RIFLESSIONI PER IL REFERENDUM

 

 

IL MESTIERE DI OPPRIMERE
 

A gran voce molti cittadini, dai giornali ai pubblici dibattiti, accusano Ratzinger e la gerarchia cattolica di ingerenza rispetto ai 4 referendum. A mio avviso, le cose stanno diversamente.
Il Vaticano e la corporazione gerarchica cattolica fanno il loro mestiere e lo fanno con grande impegno. Essi, a livello strutturale, rappresentano una istituzione di abuso ideologico e spirituale, una delle centrali
della oppressione delle coscienze.
A mio avviso, questo è sostanzialmente il mestiere che sanno fare con coerenza e radicalità.
E' comprensibile lo stupore per i toni da crociata, ma la loro politica, il loro progetto consiste nell'agire e organizzarsi contro la libertà delle coscienze e contro la laicità.
Una rigorosa analisi della struttura gerarchica ci libera da ogni illusione. La "retorica dell'embrione"fa parte di questa politica del dominio. Come credente, vivo la realtà e la pratica di una "chiesa altra" e mi prendo la motivata e convinta responsabilità di votare 4 SI........ in compagnia di milioni di donne e di uomini che cercano di far fiorire la vita fuori dai dictat di un'autorità senza autorevolezza.

don Franco Barbero  

http://www.tempidifraternita.it/index.htm

 

 

Il prete e il suo fustigatore

"Io andrò a votare, questo è certo. Non so ancora come.
In ogni caso ritengo di dovermi riferire ad un'obbedienza superiore a quella che devo ai miei pastori:l'obbedienza al Vangelo, e alla mia coscienza illuminata dal Vangelo"

"Quello di Ruini lo ritengo un intervento volgare, che spero i cattolici alla fine non ascoltino. Squallido dal punto di vista culturale e ambiguo dal punto di vista ecclesiale. Più preoccupato del risultato politico finale che dell'unica cosa che invece dovrebbe contare per la Chiesa: che ogni cristiano possa decidere secondo coscienza"

don Fabio Masi - da 23 anni parroco di S. Stefano a Paterno (Bagni a Ripoli, Firenze)
La Repubblica, cronaca di Firenze 4 giugno 2005

 

 

Un Capezzone qualsiasi


"Il solo fatto che Ruini finisca sui telegiornali come un Capezzone qualsiasi
ne svilisce completamente il ruolo."
Daniele Capezzone, Segretario dei Radicali italiani
Giornale di Sicilia, 8 giugno 2005

 


 

Appello di alcuni docenti della Facoltà teologica valdese di Roma per il voto ai referendum sulla fecondazione assistita
 

Fulvio Ferrario, Daniele Garrone, Ermanno Genre, Martin Hirzel e Yann Redalié, professori della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, hanno reso noto, il 3 giugno scorso, un documento in cui prendono posizione sulla necessità di andare a votare agli imminenti referendum sulla procreazione assistita. "Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono d iventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare", scrivono. Proprio per questo, "è doveroso andare a votare". Di seguito il testo da loro sottoscritto.
Impegnati da tempo nel dialogo ecumenico ed interreligioso ci sembra importante dire con franchezza perché non possiamo accogliere il pressante invito della Cei, rivolto certo in primis ai cattolici, ma anche a tutti i cristiani e a tutti i cittadini di questo paese, a non andare a votare i 4 referendum relativi alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, il 12 e 13 giugno 2005.
Sulla materia oggetto dei quesiti referendari la nostra Chiesa non ha assunto alcuna posizione ufficiale, certo non sono mancate significative prese di posizione a favore dei referendum abrogativi, ma le posizioni non sono unanimi (si veda il dossier del settimanale Riforma del 27.05.05). Come in altre simili occasioni, per la formazione della propria convinzione si è preferito privilegiare un dibattito largo e app rofondito e un libero confronto su argomenti così essenziali e delicati.
Su un punto però riteniamo doveroso intervenire, cioè sulla decisione libera e personale presa in coscienza da ciascuno, cardine dell'espressione democratica, che nei nostri sistemi elettorali viene garantita dalla segretezza del voto. Qui non è in discussione la legittimità dell'astensione o del non voto; invitare all'astensione è pienamente legittimo dal punto di vista della legge. La questione di fondo è però un'altra: essa concerne l'esercizio della libertà di esprimere la propria personale opinione.
La campagna che si è sviluppata nelle ultime settimane da parte della Cei, sia attraverso i media sia attraverso una mobilitazione capillare nelle parrocchie, ha spostato il luogo della decisione fuori dalla cabina di voto. Infatti, se il significato del non voto rimane ambiguo - può essere motivato dall'indifferenza totale oppure dalla convinzione più forte -, l'andare a votare, atto palese, pubblico e no n garantito dal segreto, si carica di un significato chiaro di disubbidienza all'autorità ecclesiastica (o almeno di non raccogliere l'invito pressante della gerarchia cattolica).
Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono diventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare. E questa situazione in un paese dove la presenza della Chiesa cattolica è capillare, e tante persone ne dipendono per il loro lavoro quotidiano, rappresenta una pressione notevole, tale da poter provocare autocensura.
Dialogare in un libero e leale confronto ideale, convincere e farsi convincere, e lasciare poi la piena libertà di espressione della propria convinzione: tale è l'invito che vorremmo rivolgere a tutti quelli che hanno una posizione da fare valere nel dibattito. Anche per questo motivo fondamentale, per noi è doveroso andare a votare sui quesiti referendari il 12 e 13 giugno.
 

(Fonte: Adista)


 

 

Nel nome di dio
ROSSANA ROSSANDA


E'dal 1948 che la chiesa cattolica apostolica romana non lanciava le sue schiere contro la laicità dello stato come sta succedendo in questi giorni, da quando il cardinal Ruini ha suonato la carica. Cinquant'anni fa portarono in giro fra gli operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni delle madonne di media grandezza che erano dette «pellegrine». Appena la Dc vinse le elezioni del 18 aprile le riposero in sagrestia. Alla stessa stregua si ritirava dalla radio, dove aveva tuonato tutti i giorni, padre Lombardi detto «il microfono di Dio». Il Papa taceva dopo aver usato l'arma letale, la scomunica, contro i comunisti e chi li votava. Il cardinal Ruini doveva essere ancora un fanciullo e Ratzinger cantava forse nel coro della messa in Baviera. Da allora non s'era vista un'analoga mobilitazione. La Democrazia cristiana non osava inginocchiarsi in Vaticano un giorno sì e un giorno no, stava più attenta nelle forme alla laicità dello stato, si comportava insomma da partito cattolico tornato al mondo dopo i non expedit. Le cose cambiarono venti anni dopo con i referendum sul divorzio e soprattutto sull'aborto - quest'ultimo chiamato ad abrogare la 194. Poiché si suppone che le donne seguano il marito o il prete, e gran parte di destra e sinistra lo dava per perso, la Chiesa non si mobilitò con la stessa energia, delegando soprattutto al Movimento per la vita di spaventare la gente portando in giro grandi boccali contenenti feti sotto spirito. Non ricordo che il Papa scomunicasse nessuno - forse ai preti era arrivata la direttiva di non assolvere la abortente, ma sono secoli che la disattendono. Le donne votarono compattamente No, salvo in una regione, e la Chiesa parve ritirarsi in buon ordine.

Oggi la Dc non c'è più e la posizione della Udc - fatta eccezione per il ministro Buttiglione - è meno sguaiata di molte di quelle della Casa della Libertà, peraltro minata all'interno da Stefania Prestigiacomo. Ma è la chiesa che è scesa in campo come un enorme partito, ramificato in ogni angolo della penisola, vescovi, parroci, manifesti murali, giornali e giornaletti. Forse qualche bravo parroco disobbedirà in silenzio. Ma per il resto la gerarchia ha funzionato come un orologio. Il nuovo papa Benedetto XVI, già cardinal Ratzinger, ha usato magistralmente della dottrina della quale è stato per ventisei anni occhiuto custode, anzi le ha dato una piccola spinta in più, sulle orme di Giovanni Paolo II: ha denunciato gli orrori della modernità relativista e la tentazione eugenetica insita nella scienza. Quel che non ha fatto lui stesso lo fa il cardinal Ruini. I volteggi intellettual-filosofici degli atei devoti - stirpe che finora si ignorava - gli ha fatto toccare con mano quante inaspettate alleanze fossero disponibili nel campo presunto laico. Il presidente del senato Marcello Pera ha chiamato a gran voce alla religione come surrogato delle ideologie. L'arma fatale che il Vaticano ha impugnato, ritenendo che nel voto normale il No riuscirebbe perdente, è il tentativo di far mancare il quorum. Manovra politica spregiudicata oltre che la sola che permette di controllare il voto: diversamente da chi mette la scheda nell'urna, chi sta a casa è visibile, specialmente nelle piccole città e può essere annotato dalla parrocchia.

Sul ribrezzo che fa a me, donna, vedere con quanta ingordigia un'autorità tutta maschile, tutta celibe, e presumibilmente tutta ignorante di che cosa significhino sessualità, maternità, paternità, metta il naso e i suoi fantasmi nell'intimo del corpo della donna e nelle sofferenze della coppia, non appongo verbo. Ma come cittadina di una repubblica che credevo laica sono rivoltata dalla genuflessione di tutte le sfere dello stato. E dal silenzio di un altro grande che parla tutti i giorni, il Presidente della Repubblica, davanti a un'intrusione senza precedenti della chiesa nello stato.

il manifesto 09/06/05

 

 

Iperpoliticismo, assenza di tradizione laica, trasformismo. Tutti i mali italiani nella competizione tra sì e no

