure la Bibbia dice di astenersi
da:
www.aprileonline.info
n° 277 del
09/06/2005 |
LA LAICITÀ DELLO STATO VA DIFESA: TUTTI A VOTARE !
La sacralizzazione del concepito e istigazione all’astensionismo
di Maria Mantello
Con l’approssimarsi della
consultazione referendaria del 12 e 13 giugno per abrogare alcune parti della
legge 40 sulla fecondazione assistita, le gerarchie vaticane, coadiuvate dai
loro comitati, da diversi politici, e finanche (cosa scandalosa) da alcune tra
le più alte cariche dello Stato italiano, hanno intensificato i loro appelli a
disertare le urne.
La Costituzione vincola la validità del referendum al fatto che votino la
maggioranza degli aventi diritto. Ma forse i Padri Costituenti non immaginavano
l’uso furbastro e strumentale che di questo principio si sarebbe fatto per
evitare un confronto chiaro e leale sulla legge 40. Considerando che ad ogni
votazione le astensioni fisiologiche sono ormai intorno al 30 -35 %, basterà
infatti ai sostenitori della legge 40 un semplice 15 - 20 % di non votanti per
raggiungere il loro obbiettivo. Così, se l’operazione riesce, una schiacciante
minoranza potrà zittire la maggioranza degli italiani, che, stando ai sondaggi,
voterà sì. Del resto, lo stesso cardinale Ruini ha espressamente dichiarato che
andando alle urne non si potrebbe ottenere lo scopo desiderato di mantenere in
vigore questa legge. E’ scattata così la crociata astensionista: credere
obbedire… e combattere per non far raggiungere il quorum.
La scelta della Chiesa di richiamare i fedeli all’obbedienza alla sua ortodossia
(tra i primi a piegare la testa è stato Giulio Andreotti, che in un primo
momento aveva detto che sarebbe andato a votare, ma poi ha preferito abiurare)
si configura come una vera e propria pressione sulle coscienze, che contrasta
col principio Costituzionale del diritto-dovere al libero esercizio di voto. Una
violazione dello stesso Concordato, nonché del Testo unico delle leggi
elettorali, che all’articolo 98 (le sottolineature sono nostre) recita: “Il
pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un
servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque
investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle
proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere
gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o a
vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di
determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all'astensione,
è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000
a lire 4.000.000”.
Certamente la Chiesa si trova in difficoltà di fronte ai cambiamenti radicali di
costume, che mettono palesemente in crisi la sua concezione morale. Negli anni
ha dovuto incassare dolorose sconfitte: divorzio, anticoncezionali, aborto. Lo
scarto esistente tra società civile e i principi dottrinari propugnati dalle più
alte gerarchie cattoliche è fin troppo evidente. Nessuno si comporta più secondo
i suoi dettami, neppure la quota assai minoritaria dei cattolici praticanti. La
società è laicizzata nei fatti. E questo per la Chiesa è intollerabile. Ha così
rinserrato le fila ottenendo legislazioni in linea con i suoi fideistici
principi. Ha strappato leggi per il finanziamento delle sue scuole
confessionali; per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica
(da lei designati, ma pagati dallo Stato e che potranno insegnare anche materie
diverse dalla religione cattolica). Ha ottenuto, grazie al ministro Moratti,
riforme della scuola statale ispirate alla visione cattolica. Si pensi, ma è
solo un esempio, al tentativo di estromettere dai programmi di studio le teorie
evoluzionistiche, perché in contrasto col miracolo creazionistico cristiano.
Un circuito reazionario, chiuso per il momento con la legge 40. Con essa il
Vaticano ha ottenuto la sacralizzazione del concepito, premessa per
rivedere la legge 194, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza, ma
anche in un futuro non troppo lontano l’uso di anticoncezionali: la spirale e la
“pillola del giorno dopo”, non attentano al “concepito”? E la pillola e il
preservativo, non attentano all’ovulo e allo spermatozoo? Nessuno si faccia
illusioni, la legge sulla fecondazione assistita sarà il maglio per eliminare le
conquiste civili dell’emancipazione delle donne, per riportarle alla maternità
come condanna. Alla Chiesa la legge 40 interessa solo in funzione del concepito:
“Non cambia però, la nostra posizione riguardo a questa legge – ha detto Camillo
Ruini all’apertura del Consiglio permanente della Cei- che sotto diversi profili
non corrisponde all’insegnamento etico della Chiesa, ma ha comunque il merito di
dare dignità alla persona umana”.
Per la Chiesa ogni procedura fecondativa, che sveli in qualche modo il
“mistero-miracolo” della vita e svincoli il rapporto sessuale dalla
procreazione, è impensabile. Ma difende allo strenuo la legge 40 perché il
concepito, l’ovulo fecondato, che senza il corpo della donna che le accoglie non
potrebbe vivere, è divenuto un Soggetto di diritto.
Un’idea di persona, dunque, è diventata più importante della donna che è
obbligata all’impianto. Un’idea di vita è diventata più importante dei malati di
tumore, di Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, ecc. Perché
questa legge nega lo studio sulle cellule indifferenziate preembrionali,
equiparandole ad una persona già nata.
Non interessa la donna, riportata a contenitore, nel cui utero devono essere
impiantati tutti e tre gli embrioni prodotti. Non interessa il bambino, perché
l’embrione, anche se malato va accettato comunque, anche se sviluppandosi sarà
un bambino malato. E quanti embrioni vanno a morte grazie a questa legge, se non
si emenda coi referendum, giacché essa ne impedisce la conservazione?
Non interessa né la donna né il bambino futuro, perché se tutte e tre le cellule
fecondate dopo 15 giorni attecchiscono possono dar luogo anche a parti
trigemellari, che come noto, qualche conseguenza hanno per la salute della madre
e dei figli stessi che partorirà. Se poi nessuno degli embrioni riuscirà ad
impiantarsi nell’utero, la donna dovrà ripetere la cura: altri dosaggi ormonali,
altre anestesie, altri interventi…, altri dolori, altre angosce.
Una legge che non tutela nessuno, neppure il progetto di vita che dice di volere
difendere. Una legge che è contro anche la ricerca e la professionalità del
medico, perché non si può più valutare caso per caso e decidere insieme alla
coppia, alla donna in primo luogo, la strada migliore per portare felicemente a
compimento la gravidanza risultato della fecondazione assistita.
I cattolicissimi “comitati per la vita” affermano di difendere la vita, ma è
solo un’idea di sofferenza, di rassegnazione e croci da sopportare che vogliono
imporre a tutti.
Tutto in nome del Concepito. Un principio ontologico, continuano a tuonare i
Vescovi e i loro reazionari coefori per i quali un’idea di uomo (il principio
ontologico) è più importante dell’individuo storico concreto: il nato.
Vale appena ricordare, che in nome di un’idea di uomo precostituita, e
coincidente con il cristiano, la Chiesa ha incarcerato, torturato arsi vivi
milioni di individui. Solo per fare qualche esempio, in nome di questa
idea-essenza di uomo non erano considerati esseri umani a pieno titolo gli
ebrei, colpevoli di non volersi battezzare; gli indiani d’America definiti
omuncoli; la donna, definita da s. Tommaso maschio sbagliato (mas
occasionatus) e quindi incapace di intendere e di volere, e per questo
soggetta a controllo serrato per ottenerne l’omologazione al mito del fiat
mariano nel rassegnato concepimento. Qui e solo qui esplicherebbe il “suo genio
femminile” nella “sua vocazione” sacrificale di madre. Da s. Agostino a Wojtyla,
a Ratzinger, in un ruolo che ne giustificherebbe la sua stessa esistenza come
“compagnia dell’uomo”. Per la gerarchia vaticana l’essenziale è garantire il
mitico mistero del concepimento. E attraverso questo il controllo sul corpo
delle donne e sulla sessualità per controllare l’intera società. Per questo fin
da quando un ovulo s’incontra con uno spermatozoo deve essere blindato.
