REALPOTILIK  VATICANA

 

Che da tempo sia in atto in Italia un tentativo di riconquista culturale da parte della Santa Sede è ormai del tutto evidente. Ma sarebbe ingenuo credere che sia limitato al nostro Paese un disegno che, in realtà, ha una portata ben più vasta. La chiesa romana si propone infatti di rilanciare la propria influenza sull’intero mondo occidentale, presentandosi come custode di quei valori che ne costituiscono l’identità, e perciò è particolarmente impegnata a intessere rapporti sempre più stretti col centro dell’impero, e cioè gli Stati Uniti d’America.

E che un tale progetto riscuota il gradimento dell’attuale amministrazione americana è testimoniato dai ripetuti scambi di cortesie. Con un gesto assolutamente inconsueto, il papa non è rimasto all’interno del palazzo ma è andato incontro a George W. Bush fino quasi all'automobile che il 13 giugno lo portava in Vaticano, evitando accuratamente ogni scortese riferimento ad ammonimenti come quelli riportati nel vangelo di Luca: “nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona”(16,13).

Benedetto XVI intendeva evidentemente ricambiare la calorosa accoglienza riservatagli nel corso del suo recente viaggio negli USA. Già durante la cerimonia di benvenuto del 16 aprile 2008, il papa non aveva risparmiato elogi alla politica del presidente Bush, dicendosi sicuro che l’America continuerà a “sostenere gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti e a promuovere il progresso. Così, le generazioni future saranno in grado di vivere in un mondo dove la verità, la libertà e la giustizia possano fiorire”. In un futuro più o meno prossimo, sembra di capire, grazie alla politica americana sta per iniziare finalmente l’era messianica!

Il comunicato congiunto dello stesso giorno - che ribadiva la piena sintonia riscontrata sulla necessità dell’impegno per la difesa e la promozione della vita, del matrimonio e della famiglia, e nella lotta contro la povertà e il terrorismo – è servito ad evidenziare il successo, forse più politico che religioso, dell’operazione: da un lato l’amministrazione americana esalta come alto magistero morale insegnamenti pontifici spesso disattesi dagli stessi cattolici e dall’altro la Santa Sede offre il suo avallo a una leadership americana ampiamente screditata in tutto il mondo e che nel suo stesso Paese riscuote i più bassi indici di gradimento.

Amicizie pericolose

Dell’opportunità di intrattenere amichevoli relazioni con gli Stati Uniti era del resto già consapevole Giovanni Paolo II, che proprio negli USA vedeva ovviamente il naturale alleato nella lotta contro il comunismo sovietico. Sordo di fronte alle richieste di aiuto dell’arcivescovo Romero, che per le sue denunce verrà assassinato nel marzo del 1980, egli si guarda bene dal criticare il presidente Carter per l’appoggio fornito al governo salvadoregno, che combatte il marxismo utilizzando contro il popolo gli squadroni della morte. Ma quanto quelle denunce fossero fondate lo riconoscerà, una volta non rieletto alla presidenza, lo stesso Carter: “Credo che il governo di El Salvador sia oggi uno dei più sanguinari dell’emisfero”(The Guardian 20/7/1983).

Giovanni Paolo II probabilmente si fidava, più che di Romero, delle informazioni passategli sul Salvador dall’amico, anch’egli di origine polacca, Zbigniew Brzezinski, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter. Eppure sarebbe stato facile sapere quanto poco per Brzezinski, non particolarmente attento ai criteri evangelici, contasse la vita umana qualora fosse in gioco la supremazia americana sulla Russia.

Pur consapevole delle atrocità commesse in Cambogia da Pol Pot, infatti, Brzezinski lo appoggia, consentendogli di prolungare i suoi massacri che provocheranno lo sterminio di un terzo della popolazione cambogiana, e incoraggia l’opposizione della Cina all’intervento del Vietnam che, spalleggiato dall’URSS, porrà invece fine al genocidio. E nel 1979 ha l’impudenza di dichiararlo apertamente: “Ho incoraggiato i cinesi a sostenere Pol Pot. [...] Pol Pot ha rappresentato un abominio: non potremmo mai fornirgli direttamente aiuti. Ma la Cina può farlo”(cit. in L. Canfora, Esportare la libertà, Milano 2007, p 68).

Dall’amicizia alla consulenza

La realpolitik di Benedetto XVI, dunque, non costituisce una novità rispetto a quella del suo predecessore: è, semmai, semplicemente più disinvolta. Giovanni Paolo II, infatti, aveva condannato duramente le guerre dei Bush, padre e figlio: su questo argomento, invece, l’attuale papa preferisce tacere, evitando di irritare con la più piccola critica un alleato strategico, nei cui confronti ha anche motivi personali di gratitudine.

In occasione di un processo per pedofilia, infatti, il card. Ratzinger era stato accusato dinanzi alla Corte Distrettuale del Texas di avere coperto, con le direttive emanate da Roma, gli ecclesiastici imputati di molestie sessuali. Ma quando, nel 2005, l’azione giudiziaria ha preso il via, gli avvocati del cardinale - che intanto era stato eletto Papa - avevano chiesto al Governo degli Stati Uniti di garantire al loro assistito l’immunità riservata ai capi di Stato. Accogliendo tale richiesta, il vice ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Peter Keisler, ha quindi informato della cosa il tribunale texano, affermando che avviare il procedimento sarebbe stato «incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti». E così il caso è stato chiuso, grazie a un’elezione davvero provvidenziale!