Astensionisti e crociati. Un'anomala vigilia batticuore per un referendum

 
Facciamo subito un'ammissione. Non è facile scrivere sulla vigilia del referendum pro o contro la Legge 40. Non perché non si abbia un'opinione sull'oggetto del voto. Il problema è che le questioni sottoposte al pronunciamento popolare (ricerca scientifica, salute della donna, diritti del concepito, fecondazione eterologa) si sono caricate di un tale furore ideologico da far assomigliare la Repubblica italiana alla Repubblica islamica iraniana.
Titoli di quotidiano tipo "Nell'embrione c'è Dio" ("il Tempo") sembrano datati prima della pace di Westfalia del 1648, quando sembrò aprirsi la breccia di una separazione di compiti tra potere temporale degli Stati nazione e potere spirituale della Chiesa cattolica (con la sconfitta del Sacro romano impero terminò la "guerra dei trent'anni" e gli Stati si riconobbero tra loro in quanto tali, al di là della fede dei singoli sovrani). Pure la discussione sulla categoria di "persona" sembra riportarci indietro, facendo coincidere ogni embrione con un soggetto consapevole.
In più, come se questo non bastasse, il referendum si è caricato di una violenta polemica tra fautori dell'astensionismo e partigiani del confronto a viso aperto con "sì" e "no" alla Legge 40. Il caso dei presidenti di Camera e Senato astensionisti non ha precedenti. Per questo, merita ammirazione la posizione di Rosi Bindi, deputata della Margherita, che pur avendo votato alla Camera la Legge 40 ha dichiarato pubblicamente che andrà a votare i suoi quattro "no" dal momento che avverte la responsabilità di doversi confrontare con gli umori più larghi dell'elettorato proprio perché siede in Parlamento. Non la pensa così Francesco Rutelli, presidente del partito della Bindi, che ha annunciato la sua astensione con voluta solennità in una conferenza stampa. E, altro fatto paradossale, c'è Romano Prodi, leader dell'Unione di centrosinistra, che da tempo ha annunciato che lu i domenica si recherà a votare ma non ha ancora voluto rivelarci se nell'urna infilerà dei "sì" o dei "no". Il che, con i tempi che corrono, per un cattolico praticante è già una manifestazione di autonomia rispetto al Papa, al Vaticano e al cardinale Ruini.
Ecco l'altra questione. Erano molti anni che il Vaticano non scendeva in campo con tale virulenza su una scadenza politica dello Stato di Roma. Prima con gli interventi della Conferenza episcopale italiana; poi con le parole di fuoco di Benedetto XVI che costituiscono un imprimatur del suo nascente papato sia sull'indicazione di voto astensionista sia sugli anatemi contro coppie di fatto, omosessuali e ogni stile di vita contemporaneo che esca dai canoni della tradizione; poi ancora con lo schierarsi di tutta la stampa d'orientamento cattolico all'unisono, facendo balenare l'idea che l'Italia è il paese occidentale dove le crociate hanno ancora la possibilità di vincere.
Com'è infatti truffaldino quello slogan astensionist a che campeggia sui muri delle città italiane, inventato da qualche furba agenzia pubblicitaria: "Sulla vita non vi vota". Sulla vita hanno invece votato Camera e Senato, approvando la Legge 40. E' quindi giusto che possa esprimersi l'intero corpo elettorale.
Il quadretto dell'Italia che esce da queste settimane, a voler essere generosi, è un po' naif. Il paesaggio ha i colori pastello e i personaggi sono tutti riconoscibili. Sarà un caso, ma la parola francese "naif" indica ingenuità e semplicità. I pittori naif, inoltre, hanno come comune caratteristica un linguaggio elementare (mancanza di proporzioni e di prospettiva). L'Italia rifiuta infatti di trasformarsi in società complessa e avanzata, dove contano i contenuti del vivere collettivo e dove è consolidata la tradizione dello Stato di diritto che rispetta le religioni ma rifiuta di sceglierne una sola come maestra di vita. E' la tradizione laica a non assisterci.
Di questa anomalia italiana fa pure parte il modo singolar e con cui tradizionalmente discutiamo di etica. Le passioni scoppiano solo quando la categoria di etica è coniugata a comportamenti sessuali, o mettono in discussione il modello patriarcale di famiglia. Mai che ci venisse in mente che accanto alla parola etica possiamo coniugare il nostro rapporto con le istituzioni, quello con la comunità in cui viviamo, il nostro essere cittadini insieme ad altri con diritti e doveri. Esiste perfino un'etica della politica troppo spesso dimenticata, abituati come siamo alle tradizioni italiche del trasformismo e dei voltagabbana.
Prepariamoci, allora, a commentare l'esito del referendum di domenica e lunedì prossimi. Il pessimismo della ragione dice che il quorum verrà raggiunto solo se il paese reale non corrisponderà al paese legale. Detto in poche parole, se sterilità diffusa e diritti di coppia, oltre che della donna, faranno capolino da sotto la cenere per svelarci – come avvenne sul divorzio e sull'aborto – che c'è una maggioranza con una propria opinione capace d'imporsi su Chiesa, leader di partito e anchorman alla Giuliano Ferrara.
Si tratta, diciamocelo, di una piccola speranza. La cruda realtà va in tutt'altra direzione: al 20-30 per cento di astensione fisiologica si sommerà quella militante, messa in moto da parrocchie e pezzi di partito. Il giorno dopo, se il quorum non sarà raggiunto, politologi e no faranno a gara per convincerci che l'Italia è un paese ultramoderato, dove vince solo chi conquista il centro: si chiami Democrazia cristiana, Forza Italia, Udc o Margherita. E, chissà, anche i conti all'interno dell'Unione si regoleranno a base di quorum. Rutelli, ad esempio, se vinceranno gli astensionisti, potrebbe sentirsi più forte e più moderato nel dettare le sue condizioni all'insieme del centrosinistra. Gli stessi politologi ci diranno pure che a noi di sinistra non resta che assolvere al ruolo che abbiamo sempre svolto: quello di una minoranza rispettata, ma che resta tale sia che si chiami comunista , socialista o democratica di sinistra. Questa volta, però, è giusto riconoscerlo, la sinistra ha fatto interamente la sua parte: Ds, Rifondazione, Verdi e Pdci si sono spesi in una campagna elettorale controcorrente.
Che c'entrano queste osservazioni sparse con il referendum del 12 e 13 giugno? Forse nulla, o forse moltissimo. Votare quattro "sì", in barba ad astensionisti e crociati, significa che gli embrioni in soprannumero potranno essere congelati e utilizzati per la ricerca scientifica; che della fecondazione assistita potranno usufruire anche coppie non sterili ma con difficoltà alla procreazione; che la nozione di "persona" non potrà coincidere con l'embrione e che in caso di conflitto tra salute dell'embrione e salute della donna sarà la seconda a prevalere; che il desiderio di maternità potrà essere realizzato anche attraverso tecniche di fecondazione eterologa, cioè con donatori di spermatozoi o ovociti esterni alla coppia.

Aldo Garzia

 

Vaticano. Benedetto XVI continua nella campagna contro il referendum e dice: ''Astenetevi da ciò che non piace a Dio''

Ratzinger senza freni: pure la Bibbia dice di astenersi


“Principio della saggezza è il timore del Signore”. Così recita il terzultimo verso del salmo numero 110. “Che cosa è principio di sapienza se non astenersi da tutto cioè che è odioso a Dio?”, ha commentato ieri papa Benedetto XVI nella tradizionale udienza generale del mercoledì, tenuta senza la papalina, raccontano le cronache, per evitare l’imbarazzo di vedersela portare via dal vento che in mattinata spazzava le vie di Roma. “Il vento ci ricorda lo Spirito Santo”, ha poi detto Ratzinger, forse per intendere che le sue parole venivano dall’alto.
Quel verbo, “astenersi”, non è stato scelto a caso dal pontefice. Nel pieno della battaglia referendaria, nel giorno in cui Gianfranco Fini criticava gli astensionisti, beccandosi i rimbrotti dei clericali dentro e fuori il suo partito, la sortita del papa non è passata inosservata.
Già qualche giorno prima Ratzinger si era scagliato non solo contro i referendum, ma persino contro l’aborto e il divorzio, tanto per rendere chiaro a tutti qual è il prossimo traguardo di Santa Romana Chiesa. “La vita è intangibile fin dal momento del concepimento”, aveva detto il 6 giugno. Per poi aggiungere che “la vita viene data interamente solo quando con la nascita vengono dati anche l'amore e il senso che rendono possibile dire sì a questa vita”. Come dire che la fecondazione assistita non garantisce questa trasmissione di amore e di senso. Del resto sbaglia chi “pensa che l’uomo possa fare ciò che vuole del suo corpo”. E non solo l’aborto è condannabile: è peccato “sopprimere o manomettere la vita che nasce”. Niente diagnosi reimpianto, niente ricerca sugli embrioni. Il divorzio, le coppie di fatto, le unioni tra omosessuali sono “odierne di dissoluzione del matrimonio”.
Parole chiare, rafforzate ieri da un invito che suona quasi un appello elettorale: “Astenetevi da ciò che non piace a Dio”. E, secondo il papa, a Dio non piacerebbe che una coppia malata (la sterilità è considerata tale dall’Organizzazione mo ndiale della Sanità) possa trovare un rimedio alla propria sofferenza. Forse il Salmo 110 – ci permettiamo di suggerire ai nostri lettori e non certo al papa che lo conosce benissimo - andrebbe letto tutto: “Pietà e tenerezza è il Signore”. La Chiesa non sempre ha dimostrato tali virtù. Basti pensare (lo ricordava Luca Coscioni sul “Riformista” del 13 maggio) che le gerarchie perseguitarono il noto medico bolognese Francesco Rizzoli, reo di praticare il parto cesareo. Non nel ‘500, ma nel 1833. Fino al 1956 la Chiesa condannava l’anestesia epidurale, perché nella Genesi è contenuta una condanna eterna per la donna: “Partorirai con dolore”. Poi, per fortuna, Pio XII lasciò libertà a questa pratica. Nel 2000 un documento della Conferenza episcopale italiana ha condannato le cosiddette medicine alternative, facendo peraltro un solo calderone di cose profondamente diverse. “Erboristeria, Agopuntura, Omeopatia, Riflessologia, Iridologia, Pranoterapia, Reiki, Shiatsu” sono da evitare, dic evano i vescovi, in quanto possono essere “dannose non solo per il corpo ma per lo spirito” in quanto si rifarebbero a dottrine orientali e misticismi vari che sono incompatibili con la fede cattolica. Qualcuno però dovrebbe spiegare ai vescovi italiani che, a parte la poca o nulla scientificità di alcune di queste tecniche, tra gli effetti collaterali delle cure con la salvia e l’achillea non si annoverano conversioni al buddismo.

Guido Iodice

 

da:  www.aprileonline.info  n° 277 del 09/06/2005
 

 

 

LA LAICITÀ DELLO STATO VA DIFESA: TUTTI A VOTARE !

La sacralizzazione del concepito e istigazione all’astensionismo

di Maria Mantello

Con l’approssimarsi della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno per abrogare alcune parti della legge 40 sulla fecondazione assistita, le gerarchie vaticane, coadiuvate dai loro comitati, da diversi politici, e finanche (cosa scandalosa) da alcune tra le più alte cariche dello Stato italiano, hanno intensificato i loro appelli a disertare le urne.

La Costituzione vincola la validità del referendum al fatto che votino la maggioranza degli aventi diritto. Ma forse i Padri Costituenti non immaginavano l’uso furbastro e strumentale che di questo principio si sarebbe fatto per evitare un confronto chiaro e leale sulla legge 40. Considerando che ad ogni votazione le astensioni fisiologiche sono ormai intorno al 30 -35 %, basterà infatti ai sostenitori della legge 40 un semplice 15 - 20 % di non votanti per raggiungere il loro obbiettivo. Così, se l’operazione riesce, una schiacciante minoranza potrà zittire la maggioranza degli italiani, che, stando ai sondaggi, voterà sì. Del resto, lo stesso cardinale Ruini ha espressamente dichiarato che andando alle urne non si potrebbe ottenere lo scopo desiderato di mantenere in vigore questa legge. E’ scattata così la crociata astensionista: credere obbedire… e combattere per non far raggiungere il quorum.

La scelta della Chiesa di richiamare i fedeli all’obbedienza alla sua ortodossia (tra i primi a piegare la testa è stato Giulio Andreotti, che in un primo momento aveva detto che sarebbe andato a votare, ma poi ha preferito abiurare) si configura come una vera e propria pressione sulle coscienze, che contrasta col principio Costituzionale del diritto-dovere al libero esercizio di voto. Una violazione dello stesso Concordato, nonché del Testo unico delle leggi elettorali, che all’articolo 98 (le sottolineature sono nostre) recita: “Il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all'astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000”.