Non a caso, allora, la legge 40, varata a febbraio del 2004, è passata quasi in
sordina. Un vero dibattito non c’è stato, né all’interno del Parlamento, né
tanto meno nel Paese. I circa trecento emendamenti proposti, compresi quelli
tesi ad evitare la deriva oscurantista, sono stati respinti da una cordata che,
da destra a sinistra, ha praticamente corazzato questa legge. La questione è
stata portata all’attenzione della collettività solo a cose fatte. In occasione
della raccolta firme per i referendum. Adesso si pretende dagli italiani che
ancora non dicano la loro, che tacciano, che obbediscano, che il 12 e il 13
giugno non vadano a votare. “No all’uso stesso dei referendum su materie che
sono decisive per il futuro dell’uomo”, recitano i materiali propagandisti dei
“comitati per la vita” (quelli dell’astensione). Ma proprio perché sono
questioni decisive per l’umanità interessano tutti. Proprio perché si tratta
della vita, presente e futura, bisogna votare. O forse questa legge è un dogma,
alla stessa stregua dell’Evangelium vitae, l’enciclica del 1995, per la
quale Wojtyla si è appellato all’infallibilità del papa?
Non si vota e basta! Tuonano dal Vaticano. Ma lo Stato italiano deve garantire
il sereno esercizio di voto. Anche uno sprovveduto, infatti, non può non
rendersi conto di quanto sia facile individuare i disobbedienti al proprio
vescovo che il 12 e 13 giugno andranno a votare. Quanti si sentiranno ricattati
moralmente tra i parrocchiani, tra i dipendenti dei molti organismi cattolici,
tra gli incaricati del Vaticano in strutture statali, tra coloro che magari dal
vescovo si aspettano “una sistemazione” per sé o per i familiari. Si pensi a
come sarà facile controllare chi andrà a votare soprattutto nei piccoli centri
di provincia. Si pensi all’imbarazzo nei pressi dei seggi elettorali per il
timore di essere visti, riconosciuti dal vicino di casa, dal conoscente, dal
prete o dal parroco in persona: “lei qui?” “ Come.. veramente…cercavo …
andavo…”. Scene degne di uno spettacolo comico, se non fosse in gioco qualcosa
di più serio. La tutela del libero esercizio al voto, principio e linfa di ogni
democrazia. Ma forse è proprio la democrazia che dà fastidio, perché vuole
spirito critico, inneggia alla scelta autonoma contro la passiva obbedienza.
Giordano Bruno nel 1600 è stato mandato al rogo per aver denunciato lo stato
asinino in cui si pretende di tenere il fedele. Guglielmo da Occam, trecento
anni prima di lui, è stato anche egli inquisito e torturato per aver posto in
discussione la “tirannide” del principio d’autorità pontificia. Milioni di
donne, dal XIII al XVIII sec., sono state violentate, torturate, arse vive.
Erano accusate di essere streghe. Molte di loro erano medichesse e levatrici ed
erano ritenute colpevoli di controllare il mistero della generazione, di
favorirlo o impedirlo. In verità gestivano una “medicina” fatta da donne e dalla
parte delle donne.
La reazione, viene dunque da lontano. La prima strega è stata mandata al rogo a
Tolosa nel 1272, e l’ultima nel 1793 in terra polacca.
Oggi non vorremmo, che in nome del concepito contro le donne trovasse
ancora legittimità nel nostro paese una qualche rinnovata “idea di rogo”.
Per questo per nascere, per guarire, per scegliere il 12 e il 13 giugno
invitiamo tutti ad andare a votare. E a votare sì. Non ci sarà nessun far west,
solo più umanità, più dignità, più responsabilità per tutti.
dal sito: www.italialaica.it
PUBBLICO PECCATORE IL CATTOLICO CHE VA A VOTARE?
di Marcello Vigli
Nei giorni scorsi il forsennato
interventismo clericale nella battaglia referendaria sulla legge 40 del Comitato
Scienza e vita, i cui attivisti fanno volantinaggio perfino nelle chiese, ha
avuto la sanzione ufficiale della Cei e la benedizione di Benedetto XVI.
Irrilevanti sono i sottili distinguo sul grado del suo coinvolgimento nella
crociata dell’astensione bandita dalla Cei perché sono da attribuirsi allo stile
del nuovo papa - che, non a caso, ha scelto l’assemblea dei vescovi e non il
congresso eucaristico di Bari per esternare la sua posizione - e non ad una
reale dissociazione dalla strategia politica del suo vicario cardinale Ruini,
nella quale c’è ben altro che la permanenza della Legge. Si lotta per l’egemonia
e per la rivincita sulle sconfitte, subite in occasione dei referendum sul
divorzio e sull’aborto e della cancellazione delle “radici cristiane” dal
Trattato costituzionale europeo.
Se così non fosse, sarebbe incomprensibile l’arroccamento sulle rozze
disquisizioni sul valore dell’embrione, in un momento in cui si dovrebbe fare
fronte comune per salvare la libertà della ricerca dalle insidie e dai
condizionamenti della commercializzazione dei suoi frutti, e sulla pretesa di
contrabbandare l’appello all’astensione come un’espressione dell’indiscusso
diritto delle gerarchie ecclesiastiche a promuovere la propria concezione sulla
procreazione medicalmente assistita.
Senza nulla togliere all’utilità delle puntuali contestazioni della
sacralizzazione dell’embrione o delle documentate denunce sulla legittimità
costituzionale di tale appello, è necessario accettare la sfida politica
dell’integralismo cattolico smascherando la reale posta in gioco nella campagna
referendaria in cui, se ce ne fosse bisogno, è ben evidente l’allineamento del
cardinale Ruini e dei suoi seguaci con il berlusconismo, con o senza Berlusconi.
Si è cominciato denunciando che la prossima legge da abrogare sarà la 194. Si
può aggiungere qualche riflessione su un altro “effetto collaterale”
dell’eventuale vanificazione del referendum: la conferma che l’unica voce
“cattolica” è quella dei vescovi.
L’appello all’astensione, che si configura come una vera e propria istigazione a
violare la segretezza del voto, costituisce in verità la premessa per una vera
propria schedatura dei cattolici disobbedienti, facilmente individuabili come
pubblici peccatori. Che coloro che vanno a votare commettano peccato da
confessare si va dicendo in migliaia di prediche e di interventi
radiotelevisivi. Lo ha confermato l’onnipresente don Benzi martedì mattina ai
radioascoltatori durante una puntata della trasmissione Istruzioni per l’uso in
onda su Radio uno. Non è certo peccato andare a votare, ma il farsi complici del
mantenimento di una legge che favorisce l’omicidio !!!!! Al di là di queste
amenità, resta che la qualifica di “pubblico peccatore” non è senza conseguenze
per cittadine e cittadini italiane/i preti e suore, militanti
dell’associazionismo cattolico, volontari delle diverse Ong, dipendenti da enti
ecclesiastici che andranno a votare, anche se il segretario della Cei ha
dichiarato che la gerarchia sarà “clemente” nei confronti dei trasgressori. Per
i preti si allunga l’ombra della sospensione a divinis come ai tempi delle
campagne per i referendum sul divorzio e sull’aborto. Un’ombra più lunga, perché
oggi la disobbedienza non può restare chiusa nel segreto dell’urna. Non ha
bisogno di essere dichiarata, come allora, pubblicamente perché è resa esplicita
dall’ingresso nella Sezione elettorale. Affari interni di chi vuole restare nel
recinto ecclesiastico, si potrebbe dire. Non si può dire lo stesso per
insegnanti di scuole confessionali e operatori sanitari nelle cliniche
cattoliche tenuti, i primi perfino per contratto, a non assumere comportamenti
in contrasto con la morale cattolica pena il licenziamento. Disobbedire alla
gerarchia su questioni di fondo, e tali sono presentate quelle inerenti alla
Legge 40, è moralmente peccaminoso. Che dirà Pezzotta, che ha dichiarato di
astenersi, se onesti lavoratori, iscritti o non al suo sindacato, dovessero
perdere il posto per avere esercitato il diritto dovere del voto? E i politici
che oggi si affannano a seguire l’esempio del Presidente del Senato
appiattendosi sull’ingiunzione della Cei proporranno almeno un’interrogazione
parlamentare?