Certamente la Chiesa si trova in difficoltà di fronte ai cambiamenti radicali di costume, che mettono palesemente in crisi la sua concezione morale. Negli anni ha dovuto incassare dolorose sconfitte: divorzio, anticoncezionali, aborto. Lo scarto esistente tra società civile e i principi dottrinari propugnati dalle più alte gerarchie cattoliche è fin troppo evidente. Nessuno si comporta più secondo i suoi dettami, neppure la quota assai minoritaria dei cattolici praticanti. La società è laicizzata nei fatti. E questo per la Chiesa è intollerabile. Ha così rinserrato le fila ottenendo legislazioni in linea con i suoi fideistici principi. Ha strappato leggi per il finanziamento delle sue scuole confessionali; per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica (da lei designati, ma pagati dallo Stato e che potranno insegnare anche materie diverse dalla religione cattolica). Ha ottenuto, grazie al ministro Moratti, riforme della scuola statale ispirate alla visione cattolica. Si pensi, ma è solo un esempio, al tentativo di estromettere dai programmi di studio le teorie evoluzionistiche, perché in contrasto col miracolo creazionistico cristiano.

Un circuito reazionario, chiuso per il momento con la legge 40. Con essa il Vaticano ha ottenuto la sacralizzazione del concepito, premessa per rivedere la legge 194, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche in un futuro non troppo lontano l’uso di anticoncezionali: la spirale e la “pillola del giorno dopo”, non attentano al “concepito”? E la pillola e il preservativo, non attentano all’ovulo e allo spermatozoo? Nessuno si faccia illusioni, la legge sulla fecondazione assistita sarà il maglio per eliminare le conquiste civili dell’emancipazione delle donne, per riportarle alla maternità come condanna. Alla Chiesa la legge 40 interessa solo in funzione del concepito: “Non cambia però, la nostra posizione riguardo a questa legge – ha detto Camillo Ruini all’apertura del Consiglio permanente della Cei- che sotto diversi profili non corrisponde all’insegnamento etico della Chiesa, ma ha comunque il merito di dare dignità alla persona umana”.

Per la Chiesa ogni procedura fecondativa, che sveli in qualche modo il “mistero-miracolo” della vita e svincoli il rapporto sessuale dalla procreazione, è impensabile. Ma difende allo strenuo la legge 40 perché il concepito, l’ovulo fecondato, che senza il corpo della donna che le accoglie non potrebbe vivere, è divenuto un Soggetto di diritto.

Un’idea di persona, dunque, è diventata più importante della donna che è obbligata all’impianto. Un’idea di vita è diventata più importante dei malati di tumore, di Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, ecc. Perché questa legge nega lo studio sulle cellule indifferenziate preembrionali, equiparandole ad una persona già nata.

Non interessa la donna, riportata a contenitore, nel cui utero devono essere impiantati tutti e tre gli embrioni prodotti. Non interessa il bambino, perché l’embrione, anche se malato va accettato comunque, anche se sviluppandosi sarà un bambino malato. E quanti embrioni vanno a morte grazie a questa legge, se non si emenda coi referendum, giacché essa ne impedisce la conservazione?

Non interessa né la donna né il bambino futuro, perché se tutte e tre le cellule fecondate dopo 15 giorni attecchiscono possono dar luogo anche a parti trigemellari, che come noto, qualche conseguenza hanno per la salute della madre e dei figli stessi che partorirà. Se poi nessuno degli embrioni riuscirà ad impiantarsi nell’utero, la donna dovrà ripetere la cura: altri dosaggi ormonali, altre anestesie, altri interventi…, altri dolori, altre angosce.

Una legge che non tutela nessuno, neppure il progetto di vita che dice di volere difendere. Una legge che è contro anche la ricerca e la professionalità del medico, perché non si può più valutare caso per caso e decidere insieme alla coppia, alla donna in primo luogo, la strada migliore per portare felicemente a compimento la gravidanza risultato della fecondazione assistita.

I cattolicissimi “comitati per la vita” affermano di difendere la vita, ma è solo un’idea di sofferenza, di rassegnazione e croci da sopportare che vogliono imporre a tutti.

Tutto in nome del Concepito. Un principio ontologico, continuano a tuonare i Vescovi e i loro reazionari coefori per i quali un’idea di uomo (il principio ontologico) è più importante dell’individuo storico concreto: il nato.

Vale appena ricordare, che in nome di un’idea di uomo precostituita, e coincidente con il cristiano, la Chiesa ha incarcerato, torturato arsi vivi milioni di individui. Solo per fare qualche esempio, in nome di questa idea-essenza di uomo non erano considerati esseri umani a pieno titolo gli ebrei, colpevoli di non volersi battezzare; gli indiani d’America definiti omuncoli; la donna, definita da s. Tommaso maschio sbagliato (mas occasionatus) e quindi incapace di intendere e di volere, e per questo soggetta a controllo serrato per ottenerne l’omologazione al mito del fiat mariano nel rassegnato concepimento. Qui e solo qui esplicherebbe il “suo genio femminile” nella “sua vocazione” sacrificale di madre. Da s. Agostino a Wojtyla, a Ratzinger, in un ruolo che ne giustificherebbe la sua stessa esistenza come “compagnia dell’uomo”. Per la gerarchia vaticana l’essenziale è garantire il mitico mistero del concepimento. E attraverso questo il controllo sul corpo delle donne e sulla sessualità per controllare l’intera società. Per questo fin da quando un ovulo s’incontra con uno spermatozoo deve essere blindato.

Non a caso, allora, la legge 40, varata a febbraio del 2004, è passata quasi in sordina. Un vero dibattito non c’è stato, né all’interno del Parlamento, né tanto meno nel Paese. I circa trecento emendamenti proposti, compresi quelli tesi ad evitare la deriva oscurantista, sono stati respinti da una cordata che, da destra a sinistra, ha praticamente corazzato questa legge. La questione è stata portata all’attenzione della collettività solo a cose fatte. In occasione della raccolta firme per i referendum. Adesso si pretende dagli italiani che ancora non dicano la loro, che tacciano, che obbediscano, che il 12 e il 13 giugno non vadano a votare. “No all’uso stesso dei referendum su materie che sono decisive per il futuro dell’uomo”, recitano i materiali propagandisti dei “comitati per la vita” (quelli dell’astensione). Ma proprio perché sono questioni decisive per l’umanità interessano tutti. Proprio perché si tratta della vita, presente e futura, bisogna votare. O forse questa legge è un dogma, alla stessa stregua dell’Evangelium vitae, l’enciclica del 1995, per la quale Wojtyla si è appellato all’infallibilità del papa?

Non si vota e basta! Tuonano dal Vaticano. Ma lo Stato italiano deve garantire il sereno esercizio di voto. Anche uno sprovveduto, infatti, non può non rendersi conto di quanto sia facile individuare i disobbedienti al proprio vescovo che il 12 e 13 giugno andranno a votare. Quanti si sentiranno ricattati moralmente tra i parrocchiani, tra i dipendenti dei molti organismi cattolici, tra gli incaricati del Vaticano in strutture statali, tra coloro che magari dal vescovo si aspettano “una sistemazione” per sé o per i familiari. Si pensi a come sarà facile controllare chi andrà a votare soprattutto nei piccoli centri di provincia. Si pensi all’imbarazzo nei pressi dei seggi elettorali per il timore di essere visti, riconosciuti dal vicino di casa, dal conoscente, dal prete o dal parroco in persona: “lei qui?” “ Come.. veramente…cercavo … andavo…”. Scene degne di uno spettacolo comico, se non fosse in gioco qualcosa di più serio. La tutela del libero esercizio al voto, principio e linfa di ogni democrazia. Ma forse è proprio la democrazia che dà fastidio, perché vuole spirito critico, inneggia alla scelta autonoma contro la passiva obbedienza. Giordano Bruno nel 1600 è stato mandato al rogo per aver denunciato lo stato asinino in cui si pretende di tenere il fedele. Guglielmo da Occam, trecento anni prima di lui, è stato anche egli inquisito e torturato per aver posto in discussione la “tirannide” del principio d’autorità pontificia. Milioni di donne, dal XIII al XVIII sec., sono state violentate, torturate, arse vive. Erano accusate di essere streghe. Molte di loro erano medichesse e levatrici ed erano ritenute colpevoli di controllare il mistero della generazione, di favorirlo o impedirlo. In verità gestivano una “medicina” fatta da donne e dalla parte delle donne.

La reazione, viene dunque da lontano. La prima strega è stata mandata al rogo a Tolosa nel 1272, e l’ultima nel 1793 in terra polacca.

Oggi non vorremmo, che in nome del concepito contro le donne trovasse ancora legittimità nel nostro paese una qualche rinnovata “idea di rogo”.

Per questo per nascere, per guarire, per scegliere il 12 e il 13 giugno invitiamo tutti ad andare a votare. E a votare sì. Non ci sarà nessun far west, solo più umanità, più dignità, più responsabilità per tutti.

dal sito: www.italialaica.it

 

 

 

PUBBLICO PECCATORE IL CATTOLICO CHE VA A VOTARE?

di Marcello Vigli

Nei giorni scorsi il forsennato interventismo clericale nella battaglia referendaria sulla legge 40 del Comitato Scienza e vita, i cui attivisti fanno volantinaggio perfino nelle chiese, ha avuto la sanzione ufficiale della Cei e la benedizione di Benedetto XVI. Irrilevanti sono i sottili distinguo sul grado del suo coinvolgimento nella crociata dell’astensione bandita dalla Cei perché sono da attribuirsi allo stile del nuovo papa - che, non a caso, ha scelto l’assemblea dei vescovi e non il congresso eucaristico di Bari per esternare la sua posizione - e non ad una reale dissociazione dalla strategia politica del suo vicario cardinale Ruini, nella quale c’è ben altro che la permanenza della Legge. Si lotta per l’egemonia e per la rivincita sulle sconfitte, subite in occasione dei referendum sul divorzio e sull’aborto e della cancellazione delle “radici cristiane” dal Trattato costituzionale europeo.

Se così non fosse, sarebbe incomprensibile l’arroccamento sulle rozze disquisizioni sul valore dell’embrione, in un momento in cui si dovrebbe fare fronte comune per salvare la libertà della ricerca dalle insidie e dai condizionamenti della commercializzazione dei suoi frutti, e sulla pretesa di contrabbandare l’appello all’astensione come un’espressione dell’indiscusso diritto delle gerarchie ecclesiastiche a promuovere la propria concezione sulla procreazione medicalmente assistita.

Senza nulla togliere all’utilità delle puntuali contestazioni della sacralizzazione dell’embrione o delle documentate denunce sulla legittimità costituzionale di tale appello, è necessario accettare la sfida politica dell’integralismo cattolico smascherando la reale posta in gioco nella campagna referendaria in cui, se ce ne fosse bisogno, è ben evidente l’allineamento del cardinale Ruini e dei suoi seguaci con il berlusconismo, con o senza Berlusconi.

Si è cominciato denunciando che la prossima legge da abrogare sarà la 194. Si può aggiungere qualche riflessione su un altro “effetto collaterale” dell’eventuale vanificazione del referendum: la conferma che l’unica voce “cattolica” è quella dei vescovi.