E Prodi, costretto a non ripetere l’iniziale timido “andrò a votare”, per non
offrire nuovi argomenti ai suoi avversari “cattolici” nella Margherita, inserirà
nel suo programma elettorale l’obiettivo di riequilibrare, almeno a livello di
rispetto delle norme concordatarie, lo strapotere delle gerarchie italiane rese
forti dalle migliaia di miliardi che ogni anno lo Stato regala alla Cei? Per
farlo dovrà mettere in discussione il sistema di finanziamento della Cei
attraverso l’erogazione dell’otto per mille, che la dabbenaggine dei negoziatori
craxiani e cattocomunismi ha reso illimitato con il suo agganciamento al gettito
dell’Irpef, destinato a lievitare nel tempo. Eppure ancor oggi tanti sedicenti
laici, antistatalisti, continuano privilegiare la chiesa cattolica come
destinataria delle proprie scelte in occasione della Dichiarazione dei redditi.
C’è ancora speranza che il quorum si raggiunga, anche perché si stanno
moltiplicando appelli di cattolici pronti a sfidare i fulmini della gerarchia,
ma in ogni caso la battaglia referendaria sarà servita a far crescere la
consapevolezza, che la laicità non può essere considerata un optional da chi
continua a credere che anche il nostro paese possa essere una democrazia.
Dal sito: www. Italialaica.it
A Giugno saremo chiamati a dare il nostro voto sul referendum abrogativo di alcune parti della legge 40 sulla fecondazione assistita. Ogni cittadino avrà il diritto di approvare o disapprovare parti della legge con il proprio voto. Autorevoli leaders dei partiti di maggioranza e di minoranza hanno chiarito che eserciteranno tale diritto.
Quello che non ci sembra rispettoso della dignità della persona umana è l'indicazione della Conferenza episcopale italiana di "non" andare a votare. I cattolici e i laici che intendono far valere il principio della libertà di coscienza e della responsabilità personale possono firmare l'appello (cliccando su www.adista.it ) e leggere le prime adesioniAppello per il rispetto della sacralità della coscienza
in occasione del referendum del 12 e 13 giugno per la modifica della L.
40/2004 (procreazione assistita)
Il cristianesimo non è mai stato solo potere e lotta fra poteri. Il Vangelo e
la profezia hanno incessantemente animato la crescita dell'umanità lungo l'asse
dei valori democratici, fra cui il primato della coscienza, il pluralismo,
l'etica della responsabilità. Che dire allora di questa chiamata
all'ubbidienza verso l'autorità e all'appartenenza ecclesiale in occasione del
referendum? Che ne è del primato della coscienza, che ne è del pluralismo, che
ne è dell'etica della responsabilità? Che ne è della lettera e dello spirito del
Concilio?
Vogliamo rileggere la magnifica apertura della "Costituzione dogmatica sulla
Chiesa"? Il Concilio si serve di parole antiche, citando cioè il profeta Geremia
e l'apostolo Paolo, per dire la parola nuova quasi rivoluzionaria che tanti,
compreso in primo luogo Papa Giovanni, si aspettavano da tempo: "Ecco venir
giorni (parola del Signore) nei quali stringerò con Israele e con Giuda un patto
nuovo.Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l'imprimerò; essi mi
avranno per Dio e io li avrò per mio popolo. Tutti essi, piccoli e grandi, mi
riconosceranno, dice il Signore" (Geremia 31, 31-34). Cristo istituì questo
nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. I Cor. II, 25).".
Questo è scritto nel documento conciliare fondamentale. Se tutti hanno impressa
nella loro mente e nel loro cuore la legge di Dio perché non dare fiducia agli
uomini e alle donne? Perché non affidare la ricerca delle soluzioni più giuste
al contesto della partecipazione democratica in cui coscienze responsabili si
confrontano e infine trovano mediazioni politiche? Perché forzare le coscienze
col principio di autorità per fare un fronte politico contrappositivo?
Si obbietta da parte dei vertici ecclesiastici che "I parlamenti che approvano e
promulgano simili leggi (quelle che legalizzano l'aborto, ndr) devono essere
consapevoli di spingersi oltre le proprie competenze e di porsi in palese
conflitto con la Legge di Dio e con la legge di natura" (Giovanni Paolo II,
Memoria e identità).
E' vero che la democrazia non è esente da errori, da ingiustizie e da misfatti
anche gravi. La guerra preventiva, ma si può dire la guerra senza aggettivi, è
un esempio attuale eclatante che brucia a due anni dall'inizio della guerra
contro l'Iraq. Ma la soluzione è il principio di autorità? Quando
l'autorità ecclesiastica gestiva, direttamente o indirettamente, il potere
civile non ha forse commesso gli stessi errori e misfatti e massacri?
No, la soluzione al problema del rapporto fra la legge umana imperfetta e la
legge divina perfetta non è l'appello al principio di autorità, non è il ritorno
al primato dell'appartenenza, non è un nuovo intruppamento dietro il potere che
si fa scudo di Dio. La risposta è quella di Gesù: la profezia disarmata,
la testimonianza che rifiuta il potere e che allontana da sé la tentazione
stessa del potere. Lo indica bene l'apostolo Paolo in una sua lettera:
Prime adesioni
p. Felice Scalia, gesuita, Issur (Messina); don Antonello Solla, parroco di San
Grato di Saluggia, Vercelli; don Enzo Mazzi, Comunità dell'Isolotto, Firenze;
don Leonardo Zega, già direttore di "Famiglia cristiana", direttore di "Club
3";, Milano; p. Pierangelo, p. Adriano, p. Giorgio, Comunità dei Sacramentini,
Caserta; suor Elisabetta (Gina Toscano), Comunità s. Agnese di Livorno-Unione
Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; suor Teresa Caterina (Maria Teresa Nannoni),
Comunità s. Agnese di Livorno-Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; Lina
Vicario, associata, Comunità s. Agnese di Livorno-Unione Suore Domenicane S.
Tommaso d'A-quino; suor Maria Teresa Ricci, superiora generale della
Congregazione Serve di Maria di Ravenna; suor Maria Grazia Gaddoni,
Congregazione Serve di Maria di Ravenna; suor Stefania (Leda Baldini), Comunità
G. Savonarola e Compagni Martiri di Firenze - Unione Suore Domenicane S. Tommaso
d'Aquino; suor Ludovica (Doriana Castellani), Comunità G. Savonarola e Compagni
Martiri di Firenze - Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; don Paolino
Trani, Città di Castello; don Paolo Farinella, Genova; don Andrea Gallo,
Comunità di san Benedetto al Porto, Genova; don Olivo Bolzon, parroco emerito di
San Floriano, altri….