L’appello all’astensione, che si configura come una vera e propria istigazione a violare la segretezza del voto, costituisce in verità la premessa per una vera propria schedatura dei cattolici disobbedienti, facilmente individuabili come pubblici peccatori. Che coloro che vanno a votare commettano peccato da confessare si va dicendo in migliaia di prediche e di interventi radiotelevisivi. Lo ha confermato l’onnipresente don Benzi martedì mattina ai radioascoltatori durante una puntata della trasmissione Istruzioni per l’uso in onda su Radio uno. Non è certo peccato andare a votare, ma il farsi complici del mantenimento di una legge che favorisce l’omicidio !!!!! Al di là di queste amenità, resta che la qualifica di “pubblico peccatore” non è senza conseguenze per cittadine e cittadini italiane/i preti e suore, militanti dell’associazionismo cattolico, volontari delle diverse Ong, dipendenti da enti ecclesiastici che andranno a votare, anche se il segretario della Cei ha dichiarato che la gerarchia sarà “clemente” nei confronti dei trasgressori. Per i preti si allunga l’ombra della sospensione a divinis come ai tempi delle campagne per i referendum sul divorzio e sull’aborto. Un’ombra più lunga, perché oggi la disobbedienza non può restare chiusa nel segreto dell’urna. Non ha bisogno di essere dichiarata, come allora, pubblicamente perché è resa esplicita dall’ingresso nella Sezione elettorale. Affari interni di chi vuole restare nel recinto ecclesiastico, si potrebbe dire. Non si può dire lo stesso per insegnanti di scuole confessionali e operatori sanitari nelle cliniche cattoliche tenuti, i primi perfino per contratto, a non assumere comportamenti in contrasto con la morale cattolica pena il licenziamento. Disobbedire alla gerarchia su questioni di fondo, e tali sono presentate quelle inerenti alla Legge 40, è moralmente peccaminoso. Che dirà Pezzotta, che ha dichiarato di astenersi, se onesti lavoratori, iscritti o non al suo sindacato, dovessero perdere il posto per avere esercitato il diritto dovere del voto? E i politici che oggi si affannano a seguire l’esempio del Presidente del Senato appiattendosi sull’ingiunzione della Cei proporranno almeno un’interrogazione parlamentare?

E Prodi, costretto a non ripetere l’iniziale timido “andrò a votare”, per non offrire nuovi argomenti ai suoi avversari “cattolici” nella Margherita, inserirà nel suo programma elettorale l’obiettivo di riequilibrare, almeno a livello di rispetto delle norme concordatarie, lo strapotere delle gerarchie italiane rese forti dalle migliaia di miliardi che ogni anno lo Stato regala alla Cei? Per farlo dovrà mettere in discussione il sistema di finanziamento della Cei attraverso l’erogazione dell’otto per mille, che la dabbenaggine dei negoziatori craxiani e cattocomunismi ha reso illimitato con il suo agganciamento al gettito dell’Irpef, destinato a lievitare nel tempo. Eppure ancor oggi tanti sedicenti laici, antistatalisti, continuano privilegiare la chiesa cattolica come destinataria delle proprie scelte in occasione della Dichiarazione dei redditi.

C’è ancora speranza che il quorum si raggiunga, anche perché si stanno moltiplicando appelli di cattolici pronti a sfidare i fulmini della gerarchia, ma in ogni caso la battaglia referendaria sarà servita a far crescere la consapevolezza, che la laicità non può essere considerata un optional da chi continua a credere che anche il nostro paese possa essere una democrazia.

Dal sito:  www. Italialaica.it 

 

 

 


 

A Giugno saremo chiamati a dare il nostro voto sul referendum abrogativo di alcune parti della legge 40 sulla fecondazione assistita. Ogni cittadino avrà il diritto di approvare o disapprovare parti della legge con il proprio voto. Autorevoli leaders dei partiti di maggioranza e di minoranza hanno chiarito che eserciteranno tale diritto. Quello che non ci sembra rispettoso della dignità della persona umana è l'indicazione della Conferenza episcopale italiana di "non" andare a votare. I cattolici e i laici che intendono far valere il principio della libertà di coscienza e della responsabilità personale possono firmare l'appello (cliccando su www.adista.it  ) e leggere le prime adesioni

Appello per il rispetto della sacralità della coscienza

in occasione del referendum del 12 e 13 giugno per la modifica della L. 40/2004 (procreazione assistita)

"Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore". Non è forzato, per noi e per molti cristiani, di fronte al referendum sulla procreazione assistita questo riferimento alle parole iniziali della Costituzione pastorale sulla Chiesa promulgata "a perpetua memoria" dal Concilio. Perché questa partecipazione in solido alla condizione umana porta necessariamente a partecipare anche alla trasversalità interna a ognuna delle aggregazioni che si creano in base a contrastanti opinioni e opzioni politiche attinenti direttamente all'etica. Non si pone qui la questione di coalizzarsi in un solo schieramento. Compito dei vescovi è indicare valori, non imporre ai credenti scelte che competono alla coscienza e alla fede di ognuno.

Il cristianesimo non è mai stato solo potere e lotta fra poteri. Il Vangelo e la profezia hanno incessantemente animato la crescita dell'umanità lungo l'asse dei valori democratici, fra cui il primato della coscienza, il pluralismo, l'etica della responsabilità. Che dire allora di questa chiamata all'ubbidienza verso l'autorità e all'appartenenza ecclesiale in occasione del referendum? Che ne è del primato della coscienza, che ne è del pluralismo, che ne è dell'etica della responsabilità? Che ne è della lettera e dello spirito del Concilio?
Vogliamo rileggere la magnifica apertura della "Costituzione dogmatica sulla Chiesa"? Il Concilio si serve di parole antiche, citando cioè il profeta Geremia e l'apostolo Paolo, per dire la parola nuova quasi rivoluzionaria che tanti, compreso in primo luogo Papa Giovanni, si aspettavano da tempo: "Ecco venir giorni (parola del Signore) nei quali stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo.Porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti l'imprimerò; essi mi avranno per Dio e io li avrò per mio popolo. Tutti essi, piccoli e grandi, mi riconosceranno, dice il Signore" (Geremia 31, 31-34). Cristo istituì questo nuovo patto, cioè la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. I Cor. II, 25).".
Questo è scritto nel documento conciliare fondamentale. Se tutti hanno impressa nella loro mente e nel loro cuore la legge di Dio perché non dare fiducia agli uomini e alle donne? Perché non affidare la ricerca delle soluzioni più giuste al contesto della partecipazione democratica in cui coscienze responsabili si confrontano e infine trovano mediazioni politiche? Perché forzare le coscienze col principio di autorità per fare un fronte politico contrappositivo?
Si obbietta da parte dei vertici ecclesiastici che "I parlamenti che approvano e promulgano simili leggi (quelle che legalizzano l'aborto, ndr) devono essere consapevoli di spingersi oltre le proprie competenze e di porsi in palese conflitto con la Legge di Dio e con la legge di natura" (Giovanni Paolo II, Memoria e identità).
E' vero che la democrazia non è esente da errori, da ingiustizie e da misfatti anche gravi. La guerra preventiva, ma si può dire la guerra senza aggettivi, è un esempio attuale eclatante che brucia a due anni dall'inizio della guerra contro l'Iraq. Ma la soluzione è il principio di autorità? Quando l'autorità ecclesiastica gestiva, direttamente o indirettamente, il potere civile non ha forse commesso gli stessi errori e misfatti e massacri?
No, la soluzione al problema del rapporto fra la legge umana imperfetta e la legge divina perfetta non è l'appello al principio di autorità, non è il ritorno al primato dell'appartenenza, non è un nuovo intruppamento dietro il potere che si fa scudo di Dio. La risposta è quella di Gesù: la profezia disarmata, la testimonianza che rifiuta il potere e che allontana da sé la tentazione stessa del potere. Lo indica bene l'apostolo Paolo in una sua lettera:
"(Gesù) pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce".

 

Prime adesioni
p. Felice Scalia, gesuita, Issur (Messina); don Antonello Solla, parroco di San Grato di Saluggia, Vercelli; don Enzo Mazzi, Comunità dell'Isolotto, Firenze; don Leonardo Zega, già direttore di "Famiglia cristiana", direttore di "Club 3";, Milano; p. Pierangelo, p. Adriano, p. Giorgio, Comunità dei Sacramentini, Caserta; suor Elisabetta (Gina Toscano), Comunità s. Agnese di Livorno-Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; suor Teresa Caterina (Maria Teresa Nannoni), Comunità s. Agnese di Livorno-Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; Lina Vicario, associata, Comunità s. Agnese di Livorno-Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'A-quino; suor Maria Teresa Ricci, superiora generale della Congregazione Serve di Maria di Ravenna; suor Maria Grazia Gaddoni, Congregazione Serve di Maria di Ravenna; suor Stefania (Leda Baldini), Comunità G. Savonarola e Compagni Martiri di Firenze - Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; suor Ludovica (Doriana Castellani), Comunità G. Savonarola e Compagni Martiri di Firenze - Unione Suore Domenicane S. Tommaso d'Aquino; don Paolino Trani, Città di Castello; don Paolo Farinella, Genova; don Andrea Gallo, Comunità di san Benedetto al Porto, Genova; don Olivo Bolzon, parroco emerito di San Floriano, altri….

 

 

Il voto del papa
FILIPPO GENTILONI

Come da copione: il nuovo papa non ha perso tempo e si è affrettato a condividere le discusse posizioni del suo cardinale vicario sul prossimo referendum sulla procreazione assistita. Lo si poteva prevedere: la sovraesposizione della gerarchia italiana era stata talmente evidente che un eventuale silenzio del nuovo papa sarebbe suonata come sconfessione. Papa Ratzinger non ha tardato a schierarsi. Domenica, a Bari, aveva parlato d'altro, dando così adito a qualche speranza: non pochi pensavano a una posizione meno decisamente schierata per l'astensione. A Bari si era parlato, in mariera abbastanza scontata, soltanto della sacralità della domenica. Ma l'appuntamento era soltanto rinviato. Eppure il papa avrebbe potuto ricordare la sacralità della vita fin dall'inizio, senza fare riferimento preciso ed esplicito al referendum italiano del 12 giugno. Poteva mantenere il suo discorso sul piano etico, senza intaccare quello direttamente politico.

Perché ha scelto, invece, un intervento diretto? Forse per non prendere le distanze dal suo vicario Ruini? Forse per partecipare in prima persona al ritorno del cattolicesimo italiano a quel protagonismo che sembrava in crisi negli ultimi anni di vita politica e sociale? Quel protagonismo che aveva avuto nella Dc uno strumento privilegiato e che, invece, negli anni del bipolarismo appariva in crisi? I vescovi lo avevano decisamente ripreso in mano, scegliendo la questione della fecondazione assistita come tema privilegiato, adatto a una posizione «bipartisan» che potesse abbracciare destra e sinistra. Con il sostegno, prima, di Giovanni Paolo II e, ora, di Benedetto XVI.