Il voto del papa
FILIPPO GENTILONI
Come da copione: il nuovo
papa non ha perso tempo e si è affrettato a condividere le discusse posizioni
del suo cardinale vicario sul prossimo referendum sulla procreazione assistita.
Lo si poteva prevedere: la sovraesposizione della gerarchia italiana era stata
talmente evidente che un eventuale silenzio del nuovo papa sarebbe suonata come
sconfessione. Papa Ratzinger non ha tardato a schierarsi. Domenica, a Bari,
aveva parlato d'altro, dando così adito a qualche speranza: non pochi pensavano
a una posizione meno decisamente schierata per l'astensione. A Bari si era
parlato, in mariera abbastanza scontata, soltanto della sacralità della
domenica. Ma l'appuntamento era soltanto rinviato. Eppure il papa avrebbe potuto
ricordare la sacralità della vita fin dall'inizio, senza fare riferimento
preciso ed esplicito al referendum italiano del 12 giugno. Poteva mantenere il
suo discorso sul piano etico, senza intaccare quello direttamente politico.
Perché ha scelto, invece, un intervento diretto? Forse per
non prendere le distanze dal suo vicario Ruini? Forse per partecipare in prima
persona al ritorno del cattolicesimo italiano a quel protagonismo che sembrava
in crisi negli ultimi anni di vita politica e sociale? Quel protagonismo che
aveva avuto nella Dc uno strumento privilegiato e che, invece, negli anni del
bipolarismo appariva in crisi? I vescovi lo avevano decisamente ripreso in mano,
scegliendo la questione della fecondazione assistita come tema privilegiato,
adatto a una posizione «bipartisan» che potesse abbracciare destra e sinistra.
Con il sostegno, prima, di Giovanni Paolo II e, ora, di Benedetto XVI.
Con buona pace di tutti coloro, e sono stati molti, che
hanno voluto vedere nei primi gesti del nuovo papa una sconfessione di quella
rigidità che aveva caratterizzato il cardinale Ratzinger. Niente illusioni,
dunque. E il riconoscimento della coerenza. Gli attacchi al relativismo che
avevano caratterizzato il Ratzinger di prima, ora trovano conferma nel discorso
sull'embrione e sulle sue sorti. E anche sul primato che il magistero vaticano,
da un papa all'altro, attribuisce alle questioni riguardanti la fecondazione, il
sesso, le nascite. Le altre questioni - pace, fame, aids, miseria, immigrazione,
disoccupazione, ecc. - non sono dimenticate, ma possono attendere in panchina.
E così Benedetto XVI può affermare la stretta continuità
con Giovanni Paolo II. Mentre il cardinale Ruini, con l'appoggio del papa, può
chiamare a raccolta tutta la chiesa italiana, soprattutto i «movimenti» che ne
rappresentano i settori più giovani e impegnati. Da Comunione e liberazione ai
focolarini, tutti per l'astensione il 12 giugno.
Questa operazione riuscirà? Il consenso dei cattolici sarà
veramente totale come auspica la conferenza episcopale con l'avallo del papa ?
Difficile dirlo, e per affermarlo non basterà certamente
constatare l'eventuale non raggiungimento del quorum. Ben altri sono i criteri
per giudicare il livello di religiosità dei cattolici italiani.
Il manifesto 31/05/05
La
legge 40, duemila anni fa
di Enzo Mazzi*
(L’Unità, 04.06.2005)
Ogni cultura ha le sue
contraddizioni. Il cristianesimo non fa eccezione. Nato come movimento popolare
messianico, di alternativa radicale ai poteri costituiti, in una insignificante
provincia dell'impero, si è trovato dopo meno di tre secoli proiettato ai
vertici del potere imperiale, riconosciuto come religione di stato di tutto
l'impero.
«È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l'evoluzione del cristianesimo antico. Dapprima quest'ultimo è stato vittima del diritto della spada (le persecuzioni); poi i cristiani, certo non senza discussioni, si appellarono al “braccio secolare” contro i pagani, contro i barbari, contro gli eretici. Il decreto dell'imperatore Teodosio del 27 febbraio 380, per citare il documento più emblematico dell'epoca, stabilisce che “solo chi segue papa Damaso (366-384) può attribuirsi il nome di cristiano cattolico”. Gli altri incorrono “già su questa terra nel nostro (dell'imperatore) castigo, secondo la decisione che noi abbiamo tratto dall'ispirazione celeste”. Se dunque nell'antichità vi è stato un legame indissolubile tra “natura, uomo, Dio, ethos, religione”, per essere fedeli alla storia, si sarebbe dovuto collegarvi anche il diritto e il diritto nella sua forma coercitiva e penale». Ha scritto queste cose qualche anno fa, nel 1999, addirittura un cardinale membro della Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal card. Ratzinger, il card. Pierre Eyt, delfino dello stesso Ratzinger, oltre che arcivescovo di Bordeaux. Le ha scritte sul quotidiano cattolico francese La Croix in aperta polemica con la “parzialità” ideologica di Ratzinger, il quale parlava, e parla, di cristianesimo come verità e amore ma si dimenticava (e si dimentica?) del cristianesimo come potere e potere coercitivo.
Il cristianesimo ha in sé i segni di una tale complessità storica, è segnato dalle orme del suo cammino nei secoli impresse nella sua identità profonda. C'è nel cristianesimo ben visibile il potere, la ricchezza, l'inflessibilità. Ma ha mantenuto anche quell'ansia profetica di un “mondo nuovo”, radicalmente nuovo, che Gesù e i suoi seguaci, uomini e donne del popolo, pescatori poveri ed emarginati, chiamavano “Regno di Dio”. Quest'anima del non-potere, della esclusione, non è mai stata completamente affogata dall'onda lunga della ricchezza e del potere.
M'introduco in un ambito teologico un po' complesso che però i cattolici dovrebbero sempre tenere presente. La profezia biblica, cioè la Parola di Dio, non solo non è ideologica, ma ha in sé un principio perfettamente opposto all'ideologia: il principio della incessante ricerca umana. La Bibbia assume la storia nella sua complessità, assume le dinamiche che hanno spinto e spingono l'umanità ad approfondire consapevolezze, a ricercare strategie e soluzioni per affrontare, in contesti differenti, il grande tema della vita. È proprio l'opposto della legge 40.
Basta pensare all'esperienza di Abramo, il padre di tutti i credenti. Apriamo il Libro della Genesi al Cap. 16 e troviamo una profezia per noi sconcertante. È un racconto mitico, come tanti altri della Bibbia, ma proprio per questo è particolarmente significativo perché assume le imperfezioni della condizione umana come strumento di salvezza: «Sara, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sara disse ad Abramo: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abramo ascoltò la voce di Sara. Così, al termine di dieci anni da quando Abramo abitava nel paese di Canaan, Sara prese Agar l'egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abramo, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. … L'angelo del Signore andò incontro ad Agar presso una sorgente d'acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, e le disse: “Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla per la sua moltitudine”. Soggiunse poi l'angelo del Signore: “Ecco, sei incinta:/partorirai un figlio/e lo chiamerai Ismaele,/perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione”. Agar chiamò il Signore, che le aveva parlato: “Tu sei il Dio della visione”. Questa profezia sulla procreazione non è la sola.
Un altro racconto biblico mitico è la discendenza di Gesù da un figlio d'incesto: Fares. «Giuda (uno dei dodici figli di Giacobbe, antenato fondamentale della genealogia di Gesù) prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan (il suo secondo figlio): “Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello”. Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: “Ritorna a casa da tuo padre come vedova fin quando il mio figlio Sela (il figlio più piccolo) sarà cresciuto”. Perché pensava: “Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!”. Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa del padre». Passano anni ma Giuda non rispetta il diritto di Tamar di avere figli. Allora Tamar escogita un piano ingegnoso: si traveste da prostituta, adesca Giuda e resta incinta. Quando Giuda scopre che Tamar è incinta intima di farla bruciare. Ma Tamar gli dimostra con segni precisi che il bimbo che porta in seno è figlio di lui. Allora Giuda esce con questa affermazione “Ella è più giusta di me”. Il figlio di Tamar e di Giuda sarà chiamato Fares e da lui è fatto discendere David e quindi Gesù. Le storie di Agar e di Tamar sono presentate dalla Bibbia come esemplari, profetiche, ma non come dogmi. Non è teorizzato l'uso delle schiave in sostituzione di mogli sterili né l'incesto per dar prole ai mariti che muoiono senza figli. Il principio che viene esaltato è l'evoluzione continua e senza fine del cammino umano. È il cammino umano in quanto evoluzione che viene assunto da Dio e animato dal di dentro. E così dovrebbe essere oggi nei confronti della ricerca attuale sulla procreazione la vita.
Ma la profezia più significativa e ardita è il concepimento di Gesù da parte di Maria sua madre. Non entro nella problematica riguardante il significato storico del concepimento verginale di Gesù. Se il racconto sia metaforico o reale. Voglio solo rilevare che gli autori dei Vangeli esaltano il diritto di Maria di avere un figlio al di fuori delle norme che a quel tempo regolavano la procreazione. Maria concepisce Gesù con una fecondazione fuori dalle norme. Si potrebbe dire che se ci fosse stata la legge 40 Gesù non sarebbe mai nato.
Con parole forse più convincenti dice queste stesse cose quel cardinale Eyt che ho già citato sopra, nella conclusione del suo intervento su La Croix, in contraddittorio appunto col card. Ratzinger: «Il tempo che viviamo è segnato da un'evoluzione profonda della coscienza morale e giuridica. Questa evoluzione non potrebbe apportarci qualcosa di nuovo e di più chiaro, qualcosa che si configuri come una “razionalità” diversa da quella dell'antichità e del Medioevo? Su questi temi, che pongono degli interrogativi profondi, la riflessione della chiesa non può rinchiudersi nell'evocazione di un'età dell'oro, sempre discutibile. Non possiamo, al contrario, mettere un po' più alla prova alcune nostre concezioni e pratiche di fronte alla provocazione della razionalità e della sensibilità di oggi e verosimilmente di domani?».
Cari pastori e laici cattolici, la nostra Chiesa può affrontare la prova del cammino umano nella fase attuale con un po' più di fiducia nelle donne e negli uomini, come invita a fare il card. Eyt, piuttosto che con divieti, leggi, inviti a disertare il confronto delle urne?
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LA MORALE IMPOSTA PER LEGGE
Dal numero 111 di Critica liberale di Grazia Zuffa (*)
Il 10 febbraio 2004, la
legge sulla fecondazione assistita veniva approvata definitivamente dalla
Camera. A distanza di un anno o poco meno, il 13 gennaio 2005, la Corte
Costituzionale ha ammesso quattro dei quesiti referendari per cancellare alcuni
articoli della legge 40, sui quali si sono raccolte le firme necessarie alla
presentazione.
La legge non potrà essere sottoposta al giudizio popolare nel suo insieme,
poiché la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito di abrogazione totale.
Tuttavia, i referendum ammessi, se approvati, eliminerebbero buona parte delle
enormità giuridiche della normativa in vigore, sconfessando in buona sostanza il
suo impianto.
Quest’ultima affermazione merita un approfondimento, poiché le modalità con cui
è stata lanciata la consultazione popolare –quattro modifiche parziali su cui
sono state raccolte le firme per quattro distinti referendum, più un altro
(distinto) referendum di cancellazione totale – farebbero pensare il contrario.
In altri termini, l’aver voluto individuare quattro opzioni tematiche – la
salute della donna, il ripristino della fecondazione con seme di donatore, la
cancellazione dell’art. 1 sui diritti del concepito, la libertà della ricerca –
cui corrispondono altrettanti quesiti referendari, ha creato una strategia
confusa, che rende opaca la lettura complessiva della legge. Perciò è proprio da
questa che è conveniente partire, per meglio comprendere la vicenda politica
intorno alla sua approvazione e allo scontro referendario in corso.
Si tratta innanzitutto di una legge manifesto, tesa ad affermare principi etici
più che a regolare l’applicazione delle tecnologie. O per meglio dire,
l’ideologia detta anche le prescrizioni in campo sanitario. In questo senso,
l’articolo 1 racchiude la chiave di lettura di tutta la legge. Non solo nel
comma 1, dove «si assicura la difesa di tutti i soggetti coinvolti, compreso il
concepito», su cui va fatto un ragionamento a parte; ma anche nel comma 2, dove
si afferma che «il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito
qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di
sterilità o infertilità». Quest’ultima affermazione illumina su uno dei principi
fondanti: la fecondazione artificiale è un Male, da limitare il più possibile.
Se esaminata sotto l’aspetto sanitario, la norma è di per sé vaga, qualità poco
adatta ad un articolato di legge ma molto conveniente ad un proclama.
Dalla stigmatizzazione delle tecniche procede in primo luogo la proibizione
delle stesse, nella gran parte dei casi: eclatante è la messa al bando
dell’inseminazione con seme di donatore, una delle pratiche più semplici,
permesse in tutti i paesi d’Europa e largamente applicata anche in Italia da
molti anni, per non dire decenni. E ciò basta e avanza per rendere chiare le
ricadute di deregulation della legge. È ben difficile che le coppie
rinuncino ad una pratica ormai consolidata, perciò sono destinate a ricorrere al
turismo procreativo, con evidenti e gravi discriminazioni di censo; oppure alla
clandestinità, con evidente pregiudizio per la salute. Ma anche nei limitati
casi ammessi –l’inseminazione o la fecondazione in vitro con gameti
unicamente della coppia (stabile ed eterosessuale) – l’etica di Stato entra nel
merito delle procedure terapeutiche, dettandone di abnormi, chiaramente lesive
della salute della donna e del nascituro. A cominciare dal divieto di
crioconservazione degli embrioni e dall’obbligo di non creare più di tre
embrioni, da impiantarsi contemporaneamente. Ciò significa per la donna doversi
sottoporre di uovo alla stimolazione e al prelievo di ovociti, nel caso,
frequente, di mancato impianto. Ma la legge si spinge oltre, vietando da un lato
la diagnosi prenatale sull’embrione, in quanto considerata «a fini eugenetici »,
dall’altro sancendo l’obbligatorietà dell’impianto in utero degli
embrioni creati in provetta, anche contro la volontà della donna. Questa norma
(insieme ad altre) è chiaramente incostituzionale, poiché configura un
trattamento sanitario obbligatorio senza le garanzie previste. È anche con ogni
evidenza assurda, a meno che non si pensi di legare la madre con una camicia di
forza. Ma ciò niente toglie alla sua mostruosità e, ancora una volta, svela il
primario intento ideologico del legislatore.
L’insieme delle norme succitate rimandano all’art. 1, sulla tutela dei diritti
«di tutti i soggetti compreso il concepito» e ne svelano il vero significato. È
stato osservato da diversi costituzionalisti che il riferimento ai «diritti del
concepito» è presente anche in una sentenza della Corte costituzionale (n.