Con buona pace di tutti coloro, e sono stati molti, che hanno voluto vedere nei primi gesti del nuovo papa una sconfessione di quella rigidità che aveva caratterizzato il cardinale Ratzinger. Niente illusioni, dunque. E il riconoscimento della coerenza. Gli attacchi al relativismo che avevano caratterizzato il Ratzinger di prima, ora trovano conferma nel discorso sull'embrione e sulle sue sorti. E anche sul primato che il magistero vaticano, da un papa all'altro, attribuisce alle questioni riguardanti la fecondazione, il sesso, le nascite. Le altre questioni - pace, fame, aids, miseria, immigrazione, disoccupazione, ecc. - non sono dimenticate, ma possono attendere in panchina.

E così Benedetto XVI può affermare la stretta continuità con Giovanni Paolo II. Mentre il cardinale Ruini, con l'appoggio del papa, può chiamare a raccolta tutta la chiesa italiana, soprattutto i «movimenti» che ne rappresentano i settori più giovani e impegnati. Da Comunione e liberazione ai focolarini, tutti per l'astensione il 12 giugno.

Questa operazione riuscirà? Il consenso dei cattolici sarà veramente totale come auspica la conferenza episcopale con l'avallo del papa ?

Difficile dirlo, e per affermarlo non basterà certamente constatare l'eventuale non raggiungimento del quorum. Ben altri sono i criteri per giudicare il livello di religiosità dei cattolici italiani.

  Il manifesto 31/05/05

 

 

La legge 40, duemila anni fa
di Enzo Mazzi* (L’Unità, 04.06.2005)

Ogni cultura ha le sue contraddizioni. Il cristianesimo non fa eccezione. Nato come movimento popolare messianico, di alternativa radicale ai poteri costituiti, in una insignificante provincia dell'impero, si è trovato dopo meno di tre secoli proiettato ai vertici del potere imperiale, riconosciuto come religione di stato di tutto l'impero.

«È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l'evoluzione del cristianesimo antico. Dapprima quest'ultimo è stato vittima del diritto della spada (le persecuzioni); poi i cristiani, certo non senza discussioni, si appellarono al “braccio secolare” contro i pagani, contro i barbari, contro gli eretici. Il decreto dell'imperatore Teodosio del 27 febbraio 380, per citare il documento più emblematico dell'epoca, stabilisce che “solo chi segue papa Damaso (366-384) può attribuirsi il nome di cristiano cattolico”. Gli altri incorrono “già su questa terra nel nostro (dell'imperatore) castigo, secondo la decisione che noi abbiamo tratto dall'ispirazione celeste”. Se dunque nell'antichità vi è stato un legame indissolubile tra “natura, uomo, Dio, ethos, religione”, per essere fedeli alla storia, si sarebbe dovuto collegarvi anche il diritto e il diritto nella sua forma coercitiva e penale». Ha scritto queste cose qualche anno fa, nel 1999, addirittura un cardinale membro della Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal card. Ratzinger, il card. Pierre Eyt, delfino dello stesso Ratzinger, oltre che arcivescovo di Bordeaux. Le ha scritte sul quotidiano cattolico francese La Croix in aperta polemica con la “parzialità” ideologica di Ratzinger, il quale parlava, e parla, di cristianesimo come verità e amore ma si dimenticava (e si dimentica?) del cristianesimo come potere e potere coercitivo.

Il cristianesimo ha in sé i segni di una tale complessità storica, è segnato dalle orme del suo cammino nei secoli impresse nella sua identità profonda. C'è nel cristianesimo ben visibile il potere, la ricchezza, l'inflessibilità. Ma ha mantenuto anche quell'ansia profetica di un “mondo nuovo”, radicalmente nuovo, che Gesù e i suoi seguaci, uomini e donne del popolo, pescatori poveri ed emarginati, chiamavano “Regno di Dio”. Quest'anima del non-potere, della esclusione, non è mai stata completamente affogata dall'onda lunga della ricchezza e del potere.

M'introduco in un ambito teologico un po' complesso che però i cattolici dovrebbero sempre tenere presente. La profezia biblica, cioè la Parola di Dio, non solo non è ideologica, ma ha in sé un principio perfettamente opposto all'ideologia: il principio della incessante ricerca umana. La Bibbia assume la storia nella sua complessità, assume le dinamiche che hanno spinto e spingono l'umanità ad approfondire consapevolezze, a ricercare strategie e soluzioni per affrontare, in contesti differenti, il grande tema della vita. È proprio l'opposto della legge 40.

Basta pensare all'esperienza di Abramo, il padre di tutti i credenti. Apriamo il Libro della Genesi al Cap. 16 e troviamo una profezia per noi sconcertante. È un racconto mitico, come tanti altri della Bibbia, ma proprio per questo è particolarmente significativo perché assume le imperfezioni della condizione umana come strumento di salvezza: «Sara, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sara disse ad Abramo: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abramo ascoltò la voce di Sara. Così, al termine di dieci anni da quando Abramo abitava nel paese di Canaan, Sara prese Agar l'egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abramo, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. … L'angelo del Signore andò incontro ad Agar presso una sorgente d'acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, e le disse: “Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla per la sua moltitudine”. Soggiunse poi l'angelo del Signore: “Ecco, sei incinta:/partorirai un figlio/e lo chiamerai Ismaele,/perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione”. Agar chiamò il Signore, che le aveva parlato: “Tu sei il Dio della visione”. Questa profezia sulla procreazione non è la sola.

Un altro racconto biblico mitico è la discendenza di Gesù da un figlio d'incesto: Fares. «Giuda (uno dei dodici figli di Giacobbe, antenato fondamentale della genealogia di Gesù) prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan (il suo secondo figlio): “Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello”. Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: “Ritorna a casa da tuo padre come vedova fin quando il mio figlio Sela (il figlio più piccolo) sarà cresciuto”. Perché pensava: “Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!”. Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa del padre». Passano anni ma Giuda non rispetta il diritto di Tamar di avere figli. Allora Tamar escogita un piano ingegnoso: si traveste da prostituta, adesca Giuda e resta incinta. Quando Giuda scopre che Tamar è incinta intima di farla bruciare. Ma Tamar gli dimostra con segni precisi che il bimbo che porta in seno è figlio di lui. Allora Giuda esce con questa affermazione “Ella è più giusta di me”. Il figlio di Tamar e di Giuda sarà chiamato Fares e da lui è fatto discendere David e quindi Gesù. Le storie di Agar e di Tamar sono presentate dalla Bibbia come esemplari, profetiche, ma non come dogmi. Non è teorizzato l'uso delle schiave in sostituzione di mogli sterili né l'incesto per dar prole ai mariti che muoiono senza figli. Il principio che viene esaltato è l'evoluzione continua e senza fine del cammino umano. È il cammino umano in quanto evoluzione che viene assunto da Dio e animato dal di dentro. E così dovrebbe essere oggi nei confronti della ricerca attuale sulla procreazione la vita.

Ma la profezia più significativa e ardita è il concepimento di Gesù da parte di Maria sua madre. Non entro nella problematica riguardante il significato storico del concepimento verginale di Gesù. Se il racconto sia metaforico o reale. Voglio solo rilevare che gli autori dei Vangeli esaltano il diritto di Maria di avere un figlio al di fuori delle norme che a quel tempo regolavano la procreazione. Maria concepisce Gesù con una fecondazione fuori dalle norme. Si potrebbe dire che se ci fosse stata la legge 40 Gesù non sarebbe mai nato.

Con parole forse più convincenti dice queste stesse cose quel cardinale Eyt che ho già citato sopra, nella conclusione del suo intervento su La Croix, in contraddittorio appunto col card. Ratzinger: «Il tempo che viviamo è segnato da un'evoluzione profonda della coscienza morale e giuridica. Questa evoluzione non potrebbe apportarci qualcosa di nuovo e di più chiaro, qualcosa che si configuri come una “razionalità” diversa da quella dell'antichità e del Medioevo? Su questi temi, che pongono degli interrogativi profondi, la riflessione della chiesa non può rinchiudersi nell'evocazione di un'età dell'oro, sempre discutibile. Non possiamo, al contrario, mettere un po' più alla prova alcune nostre concezioni e pratiche di fronte alla provocazione della razionalità e della sensibilità di oggi e verosimilmente di domani?».

Cari pastori e laici cattolici, la nostra Chiesa può affrontare la prova del cammino umano nella fase attuale con un po' più di fiducia nelle donne e negli uomini, come invita a fare il card. Eyt, piuttosto che con divieti, leggi, inviti a disertare il confronto delle urne?

 

Nicola Tranfaglia

Il Grande Anatema

Da l’Unità 31 maggio 2005

Viviamo in un Paese confessionale, l'unico nell'Europa e nell'Occidente ricco e sviluppato. Ce lo ricordano, non a caso in sequenza diretta, gli interventi del presidente del Senato Pera, che dimentica da troppo tempo di ricoprire la seconda carica dello Stato, e di monsignor Ruini, presidente della Cei che ha usato parole come “orrore” e “paura” a proposito delle possibilità di ricerca sulle cellule staminali.

Ieri a questa offensiva degli ultimi giorni, rispetto al referendum sulla fecondazione assistita del 12 e 13 giugno prossimo, si è aggiunta anche la voce autorevole del nuovo pontefice Benedetto XVI che ai vescovi italiani (alcuni dei quali, peraltro, si sono già pronunciati per il sì o almeno per la partecipazione al voto referendario) ha ricordato il dovere dei cattolici e di tutti i cittadini di difendere la sacralità della vita secondo le indicazioni della Chiesa.
Ma le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche, secondo quel che ha detto subito dopo, e per l'ennesima volta, il suo vicario Ruini significano astenersi dal voto e far fallire il referendum non dicendo di no ai quattro quesiti ma semplicemente facendo mancare il cinquanta per cento dei voti e, quindi, non facendo scattare il referendum abrogativo di quattro punti della legge 40.
Del resto, per volontà di Ruini, nelle settimane scorse, in venticinquemila parrocchie sparse sul territorio nazionale (e per la prima volta nella storia repubblicana dopo l'epico scontro elettorale del 18 aprile 1948) ci sono state prediche martellanti per invitare i fedeli all'astensione, alla non partecipazione al voto.
A nulla è valso che deputati cattolici come Rosy Bindi e altri, centinaia di scienziati e tutti i costituzionalisti interpellati dai giornali segnalassero l'anomalia della campagna che rifiuta alla radice il confronto con gli italiani che sostengono la necessità di parziale abrogazione della legge e invitassero i sostenitori del no ad andare a votare in modo da favorire il confronto democratico tra le due tesi che caratterizzano l'attuale dibattito.
La Chiesa, come la maggioranza trasversale che ha approvato la legge 40 (senza accettare a suo tempo nessun emendamento migliorativo dell'opposizione) è rimasta ferma dall'inizio sull'obbiettivo iniziale di far fallire il referendum, come primo passo - appare ormai chiaro anche dalle dichiarazioni dell'on. Gasparri e di altri sostenitori della legge - per intervenire anche sulla legge dell'81 che regola l'interruzione della gravidanza, e magari, se ci saranno le condizioni politiche, persino sulla legge che regola il divorzio.
L'on. Buttiglione, attuale ministro per i Beni Culturali, ieri è arrivato al punto di dire che la sua astensione vuol essere un segnale contro l'istituto del referendum previsto dalla Costituzione repubblicana ma si sa che Buttiglione, come gli altri ministri del secondo governo Berlusconi, è impegnato nello smantellamento di quella Costituzione e nell'istituzione del premierato assoluto, previsto dal disegno di legge n.2544 e già approvato dal Senato nell'aprile scorso.
È difficile, di fronte a una pesante e duplice interferenza, dall'interno dello Stato (le dichiarazioni di Pera) e dall'esterno (quelle del Papa e di Ruini) chiedersi se questo referendum non si stia trasformando da confronto democratico tra i cittadini, laici e cattolici di questo Paese, previsto dalla Costituzione, su una particolare, sia pure importante questione in un'altra prova generale, da parte della destra antidemocratica oggi al governo, per sconfiggere l'Italia democratica e repubblicana, la pluralità delle coscienze e dei differenti modi di pensare in una sorta di coro unanime che vuole mortificare i cittadini e la democrazia che ha regolato il Paese negli ultimi sessant'anni.
E questo malgrado il fatto che le elezioni degli ultimi tre anni, incluse le europee e le regionali, abbiano sconfitto l'attuale maggioranza parlamentare e di governo e mostrino a chi vuol vedere che il Paese è cambiato e richiede ormai una guida diversa e capace di condurre l'Italia a una nuova stagione politica ed economica dopo i disastri del governo Berlusconi.