35/1997), dunque la norma in questione non aggiungerebbe nulla di nuovo.
Peraltro, anche la legge 194, secondo l’interpretazione della citata sentenza,
contempera i diritti della gestante e del concepito.
Tuttavia, come si evince dalle enormità suddette dell’articolato, nella legge 40
non vi è alcuna volontà di contemperare i diritti di diversi soggetti, bensì al
contrario di affermare la personificazione (giuridica) dell’embrione, i cui
interessi lo Stato si incarica di tutelare contro la madre. In questo
senso si leggono la proibizione della diagnosi prenatale, insieme a quella di
«qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano», poiché «l’embrione è uno
di noi», secondo la colorita espressione di un deputato della maggioranza in
occasione del voto alla Camera. In quest’ottica, meglio si comprende l’apparente
contraddizione fra l’obbligo di impianto di embrioni anche con malformazioni, e
la possibilità di abortire successivamente lo stesso embrione malato, visto che
dopo l’impianto è possibile lo screening prenatale: la legge 40 diventa
il grimaldello per cambiare la legge sull’aborto, come ha dichiarato Buttiglione
all’indomani della pronuncia della Consulta sull’ammissibilità del referendum. E
come peraltro aveva dichiarato Andreotti, nella sua dichiarazione di voto al
Senato.
Insieme alla difesa della “naturalità” della procreazione, la legge propugna la
“naturalità” della famiglia: lo Stato si incarica di prescrivere il modello di
famiglia e di genitorialità ammessi, mettendo al bando le famiglie “anomale”,
come le single con figli, attraverso la proibizione. Per di più, la messa
al bando dell’eterologa, mira a sancire la purezza genetica della filiazione.
Insomma, come scrive Elena Del Grosso (“Fuoriluogo”, gennaio 2005), «ritorna il
concetto di bastardo. Cos’altro è il no all’eterologa, se non una valutazione di
ordine morale in quanto considerata come adulterio in vitro»?
Riepilogando, la legge è orientata da una bussola ideologica, che di per sé
confligge con la finalità di regolazione delle tecniche. Onde appare
assolutamente ipocrita sostenere che questa legge, seppur imperfetta, è «meglio
del Far West», come è stato affermato da alcuni deputati che a suo tempo hanno
votato a favore, come Francesco Rutelli e Rosy Bindi: in realtà è questa legge a
creare il peggiore dei Far West, rinunciando al compito di governare la società
per ribadire solo alcuni – discutibili e di parte –princìpi etici,
disinteressandosi perfino dell’effettiva probabilità che hanno di essere
applicati. È evidente la lesione grave alla laicità dello Stato, rispetto alla
funzione stessa della legge, poiché confonde il piano dell’etica e della
regolazione statale. Lo Stato non può stabilire che cosa è permesso e cosa è
vietato dalle leggi sulla base di ciò che è lecito o non è lecito per l’etica.
Nel rispetto delle diverse concezioni etiche presenti nella società, la laicità
richiede che nessuna concezione etica possa prevalere avvalendosi della legge.
Se questo è vero, alcune rappresentazioni dello scontro politico sulla
fecondazione assistita sono assolutamente fuorvianti. In primo luogo, l’idea che
per le forze politiche e per i singoli parlamentari la questione non rivesta un
carattere politico vero e proprio, bensì attenga alla “coscienza” individuale.
In nome di ciò è stata rivendicata la libertà di voto, al momento
dell’approvazione della legge e lo si ripete oggi alla vigilia del referendum.
In nome di ciò si è detto che le posizioni sulla legge non avrebbero avuto
rilevanza nei rapporti fra le forze politiche e tra eletti ed elettori. Ora la
libertà di voto del parlamentare dovrebbe sempre essere rispettata, in quanto
protetta dalla Costituzione, che gli riconosce una rappresentanza “senza vincolo
di mandato” da parte degli elettori, nonché dei partiti che hanno contribuito ad
eleggerli. Dunque, l’appellarsi alla libertà di voto è solo una trovata
demagogica, che maschera (malamente) l’imbarazzo degli schieramenti a
confrontarsi con una questione politica di primario rilievo, come quella della
laicità dello Stato, del senso della legge, della funzione del Parlamento.
Tanto più che le ricadute del fondamentalismo etico della legge 40 nel delicato
rapporto fra l’intervento statale e la sfera delle libertà individuali sono
molteplici: la personificazione giuridica dell’embrione, come nota Eugenio
Scalfari, porta a far sì che «lo Stato si attribuisca il diritto di decidere in
nome del concepito contro il diritto soggettivo della madre e della coppia
genitoriale » (“Repubblica”, 16 gennaio 2005). Così come la prescrizione di
requisiti per poter es-sere genitori, insieme alla messa al bando dei gameti
estranei alla coppia, ci riporta all’era pre-nuovo diritto di famiglia (anno
1974), alla discriminazione fra figli legittimi e illegittimi. Di più. Se è vero
che l’eugenica novecentesca, di trista memoria, è stata una politica sanitaria
pubblica di carattere coattivo, allora questa è una legge eugenica per
eccellenza, come giustamente osserva il giurista Amedeo Santosuosso: lo Stato si
assume il compito di stabilire i limiti, al di fuori dei quali c’è un «modo
sbagliato di nascere», e li impone con la coazione della legge penale (“Il
manifesto”, 4 novembre 2004, intervistato da Luca Tancredi Barone).
Con ciò è spazzato via un altro equivoco, che si tratti di un conflitto fra
laici e cattolici, da mediare nei contenuti, alla ricerca di una “etica
condivisa”. Per la semplice ragione che la laicità dovrebbe stare a cuore a
tutti, laici e cattolici, o per meglio dire credenti di qualsiasi credo e non
credenti, in quanto, in uno Stato liberale, presiede al rapporto fra Stato e
Chiesa, fra etica e legge. In quanto cornice di garanzia per una dialettica
democratica e pluralista non è soggetta a mediazione, ma solo a stravolgimenti.
Quanto ai contenuti, e cioè alle differenti visioni etiche, questo non è per
l’appunto un affare di Stato, ma della società, in un libero confronto fra
coscienze.