 

 

Giovanni Sarubbi

Relativismo e procreazione assistita Difendiamo la vita, quella vera, e la libertà di coscienza.

Da Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino

Il prossimo referendum sulla legge 40 è diventato il terreno di scontro delle gerarchie ecclesiastiche della chiesa di Roma con lo spettro del relativismo che a loro dire inquinerebbe la vita sociale e politica del mondo intero e contro cui si batte oramai da tempo Benedetto XVI. E questa battaglia non manca di avere lati persino comici quando si assiste a dibattiti o si leggono articoli di chi si schiera contro il relativismo senza sapere neppure di che cosa si tratti. E’ il caso, per esempio, di un articolo apparso su “NUOVA STAGIONE” settimanale diocesano di Napoli a firma di Franco Bianco, consigliere di F.I. al Comune di Napoli, nonché Generale dell’Aeronautica. Ebbene anche un generale dell’aeronautica trova il tempo e l’occasione per scagliarsi contro quello che lui ha definito “relativismo ideologico” che toglierebbe “la vista a tanti giovani” che sarebbero così immersi nel buio più fitto. Buio che invece sarebbe rischiarato, badate bene!, dalla luce dei giovani che sono andati in missione in Iraq in quel di Nassiria. La luce verrebbe dalla partecipazione ad operazioni di guerra, il buio, secondo il generale Bianco, verrebbe invece dai “disobbedienti di professione, pronti a brandire una bandiera della Pace”. Chi chiede pace e rifiuta le armi sarebbe portatore di buio, chi sceglie la guerra ed usa armi di tutti i tipi sarebbe portatore di luce.
Potrebbe sembrare strano che addirittura un generale scenda in campo contro il cosiddetto relativismo ma non lo è. Nessuno meglio di un generale può incarnare il rifiuto di qualsiasi idea relativistica. Un soldato viene forgiato ad avere solo certezze, ad obbedire ciecamente a qualsiasi ordine, nessun dubbio deve attraversare la sua mente. Un generale dell’aviazione, poi, deve essere pronto anche ad eseguire bombardamenti a tappeto, distruzioni generalizzate di esseri viventi e cose, compreso lo sgancio di bombe atomiche, come è successo ad Hiroshima. Purché l’ordine venga dalla catena di comando, da chi ha l’autorità di decidere. Non importa se l’ordine è palesemente aberrante perché comporta un genocidio di persone inermi e la distruzione della natura. Chi comanda è investito di un potere divino e questo è scritto in tanti, troppi catechismi di chiese che continuano a dirsi cristiane.
Bisogna anche dire che l’uso di generali dell’esercito nella battaglia contro il cosiddetto relativismo, non è nuova. E’ stato usato anche negli Stati Uniti da quelle congregazioni cosiddette “risvegliate”, in particolare dai Battisti del Sud, favorevoli alla guerra infinita di Bush. Alcuni generali sono stati chiamati a tenere sermoni nelle chiese americane durante i culti domenicali. Non ci stupiremmo se ciò accadesse anche in Italia.
Dietro alla battaglia contro il relativismo, c’è un’idea di chiesa come “esercito” e dei cristiani come “soldati”. Non è un caso che durante il pontificato woytiliano siano andati in auge congregazioni come i “Legionari di Cristo” che anche nel nome hanno un riferimento militare. I cristiani dovrebbero solo obbedire alla gerarchia che riceverebbe direttamente da Dio la propria investitura che si tramuta in un potere assoluto.
E’ quanto ha sostenuto nella sua prima omelia Papa Benedetto XVI, affermando che i cardinali elettori non hanno fatto altro che essere esecutori di una decisione presa da Dio stesso. Il potere del Papa discenderebbe direttamente da Dio. Tutto il contrario di quello che possiamo leggere nei Vangeli la dove è scritto: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti».(Mar 9,35) Nessuno, dice Gesù, può arrogarsi il diritto di possedere Dio, di avere tutta la verità, di essere portatore dell’unica e sola via di salvezza da imporre, magari con la forza, al resto del mondo. Non c’è nulla di cristiano in una simile visione del mondo e del proprio essere chiesa. Non si può far risalire a Gesù di Nazareth la visione di un Dio lontano, minaccioso, per parlare con il quale ci sarebbe bisogno di sacerdoti in funzione di mediatori. Gesù ha predicato ed incarnato l’Emmanuele, un “Dio con noi”, un “Dio di misericordia”, un Dio che si manifesta nelle comunità che si amano e che diffondono amore, non dogmi, non dottrine da credere obbligatoriamente perché infallibili, non sacramenti di nessuna utilità per praticare l’unico comandamento dell’amore.
Ed una di queste dottrine è quella sull’embrione che diventa persona e portatore di diritti senza la necessità di un suo attecchimento in un utero femminile, di un suo progressivo sviluppo per nove mesi prima della sua nascita. Una dottrina irrealistica ed astratta, che nega la natura prima ancora che, come ha rilevato Umberto Eco su L’Espresso, la stessa teologia di Tommaso D’Acquino che considerava gli embrioni non degni di resurrezione.
E per difendere un principio astratto di vita, non si esita ad infliggere sofferenze alle coppie sterili ed in particolari alle donne. La gerarchia cattolica sostiene lo stesso principio che Gesù condannò con la parabola del buon Samaritano. I sacerdoti ed i leviti passarono oltre vedendo un uomo a terra mezzo morto ed in un mare di sangue perché la loro legge vietava loro di contaminarsi con il sangue per non perdere la “purezza rituale” di cui essi si ritenevano portatori. Gesù condanna chi, da sacerdote, difende purezze astratte ed approva invece chi, essendo addirittura considerato un nemico come erano i Samaritani, pratica l’amore e la misericordia.
E che ci sia un abisso fra la gerarchia ecclesiastica ed il vivere concreto della gente di cui essi pretendono di essere i pastori, è dimostrato, per esempio, da dichiarazioni di vescovi (quello di Piazza Armerina in Sicilia) che definiscono “una moda” la fecondazione assistita per avere un “figlio a tutti i costi” e che anzi si ricorrerebbe a queste tecniche invece che a quelle naturali per avere un “figlio perfetto”. Viene da chiedersi da quanto tempo non parlano con qualche persona in carne ed ossa che questi problemi li vive sulla propria pelle invece che con quei “soldatini pronti ad obbedire” che sono diventati quei pochi cittadini italiani che ancora continuano a frequentare le parrocchie o i gruppi ecclesiali.
E allora il nostro appello è alla difesa della vita, quella vera, e della libertà di coscienza, ad usare il cuore e ad amare invece che propagare dottrine che servono solo a schiavizzare sempre più le persone.

 

 

 

LA MORALE IMPOSTA PER LEGGE

Dal numero 111 di Critica liberale   di Grazia Zuffa (*)

Il 10 febbraio 2004, la legge sulla fecondazione assistita veniva approvata definitivamente dalla Camera. A distanza di un anno o poco meno, il 13 gennaio 2005, la Corte Costituzionale ha ammesso quattro dei quesiti referendari per cancellare alcuni articoli della legge 40, sui quali si sono raccolte le firme necessarie alla presentazione.

La legge non potrà essere sottoposta al giudizio popolare nel suo insieme, poiché la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito di abrogazione totale. Tuttavia, i referendum ammessi, se approvati, eliminerebbero buona parte delle enormità giuridiche della normativa in vigore, sconfessando in buona sostanza il suo impianto.

Quest’ultima affermazione merita un approfondimento, poiché le modalità con cui è stata lanciata la consultazione popolare –quattro modifiche parziali su cui sono state raccolte le firme per quattro distinti referendum, più un altro (distinto) referendum di cancellazione totale – farebbero pensare il contrario. In altri termini, l’aver voluto individuare quattro opzioni tematiche – la salute della donna, il ripristino della fecondazione con seme di donatore, la cancellazione dell’art. 1 sui diritti del concepito, la libertà della ricerca – cui corrispondono altrettanti quesiti referendari, ha creato una strategia confusa, che rende opaca la lettura complessiva della legge. Perciò è proprio da questa che è conveniente partire, per meglio comprendere la vicenda politica intorno alla sua approvazione e allo scontro referendario in corso.

Si tratta innanzitutto di una legge manifesto, tesa ad affermare principi etici più che a regolare l’applicazione delle tecnologie. O per meglio dire, l’ideologia detta anche le prescrizioni in campo sanitario. In questo senso, l’articolo 1 racchiude la chiave di lettura di tutta la legge. Non solo nel comma 1, dove «si assicura la difesa di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito», su cui va fatto un ragionamento a parte; ma anche nel comma 2, dove si afferma che «il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». Quest’ultima affermazione illumina su uno dei principi fondanti: la fecondazione artificiale è un Male, da limitare il più possibile. Se esaminata sotto l’aspetto sanitario, la norma è di per sé vaga, qualità poco adatta ad un articolato di legge ma molto conveniente ad un proclama.

Dalla stigmatizzazione delle tecniche procede in primo luogo la proibizione delle stesse, nella gran parte dei casi: eclatante è la messa al bando dell’inseminazione con seme di donatore, una delle pratiche più semplici, permesse in tutti i paesi d’Europa e largamente applicata anche in Italia da molti anni, per non dire decenni. E ciò basta e avanza per rendere chiare le ricadute di deregulation della legge. È ben difficile che le coppie rinuncino ad una pratica ormai consolidata, perciò sono destinate a ricorrere al turismo procreativo, con evidenti e gravi discriminazioni di censo; oppure alla clandestinità, con evidente pregiudizio per la salute. Ma anche nei limitati casi ammessi –l’inseminazione o la fecondazione in vitro con gameti unicamente della coppia (stabile ed eterosessuale) – l’etica di Stato entra nel merito delle procedure terapeutiche, dettandone di abnormi, chiaramente lesive della salute della donna e del nascituro. A cominciare dal divieto di crioconservazione degli embrioni e dall’obbligo di non creare più di tre embrioni, da impiantarsi contemporaneamente. Ciò significa per la donna doversi sottoporre di uovo alla stimolazione e al prelievo di ovociti, nel caso, frequente, di mancato impianto. Ma la legge si spinge oltre, vietando da un lato la diagnosi prenatale sull’embrione, in quanto considerata «a fini eugenetici », dall’altro sancendo l’obbligatorietà dell’impianto in utero degli embrioni creati in provetta, anche contro la volontà della donna. Questa norma (insieme ad altre) è chiaramente incostituzionale, poiché configura un trattamento sanitario obbligatorio senza le garanzie previste. È anche con ogni evidenza assurda, a meno che non si pensi di legare la madre con una camicia di forza. Ma ciò niente toglie alla sua mostruosità e, ancora una volta, svela il primario intento ideologico del legislatore.

L’insieme delle norme succitate rimandano all’art. 1, sulla tutela dei diritti «di tutti i soggetti compreso il concepito» e ne svelano il vero significato. È stato osservato da diversi costituzionalisti che il riferimento ai «diritti del concepito» è presente anche in una sentenza della Corte costituzionale (n. 35/1997), dunque la norma in questione non aggiungerebbe nulla di nuovo. Peraltro, anche la legge 194, secondo l’interpretazione della citata sentenza, contempera i diritti della gestante e del concepito.

Tuttavia, come si evince dalle enormità suddette dell’articolato, nella legge 40 non vi è alcuna volontà di contemperare i diritti di diversi soggetti, bensì al contrario di affermare la personificazione (giuridica) dell’embrione, i cui interessi lo Stato si incarica di tutelare contro la madre. In questo senso si leggono la proibizione della diagnosi prenatale, insieme a quella di «qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano», poiché «l’embrione è uno di noi», secondo la colorita espressione di un deputato della maggioranza in occasione del voto alla Camera. In quest’ottica, meglio si comprende l’apparente contraddizione fra l’obbligo di impianto di embrioni anche con malformazioni, e la possibilità di abortire successivamente lo stesso embrione malato, visto che dopo l’impianto è possibile lo screening prenatale: la legge 40 diventa il grimaldello per cambiare la legge sull’aborto, come ha dichiarato Buttiglione all’indomani della pronuncia della Consulta sull’ammissibilità del referendum. E come peraltro aveva dichiarato Andreotti, nella sua dichiarazione di voto al Senato.

Insieme alla difesa della “naturalità” della procreazione, la legge propugna la “naturalità” della famiglia: lo Stato si incarica di prescrivere il modello di famiglia e di genitorialità ammessi, mettendo al bando le famiglie “anomale”, come le single con figli, attraverso la proibizione. Per di più, la messa al bando dell’eterologa, mira a sancire la purezza genetica della filiazione. Insomma, come scrive Elena Del Grosso (“Fuoriluogo”, gennaio 2005), «ritorna il concetto di bastardo. Cos’altro è il no all’eterologa, se non una valutazione di ordine morale in quanto considerata come adulterio in vitro»?

Riepilogando, la legge è orientata da una bussola ideologica, che di per sé confligge con la finalità di regolazione delle tecniche. Onde appare assolutamente ipocrita sostenere che questa legge, seppur imperfetta, è «meglio del Far West», come è stato affermato da alcuni deputati che a suo tempo hanno votato a favore, come Francesco Rutelli e Rosy Bindi: in realtà è questa legge a creare il peggiore dei Far West, rinunciando al compito di governare la società per ribadire solo alcuni – discutibili e di parte –princìpi etici, disinteressandosi perfino dell’effettiva probabilità che hanno di essere applicati. È evidente la lesione grave alla laicità dello Stato, rispetto alla funzione stessa della legge, poiché confonde il piano dell’etica e della regolazione statale. Lo Stato non può stabilire che cosa è permesso e cosa è vietato dalle leggi sulla base di ciò che è lecito o non è lecito per l’etica. Nel rispetto delle diverse concezioni etiche presenti nella società, la laicità richiede che nessuna concezione etica possa prevalere avvalendosi della legge. Se questo è vero, alcune rappresentazioni dello scontro politico sulla fecondazione assistita sono assolutamente fuorvianti. In primo luogo, l’idea che per le forze politiche e per i singoli parlamentari la questione non rivesta un carattere politico vero e proprio, bensì attenga alla “coscienza” individuale. In nome di ciò è stata rivendicata la libertà di voto, al momento dell’approvazione della legge e lo si ripete oggi alla vigilia del referendum. In nome di ciò si è detto che le posizioni sulla legge non avrebbero avuto rilevanza nei rapporti fra le forze politiche e tra eletti ed elettori. Ora la libertà di voto del parlamentare dovrebbe sempre essere rispettata, in quanto protetta dalla Costituzione, che gli riconosce una rappresentanza “senza vincolo di mandato” da parte degli elettori, nonché dei partiti che hanno contribuito ad eleggerli. Dunque, l’appellarsi alla libertà di voto è solo una trovata demagogica, che maschera (malamente) l’imbarazzo degli schieramenti a confrontarsi con una questione politica di primario rilievo, come quella della laicità dello Stato, del senso della legge, della funzione del Parlamento.

Tanto più che le ricadute del fondamentalismo etico della legge 40 nel delicato rapporto fra l’intervento statale e la sfera delle libertà individuali sono molteplici: la personificazione giuridica dell’embrione, come nota Eugenio Scalfari, porta a far sì che «lo Stato si attribuisca il diritto di decidere in nome del concepito contro il diritto soggettivo della madre e della coppia genitoriale » (“Repubblica”, 16 gennaio 2005). Così come la prescrizione di requisiti per poter es-sere genitori, insieme alla messa al bando dei gameti estranei alla coppia, ci riporta all’era pre-nuovo diritto di famiglia (anno 1974), alla discriminazione fra figli legittimi e illegittimi. Di più. Se è vero che l’eugenica novecentesca, di trista memoria, è stata una politica sanitaria pubblica di carattere coattivo, allora questa è una legge eugenica per eccellenza, come giustamente osserva il giurista Amedeo Santosuosso: lo Stato si assume il compito di stabilire i limiti, al di fuori dei quali c’è un «modo sbagliato di nascere», e li impone con la coazione della legge penale (“Il manifesto”, 4 novembre 2004, intervistato da Luca Tancredi Barone).

Con ciò è spazzato via un altro equivoco, che si tratti di un conflitto fra laici e cattolici, da mediare nei contenuti, alla ricerca di una “etica condivisa”. Per la semplice ragione che la laicità dovrebbe stare a cuore a tutti, laici e cattolici, o per meglio dire credenti di qualsiasi credo e non credenti, in quanto, in uno Stato liberale, presiede al rapporto fra Stato e Chiesa, fra etica e legge. In quanto cornice di garanzia per una dialettica democratica e pluralista non è soggetta a mediazione, ma solo a stravolgimenti. Quanto ai contenuti, e cioè alle differenti visioni etiche, questo non è per l’appunto un affare di Stato, ma della società, in un libero confronto fra coscienze.

Eppure la tentazione di ricercare “principi etici comuni” da tradurre in legge è stata presente fin dall’inizio della vicenda parlamentare, quando l’iniziativa era in mano al centrosinistra, e relatrice in Commissione Affari Sociali della Camera era l’onorevole Marida Bolognesi. Sebbene il testo di allora fosse lontano dalle mostruosità della legge attuale, tuttavia anch’esso non rinunciava a prescrivere il “modo giusto di nascere”, individuando la norma genitoriale. Ed è stata ancora presente nel dibattito che ha fatto seguito alla raccolta delle firme referendarie, nei tentativi di emendare l’attuale normativa per evitare la consultazione popolare. Significativo l’intervento di Carlo Flamigni, che, da laico, rilancia le soluzioni di mediazione, contenute nella proposta di legge promossa da Giuliano Amato. Le più importanti riguardano la previsione di congelamento degli ootidi, al posto degli embrioni, in quanto «il rispetto della vita nascente ha ragione di esistere solo dopo che si è formato un genoma unico» (e non è il caso dell’ootide); l’individuazione delle malattie genetiche più gravi da «meritare un’indagine pre-impiantatoria»; ed infine la richiesta alle coppie che desiderano una donazione di gameti «di dimostrare, come fanno le coppie che vogliono avere un bambino in adozione, di essere pronte ad assumersi tutte le responsabilità necessarie» (“Unità”, 25 settembre 2004). Su quest’ultima proposta vale la pena di spendere qualche considerazione, non tanto sulla opportunità o meno di inserirla in un articolato di legge, su cui si è detto in abbondanza; quanto sulla visione etica che la sottende. Mi si concederà che l’equiparazione di uno spermatozoo o di un’ovocita “eterologhi” a un bambino abbandonato ha del grottesco. Così come ha dell’incredibile l’immagine di Amato, quando equipara la donazione degli embrioni per la ricerca, quando non utilizzabili a fini procreativi, alla «donazione degli organi del figlio pre-morto» per i trapianti (“Repubblica”, 13 novembre 2004). In quale ordine di pensiero, di esperienza, di sentire umano, un embrione può essere considerato pari ad un figlio già nato? È per venire incontro alle coscienze di chi, come Paolo Prodi, scrive che non si può distinguere tra l’embrione (come uomo in potenza) e l’uomo “in atto”, poiché ciò riproporrebbe una vecchia distinzione che la scienza, insieme alla Chiesa, hanno spazzato via? (“Unità”, 10 gennaio 2005). E che ne è della mia coscienza e dignità umana di donna, che vede cancellata d’un colpo l’opera creatrice della madre? Il problema non sta nelle scoperte della biologia, quanto nel salto filosofico verso una concezione biologistico-sacrale del farsi del vivente, che si vorrebbe già “al mondo” (simbolico, giuridico, sociale, relazionale) indipendentemente dal corpo e dalla mente della donna. Se la vita, anzi l’embrione “vivente” è soggetto identico all’uomo nascituro, e la nascita si identifica in una sequenza meccanica di diversificazione cellulare, allora davvero la madre può essere sostituita da un utero artificiale. Nella personificazione e sacralizzazione dell’embrione è in nuce il viatico simbolico alla più conturbante delle prospettive tecnologiche. Dal che si evince che il conflitto non è tra chi è a favore o chi è contro la scienza. Semmai quest’ultima e il progresso tecnologico ripropongono in nuove forme l’antico conflitto fra i sessi sulla procreazione, e l’espropriazione patriarcale del corpo femminile.

E questo va ricordato anche a chi, come Giuliano Ferrara, ha schierato il proprio foglio a difesa di questo obbrobrio giuridico per contrastare la cultura del “figlio a tutti i costi”. Se è vero, com’è vero, che non esiste un “diritto a procreare”, può mai esistere un “diritto a nascere” giocato dallo Stato a prescindere, anzi, contro la madre? E a Marcello Pera, che proclama con voce roboante l’essere l’embrione diverso «da una muffa», possiamo sommessamente ricordare che le donne l’hanno sempre saputo, ben prima che il loro corpo diventasse tecnologicamente trasparente?