Eppure la tentazione di ricercare “principi etici comuni” da tradurre in legge è
stata presente fin dall’inizio della vicenda parlamentare, quando l’iniziativa
era in mano al centrosinistra, e relatrice in Commissione Affari Sociali della
Camera era l’onorevole Marida Bolognesi. Sebbene il testo di allora fosse
lontano dalle mostruosità della legge attuale, tuttavia anch’esso non rinunciava
a prescrivere il “modo giusto di nascere”, individuando la norma genitoriale. Ed
è stata ancora presente nel dibattito che ha fatto seguito alla raccolta delle
firme referendarie, nei tentativi di emendare l’attuale normativa per evitare la
consultazione popolare. Significativo l’intervento di Carlo Flamigni, che, da
laico, rilancia le soluzioni di mediazione, contenute nella proposta di legge
promossa da Giuliano Amato. Le più importanti riguardano la previsione di
congelamento degli ootidi, al posto degli embrioni, in quanto «il rispetto della
vita nascente ha ragione di esistere solo dopo che si è formato un genoma unico»
(e non è il caso dell’ootide); l’individuazione delle malattie genetiche più
gravi da «meritare un’indagine pre-impiantatoria»; ed infine la richiesta alle
coppie che desiderano una donazione di gameti «di dimostrare, come fanno le
coppie che vogliono avere un bambino in adozione, di essere pronte ad assumersi
tutte le responsabilità necessarie» (“Unità”, 25 settembre 2004). Su quest’ultima
proposta vale la pena di spendere qualche considerazione, non tanto sulla
opportunità o meno di inserirla in un articolato di legge, su cui si è detto in
abbondanza; quanto sulla visione etica che la sottende. Mi si concederà che
l’equiparazione di uno spermatozoo o di un’ovocita “eterologhi” a un bambino
abbandonato ha del grottesco. Così come ha dell’incredibile l’immagine di Amato,
quando equipara la donazione degli embrioni per la ricerca, quando non
utilizzabili a fini procreativi, alla «donazione degli organi del figlio
pre-morto» per i trapianti (“Repubblica”, 13 novembre 2004). In quale ordine di
pensiero, di esperienza, di sentire umano, un embrione può essere considerato
pari ad un figlio già nato? È per venire incontro alle coscienze di chi, come
Paolo Prodi, scrive che non si può distinguere tra l’embrione (come uomo in
potenza) e l’uomo “in atto”, poiché ciò riproporrebbe una vecchia distinzione
che la scienza, insieme alla Chiesa, hanno spazzato via? (“Unità”, 10 gennaio
2005). E che ne è della mia coscienza e dignità umana di donna, che vede
cancellata d’un colpo l’opera creatrice della madre? Il problema non sta nelle
scoperte della biologia, quanto nel salto filosofico verso una concezione
biologistico-sacrale del farsi del vivente, che si vorrebbe già “al mondo”
(simbolico, giuridico, sociale, relazionale) indipendentemente dal corpo e dalla
mente della donna. Se la vita, anzi l’embrione “vivente” è soggetto identico
all’uomo nascituro, e la nascita si identifica in una sequenza meccanica di
diversificazione cellulare, allora davvero la madre può essere sostituita da un
utero artificiale. Nella personificazione e sacralizzazione dell’embrione è
in nuce il viatico simbolico alla più conturbante delle prospettive
tecnologiche. Dal che si evince che il conflitto non è tra chi è a favore o chi
è contro la scienza. Semmai quest’ultima e il progresso tecnologico ripropongono
in nuove forme l’antico conflitto fra i sessi sulla procreazione, e
l’espropriazione patriarcale del corpo femminile.
E questo va ricordato anche a chi, come Giuliano Ferrara, ha schierato il
proprio foglio a difesa di questo obbrobrio giuridico per contrastare la cultura
del “figlio a tutti i costi”. Se è vero, com’è vero, che non esiste un “diritto
a procreare”, può mai esistere un “diritto a nascere” giocato dallo Stato a
prescindere, anzi, contro la madre? E a Marcello Pera, che proclama con voce
roboante l’essere l’embrione diverso «da una muffa», possiamo sommessamente
ricordare che le donne l’hanno sempre saputo, ben prima che il loro corpo
diventasse tecnologicamente trasparente?
Io credo che una delle difficoltà degli stessi laici a distinguere
chiaramente fra legge ed etica stia nella subalternità all’etica cattolica,
considerata come l’Etica con la e maiuscola. L’idea che il pensiero femminile,
innanzitutto, a partire da una riflessione sulla maternità, la sessualità,
l’aborto, abbia messo in campo un’altra etica non si è mai radicata più di tanto
nelle menti dei politici “progressisti”. A ciò si aggiunga che il conflitto con
le gerarchie vaticane in merito alla divisione fra ciò che è di pertinenza della
politica e ciò che attiene alla coscienza religiosa non si è mai risolto. Anzi.
I cattolici dell’uno e l’altro schieramento sono sollecitati dal Vaticano a
riportare in Parlamento i dettati della dottrina cattolica. La Chiesa sembra
parlare più al legislatore che ai fedeli, e quando parla ai fedeli, è per
dettare i comportamenti in politica. Sulla fecondazione assistita la confusione
ha raggiunto l’assurdo. Non solo il cardinale Ruini si è trasformato in un
capogruppo di Montecitorio, dichiarandosi contrario ad eventuali modifiche di
legge per evitare il referendum; ma addirittura invita i cittadini
all’astensione come un segretario di partito, in nome della più spregiudicata
real politik. Come dire: poco importano i princìpi, va bene anche appoggiarsi
alla maggioranza silenziosa pur di vincere la partita. Della legge naturalmente.
Viene il sospetto che quella dell’osservanza dei fedeli ai precetti morali
l’abbiano già data per persa da tempo.
(*) Grazia Zuffa è psicologa e direttrice del mensile “Fuoriluogo”.
Dal sito www.italialaica.it
Chiesa, astenuta e
sconfitta
FILIPPO GENTILONI
Il cattolicesimo italiano è
alla ricerca di un nuovo protagonismo, con l'esercizio di una rinnovata
aggressività. Una nuova stagione, certamente favorita dalla generale commozione
che ha accompagnato la lunga agonia e la morte di papa Giovanni Paolo II nonché
i primi giorni del pontificato di Benedetto XVI. Una nuova stagione alla quale
hanno largamente contribuito - stanno contribuendo - i mass media, cattolici e
laici. A guidare questa forte ripresa il cardinale Camillo Ruini, al centro
dell'episcopato italiano. Tema decisamente messo in primo piano, il referendum
sulla procreazione assistita del 12 e 13 giugno, con il deciso invito alla
astensione dal voto. Se è probabile, come sembra a tutt'oggi secondo alcuni
sondaggi, che l'astensione prevarrà, non è altrettanto probabile che il
ricompattamento auspicato dal cardinal Ruini sia destinato a riuscire.
E' vero che molti - parrocchie, associazioni... - si sono
affrettati ad allinearsi. Non tutti, comunque: ha fatto un certo scalpore, fra i
non «alleati», oltre al tradizionale dissenso, come quello delle comunità di
base, la presa di posizione di don Leonardo Zega, autorevole ex direttore del
settimanale «Famiglia cristiana», tra i firmatari dell'appello di cattolici
contro l'astensioni.smo referendaio (pubblicato sulla versione online
dell'agenzia Adista).
Ma la debolezza del ricompattamento è indicata soprattutto
dal tema, quello, ancora una volta, dell'etica sessuale. Ancora una volta
l'embrione, un tema sul quale il cattolicesimo, specialmente italiano, si sente
particolarmente impegnato, anche a scapito di altri temi messi quasi in secondo
piano, come, ad esempio, il lavoro, la sperequazione fra ricchi e poveri, gli
immigrati... Temi forse anche più «evangelici» di quelli riguardanti la vita e
l'identità dell'embrione.
Sul tema della procreazione, d'altronde, il cattolicesimo
italiano è stato sconfitto non molti anni fa. Forse il referendum di oggi
dovrebbe servire a sanare la ferita del referendum di allora? Ma i cattolici di
oggi sono più obbedienti alla gerarchia di quanto non sono stati i milioni di
cattolici di allora? Non credo.
Dunque, anche nel caso non si dovesse raggiungere il
quorum, non penso che la gerarchia cattolica possa pensare a un successo. Il
cattolicesimo italiano rimane, infatti, profondamente diviso e sono sempre più
numerosi i cattolici che optano per una religione, come si suol definire, «fai
da te». Lo confermano altri dati e altre cifre: quelle, ad esempio, dei
matrimoni civili oppure della frequenza alla messa festiva. Non sarà una
eventuale vittoria sugli embrioni a indicare una nuova stagione felice del
cattolicesimo italiano in crisi.