Io credo che una delle difficoltà degli stessi laici a distinguere chiaramente fra legge ed etica stia nella subalternità all’etica cattolica, considerata come l’Etica con la e maiuscola. L’idea che il pensiero femminile, innanzitutto, a partire da una riflessione sulla maternità, la sessualità, l’aborto, abbia messo in campo un’altra etica non si è mai radicata più di tanto nelle menti dei politici “progressisti”. A ciò si aggiunga che il conflitto con le gerarchie vaticane in merito alla divisione fra ciò che è di pertinenza della politica e ciò che attiene alla coscienza religiosa non si è mai risolto. Anzi. I cattolici dell’uno e l’altro schieramento sono sollecitati dal Vaticano a riportare in Parlamento i dettati della dottrina cattolica. La Chiesa sembra parlare più al legislatore che ai fedeli, e quando parla ai fedeli, è per dettare i comportamenti in politica. Sulla fecondazione assistita la confusione ha raggiunto l’assurdo. Non solo il cardinale Ruini si è trasformato in un capogruppo di Montecitorio, dichiarandosi contrario ad eventuali modifiche di legge per evitare il referendum; ma addirittura invita i cittadini all’astensione come un segretario di partito, in nome della più spregiudicata real politik. Come dire: poco importano i princìpi, va bene anche appoggiarsi alla maggioranza silenziosa pur di vincere la partita. Della legge naturalmente. Viene il sospetto che quella dell’osservanza dei fedeli ai precetti morali l’abbiano già data per persa da tempo.



(*) Grazia Zuffa è psicologa e direttrice del mensile “Fuoriluogo”.

Dal sito    www.italialaica.it

 

 

 

Chiesa, astenuta e sconfitta
FILIPPO GENTILONI

Il cattolicesimo italiano è alla ricerca di un nuovo protagonismo, con l'esercizio di una rinnovata aggressività. Una nuova stagione, certamente favorita dalla generale commozione che ha accompagnato la lunga agonia e la morte di papa Giovanni Paolo II nonché i primi giorni del pontificato di Benedetto XVI. Una nuova stagione alla quale hanno largamente contribuito - stanno contribuendo - i mass media, cattolici e laici. A guidare questa forte ripresa il cardinale Camillo Ruini, al centro dell'episcopato italiano. Tema decisamente messo in primo piano, il referendum sulla procreazione assistita del 12 e 13 giugno, con il deciso invito alla astensione dal voto. Se è probabile, come sembra a tutt'oggi secondo alcuni sondaggi, che l'astensione prevarrà, non è altrettanto probabile che il ricompattamento auspicato dal cardinal Ruini sia destinato a riuscire.

E' vero che molti - parrocchie, associazioni... - si sono affrettati ad allinearsi. Non tutti, comunque: ha fatto un certo scalpore, fra i non «alleati», oltre al tradizionale dissenso, come quello delle comunità di base, la presa di posizione di don Leonardo Zega, autorevole ex direttore del settimanale «Famiglia cristiana», tra i firmatari dell'appello di cattolici contro l'astensioni.smo referendaio (pubblicato sulla versione online dell'agenzia Adista).

Ma la debolezza del ricompattamento è indicata soprattutto dal tema, quello, ancora una volta, dell'etica sessuale. Ancora una volta l'embrione, un tema sul quale il cattolicesimo, specialmente italiano, si sente particolarmente impegnato, anche a scapito di altri temi messi quasi in secondo piano, come, ad esempio, il lavoro, la sperequazione fra ricchi e poveri, gli immigrati... Temi forse anche più «evangelici» di quelli riguardanti la vita e l'identità dell'embrione.

Sul tema della procreazione, d'altronde, il cattolicesimo italiano è stato sconfitto non molti anni fa. Forse il referendum di oggi dovrebbe servire a sanare la ferita del referendum di allora? Ma i cattolici di oggi sono più obbedienti alla gerarchia di quanto non sono stati i milioni di cattolici di allora? Non credo.

Dunque, anche nel caso non si dovesse raggiungere il quorum, non penso che la gerarchia cattolica possa pensare a un successo. Il cattolicesimo italiano rimane, infatti, profondamente diviso e sono sempre più numerosi i cattolici che optano per una religione, come si suol definire, «fai da te». Lo confermano altri dati e altre cifre: quelle, ad esempio, dei matrimoni civili oppure della frequenza alla messa festiva. Non sarà una eventuale vittoria sugli embrioni a indicare una nuova stagione felice del cattolicesimo italiano in crisi.

 Il manifesto 22/05/05

 

 

Astensione, dietro lo scudo di Dio
STEFANIA GIORGI

 La confusione tra articoli di fede a articoli di legge, tra ruolo e competenze dello Stato (laico) e della Chiesa continua a regnare sovrana nelle parole dell'interventismo cattolico a favore dell'astensione al referendum sulla procreazione assistita. Dopo Tettamanzi ieri è toccato al cardinal Martino (presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace) richiamare anche i laici cristiani a non lasciarsi intimidire dal «gioco della democrazia» spesso all'origine dell'approvazione di «leggi che sono contrarie ai principi che un cristiano vive e propone». E' vero che per il cristiano non possono essere disattese né l'ambito politico né le responsabilità pubbliche, ma di fronte a questioni che «implicano valori etici prioritari» (la sacralità della vita, l'indissolubilità del matrimonio, etc etc), nel solco benedetto di «una dimensione etica della vita sociale e politica», un cristiano in linea con la fede deve sapere dire no, e attivarsi contro le «strutture di peccato» (vale a dire quei parlamenti che si pongono in aperto conflitto con la legge di Dio e con la legge di natura, come ebbe a scrivere Giovanni Paolo II nel suo libro-testamento, Memoria e identità, a proposito dell'aborto). Si inginocchiano alla Cei e si ribellano a Fini, il movimento giovanile di An (Azione giovani), Adriana Poli Bertone e Roberta Saltamartini, vice al ministero delle pari opportunità. Lanciando, con magliette rosa e celesti e al grido di «Siamo tutti ex embrioni», una campagna di astensione attiva al referendum. E Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano lavoratori, che rivendica l'ossequio al diktat di Ruini da primo della classe, «senza bisogno di nessun ulteriore richiamo».
Anche «Famiglia cristiana» si astiene, ma sente il bisogno di motivare la scelta, annunciando inserti dedicati ai quattro quesiti referendari. Un bisogno che rivela quanto, al di là dell'invadenza mediatica dei porporati, il referendum sulla procreazione assistita scuota e divida il mondo cattolico. Rivelando quella realtà tutt'altro che compatta e omogenea (e non da oggi) che il carisma del papa santo subito aveva per così dire contenuto e oscurato. «Se il diritto del più forte schiaccia il più debole», titola il primo piano del settimanale cattolico. Dove chi sia il più forte e chi il più debole è fin troppo facile da intuire. La legge 40 «non ci soddisfa pienamente», ma ha il merito, «di aver dettato alcune regole, là dove prima vigeva la legge del far West, quella del più forte. E l'embrione "forte" non lo è di certo». Ed è per difendere quel «minimo di regole» che il settimanale cattolico si batte per un doppio no: ai quesiti e al referendum.  Ma è proprio l'ex direttore di «Famiglia cristiana», Leonardo Zega, ad aver firmato tra i primi l'appello «Per il rispetto della sacralità della coscienza», promosso da cattolici e lanciato dall'Adista online. Netto contro l'astensionismo. «Compito dei vescovi è indicare valori, non imporre ai credenti scelte che competono alla coscienza e alla fede di ognuno. Il cristianesimo non è mai stato solo potere e lotta fra poteri. Il Vangelo e la profezia hanno incessantemente animato la crescita dell'umanità lungo l'asse dei valori democratici, fra cui il primato della coscienza, il pluralismo, l'etica della responsabilità. Che dire allora di questa chiamata all'ubbidienza verso l'autorità e all'appartenenza ecclesiale in occasione del referendum? Che ne è del primato della coscienza, che ne è del pluralismo, che ne è dell'etica della responsabilità? Che ne è della lettera e dello spirito del Concilio?». Il rapporto «fra la legge umana imperfetta e la legge divina perfetta» non si può risolvere con il richiamo all'autorità, al primato dell'appartenenza, né tantomeno con «un nuovo intruppamento dietro il potere che si fa scudo di Dio».

  Il manifesto 19/05/05

 

 

Madre Tettamanzi
IDA DOMINIJANNI

Il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano succeduto al cardinal Martini, è esperto di bioetica, ha curato un dizionario della materia, ha aiutato Giovanni Paolo II a scrivere le due encicliche Evangelium vitae e Veritatis splendor. Nessuno nega che abbia tutti i titoli per elaborare la posizione della Chiesa sullo statuto dell'embrione, sulla procreazione assistita, sulla ricerca sulle cellule staminali. Della sua competenza in materia di rapporti fra Stato (laico) e Chiesa, invece, è lecito dubitare. E' con convinzione assoluta che infatti, nell'intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera, ribadisce il dovere, non solo il diritto, della Chiesa di intervenire «di fronte a scelte etiche e legislative di primaria importanza come quelle che toccano la vita dell'uomo». Passi per le scelte etiche; ma come la mettiamo con quelle legislative, che dovrebbero essere appannaggio della sovranità del parlamento? Del resto, si sa che sul punto Wojtyla la pensava come lui, tanto che nell'ultimo libro per attaccare l'aborto attaccava direttamente i parlamenti che lo legalizzano. Tant'è: finita la mediazione del partito cattolico, che quando voleva sapeva anche difendere la laicità dello Stato, siamo ormai al più smisurato interventismo nella scena politica (e mediatica) di papi, vescovi e cardinali. Il cardinal Tettamanzi parla dalle colonne del Corsera per fare da spalla al cardinal Ruini, confermarne e benedirne l'invito, anzi l'ordine, rivolto da quest'ultimo ai cattolici di disertare le urne il 12 giugno. D'accordo, l'astensione, nei referendum, è scelta lecita. Ma è lecito anche imporla dal pulpito? Tettamanzi sostiene di sì, anzi di più: è dovuto. «La Chiesa è madre e maestra. Come maestra, ha il compito di insegnare. Come madre, può e deve orientare e guidare i suoi figli in fedeltà al Vangelo». Che i suoi figli siano anche cittadini di uno Stato laico non gli fa alcun problema.

Il cardinale e filosofo bioetico Tettamanzi, va da sé, non ha dubbi che il 12 non voti sulla qualità di una legge, bensì sulla natura dell'embrione; e, va da sé, non ha dubbi sul fatto che l'embrione sia essere umano e persona. Il suo «diritto alla vita e all'integrità fisica» è «la soglia di tolleranza» che non può essere oltrepassata da nessuna legge e nessun parlamento. Come filosofo bioetico, il cardinale non è granché tollerante.

Però come ogni madre e ogni maestra di questo mondo il cardinal Tettamanzi deve avere qualche problema di contestazione in casa e in classe. Altrimenti non si spiegherebbe, dopo tanta ostentazione di certezze, quell'improvviso «vivo bisogno» di invitare i cattolici a evitare «ogni forma, più o meno larvata, di `reciproca scomunica'». Reciproca scomunica? Ma il mondo cattolico non era unito come un sol uomo sotto le insegne dell'astensione? La parola d'ordine materna e magistrale di Ruini non l'aveva compattato tutte, dalle Acli a Cl, dalla Fuci al Cif ai focolarini? Non del tutto evidentemente, o non quanto sembra in superficie, come adombra anche l'articolo di Marco Politi su Repubblica di ieri: nella base cattolica pare che circoli una certa paura di diventare «una falange integralista». Sotto il cielo il disordine è sempre un po' più grande del previsto, e per fortuna.

 Il manifesto 18/05/05