Il manifesto 22/05/05
Astensione, dietro lo
scudo di Dio
STEFANIA GIORGI
La confusione tra articoli
di fede a articoli di legge, tra ruolo e competenze dello Stato (laico) e della
Chiesa continua a regnare sovrana nelle parole dell'interventismo cattolico a
favore dell'astensione al referendum sulla procreazione assistita. Dopo
Tettamanzi ieri è toccato al cardinal Martino (presidente del Pontificio
consiglio Giustizia e Pace) richiamare anche i laici cristiani a non lasciarsi
intimidire dal «gioco della democrazia» spesso all'origine dell'approvazione di
«leggi che sono contrarie ai principi che un cristiano vive e propone». E' vero
che per il cristiano non possono essere disattese né l'ambito politico né le
responsabilità pubbliche, ma di fronte a questioni che «implicano valori etici
prioritari» (la sacralità della vita, l'indissolubilità del matrimonio, etc etc),
nel solco benedetto di «una dimensione etica della vita sociale e politica», un
cristiano in linea con la fede deve sapere dire no, e attivarsi contro le
«strutture di peccato» (vale a dire quei parlamenti che si pongono in aperto
conflitto con la legge di Dio e con la legge di natura, come ebbe a scrivere
Giovanni Paolo II nel suo libro-testamento,
Memoria e identità,
a proposito dell'aborto). Si inginocchiano alla Cei e si ribellano a Fini, il
movimento giovanile di An (Azione giovani), Adriana Poli Bertone e Roberta
Saltamartini, vice al ministero delle pari opportunità. Lanciando, con magliette
rosa e celesti e al grido di «Siamo tutti ex embrioni», una campagna di
astensione attiva al referendum. E Carlo Costalli, presidente del Movimento
Cristiano lavoratori, che rivendica l'ossequio al diktat di Ruini da primo della
classe, «senza bisogno di nessun ulteriore richiamo».
Anche «Famiglia cristiana» si astiene, ma sente il bisogno
di motivare la scelta, annunciando inserti dedicati ai quattro quesiti
referendari. Un bisogno che rivela quanto, al di là dell'invadenza mediatica dei
porporati, il referendum sulla procreazione assistita scuota e divida il mondo
cattolico. Rivelando quella realtà tutt'altro che compatta e omogenea (e non da
oggi) che il carisma del papa santo subito aveva per così dire contenuto e
oscurato. «Se il diritto del più forte schiaccia il più debole», titola il primo
piano del settimanale cattolico. Dove chi sia il più forte e chi il più debole è
fin troppo facile da intuire. La legge 40 «non ci soddisfa pienamente», ma ha il
merito, «di aver dettato alcune regole, là dove prima vigeva la legge del far
West, quella del più forte. E l'embrione "forte" non lo è di certo». Ed è per
difendere quel «minimo di regole» che il settimanale cattolico si batte per un
doppio no: ai quesiti e al referendum. Ma è proprio
l'ex direttore di «Famiglia cristiana», Leonardo Zega, ad aver firmato tra i
primi l'appello «Per il rispetto della sacralità della coscienza», promosso da
cattolici e lanciato dall'Adista online. Netto contro l'astensionismo. «Compito
dei vescovi è indicare valori, non imporre ai credenti scelte che competono alla
coscienza e alla fede di ognuno. Il cristianesimo non è mai stato solo potere e
lotta fra poteri. Il Vangelo e la profezia hanno incessantemente animato la
crescita dell'umanità lungo l'asse dei valori democratici, fra cui il primato
della coscienza, il pluralismo, l'etica della responsabilità. Che dire allora di
questa chiamata all'ubbidienza verso l'autorità e all'appartenenza ecclesiale in
occasione del referendum? Che ne è del primato della coscienza, che ne è del
pluralismo, che ne è dell'etica della responsabilità? Che ne è della lettera e
dello spirito del Concilio?». Il rapporto «fra la legge umana imperfetta e la
legge divina perfetta» non si può risolvere con il richiamo all'autorità, al
primato dell'appartenenza, né tantomeno con «un nuovo intruppamento dietro il
potere che si fa scudo di Dio».
Il manifesto 19/05/05
Madre Tettamanzi
IDA DOMINIJANNI
Il cardinale Dionigi
Tettamanzi, arcivescovo di Milano succeduto al cardinal Martini, è esperto di
bioetica, ha curato un dizionario della materia, ha aiutato Giovanni Paolo II a
scrivere le due encicliche Evangelium
vitae e
Veritatis splendor.
Nessuno nega che abbia tutti i titoli per
elaborare la posizione della Chiesa sullo statuto dell'embrione, sulla
procreazione assistita, sulla ricerca sulle cellule staminali. Della sua
competenza in materia di rapporti fra Stato (laico) e Chiesa, invece, è lecito
dubitare. E' con convinzione assoluta che infatti, nell'intervista rilasciata
ieri al Corriere della Sera,
ribadisce il dovere, non solo il diritto,
della Chiesa di intervenire «di fronte a scelte etiche e legislative di primaria
importanza come quelle che toccano la vita dell'uomo». Passi per le scelte
etiche; ma come la mettiamo con quelle legislative, che dovrebbero essere
appannaggio della sovranità del parlamento? Del resto, si sa che sul punto
Wojtyla la pensava come lui, tanto che nell'ultimo libro per attaccare l'aborto
attaccava direttamente i parlamenti che lo legalizzano. Tant'è: finita la
mediazione del partito cattolico, che quando voleva sapeva anche difendere la
laicità dello Stato, siamo ormai al più smisurato interventismo nella scena
politica (e mediatica) di papi, vescovi e cardinali. Il cardinal Tettamanzi
parla dalle colonne del Corsera
per fare da spalla al cardinal Ruini,
confermarne e benedirne l'invito, anzi l'ordine, rivolto da quest'ultimo ai
cattolici di disertare le urne il 12 giugno. D'accordo, l'astensione, nei
referendum, è scelta lecita. Ma è lecito anche imporla dal pulpito? Tettamanzi
sostiene di sì, anzi di più: è dovuto. «La Chiesa è madre e maestra. Come
maestra, ha il compito di insegnare. Come madre, può e deve orientare e guidare
i suoi figli in fedeltà al Vangelo». Che i suoi figli siano anche cittadini di
uno Stato laico non gli fa alcun problema.
Il cardinale e filosofo bioetico Tettamanzi, va da sé, non
ha dubbi che il 12 non voti sulla qualità di una legge, bensì sulla natura
dell'embrione; e, va da sé, non ha dubbi sul fatto che l'embrione sia essere
umano e persona. Il suo «diritto alla vita e all'integrità fisica» è «la soglia
di tolleranza» che non può essere oltrepassata da nessuna legge e nessun
parlamento. Come filosofo bioetico, il cardinale non è granché tollerante.
Però come ogni madre e ogni maestra di questo mondo il
cardinal Tettamanzi deve avere qualche problema di contestazione in casa e in
classe. Altrimenti non si spiegherebbe, dopo tanta ostentazione di certezze,
quell'improvviso «vivo bisogno» di invitare i cattolici a evitare «ogni forma,
più o meno larvata, di `reciproca scomunica'». Reciproca scomunica? Ma il mondo
cattolico non era unito come un sol uomo sotto le insegne dell'astensione? La
parola d'ordine materna e magistrale di Ruini non l'aveva compattato tutte,
dalle Acli a Cl, dalla Fuci al Cif ai focolarini? Non del tutto evidentemente, o
non quanto sembra in superficie, come adombra anche l'articolo di Marco Politi
su Repubblica di ieri: nella base cattolica pare che circoli una certa
paura di diventare «una falange integralista». Sotto il cielo il disordine è
sempre un po' più grande del previsto, e per fortuna.
Il manifesto 18/05/05