Le vicende personali dell’attuale papa sono evidentemente destinate a rafforzare l’alleanza Vaticano-USA e per accordare le rispettive strategie cosa c’è di meglio che rivolgersi agli stessi consulenti? E non è stato difficile trovare l’uomo giusto: Henry Kissinger. Infatti alla fine del 2006 Benedetto XVI, mentre si trovava a Castelgandolfo, ha ricevuto Kissinger e gli ha chiesto di entrare nel consiglio consultivo per la politica estera della Santa Sede. Kissinger ha accettato l’invito e ha reso pubblica la notizia, che il Vaticano non ha né confermato né smentito.

Ma oltre che consulente del papa, Kissinger è oggi uno dei consiglieri più ascoltati da George W. Bush. È vero, infatti, che egli è forse il maggiore sostenitore di una diplomazia pragmatica, lontana dai furori ideologici dei neoconservatori, ma pare certo che, sebbene all’inizio fosse contrario alla decisione di scatenare la guerra, ora sia convinto che sarebbe un errore cedere, ritirandosi dall’Iraq. Ed è un fatto che le sue visite alla Casa Bianca sono diventate sempre più frequenti, anche se molto riservate.

Kissinger: un passato che non passa

Certo, Joseph Ratzinger e Henry Kissinger condividono l'origine tedesca, e questo facilita sicuramente la loro intesa. Sulla statura politica e sull’abilità diplomatica di Kissinger, il brillante artefice dell’avvicinamento USA-Cina in funzione antisovietica, nessuno del resto può nutrire dubbi. Ma le gerarchie ecclesiastiche non dovrebbero giudicare i loro collaboratori anche sulla base dei criteri evangelici? Da questo punto di vista il meno che si possa dire è che il passato di Kissinger è pieno di ombre.

Mentre era consulente del Dipartimento della Difesa nell'amministrazione Johnson, per esempio, Kissinger nel 1968 entra segretamente nello staff di Richard Nixon per sostenerne l'elezione alle presidenziali e si adopera per far fallire i negoziati per l'armistizio aperti da Johnson con il Vietnam del nord. In effetti, i negoziati falliscono, Nixon viene eletto presidente degli Stati Uniti e lui viene nominato prima consigliere per la sicurezza nazionale e poi, nel 1973, Segretario di Stato.

Nixon e Kissinger sono in quegli anni tra i più accaniti avversari di Salvador Allende, democraticamente eletto nel 1970 presidente del Cile. I documenti desecretati durante la presidenza Clinton dimostrano che il governo degli Stati Uniti mediante la CIA aveva cercato di rovesciare Allende immediatamente dopo la sua elezione. È forte, poi, il sospetto che Kissinger sia coinvolto non solo nel rapimento e nell'assassinio di René Schneider, un generale che nel 1970 si era opposto all’idea di un colpo di stato, ma anche nel golpe che nel 1973 portò all’uccisione di Allende e all’insediamento della dittatura di Pinochet.

Quel che è certo è che la magistratura si è spesso interessata a Kissinger: nel 2001, mentre si trovava a Parigi, gli è stato recapitato un mandato del giudice LeLoire intenzionato a interrogarlo sulla scomparsa di alcuni cittadini francesi nel Cile di Pinochet; in Argentina, in Cile e in Spagna sono state aperte inchieste su di lui; alla fine del 2002 viene diffusa la notizia che a Washington nei suoi confronti è stata presentata dagli eredi del generale Schneider una denuncia per concorso nell’omicidio del loro congiunto.

È diventata celebre, del resto, una dichiarazione di Kissinger: “Non vedo perché dovremmo starcene con le mani in mano a guardare un paese diventare comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo”(Newsweek, 23/9/1974). Poco sensibile al principio democratico che esige il rispetto della volontà popolare, Kissinger è convinto che la questione della lotta al comunismo sia troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli, e infatti, anche se le responsabilità penali è sempre difficile accertarle, pare che non sia rimasto affatto con le mani in mano.

La sollecitudine di Kissinger si estende anche al popolo italiano, che corre gravi rischi a causa delle aperture di Aldo Moro nei confronti del PCI. Nel settembre del 1974 infatti, stando alle parole di Corrado Guerzoni allora segretario del leader democristiano, nel corso di un viaggio negli Stati Uniti Moro sarebbe stato bruscamente e minacciosamente avvertito da Kissinger che, se non avesse abbandonato quella politica decisamente sgradita all’amministrazione americana, la cosa avrebbe provocato gravi conseguenze.

Per il ruolo svolto nelle trattative che avvieranno verso la composizione del conflitto vietnamita, nel 1973 viene assegnato a Kissinger il premio Nobel per la pace, ma il suo passato poco limpido non potrà essere cancellato. Così, quando nel novembre del 2002 il presidente Bush lo nomina al vertice della Commissione speciale sull'11 settembre, allestita per indagare sulle falle nella sicurezza Usa, le polemiche sono così roventi che ben presto Kissinger - che tra l’altro si trova in una situazione di conflitto di interessi in quanto titolare di una società di consulenza internazionale, che mantiene riservati i suoi clienti tra i quali potrebbero quindi trovarsi Stati coinvolti negli attentati - decide di rinunciare all'incarico.

Proprio in quei giorni, infatti, un film prodotto dalla radiotelevisione britannica Bbc ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulle oscure vicende in cui Kissinger è stato tante volte implicato e le accuse sono così pesanti che nasce un apposito comitato che chiede la revoca del premio Nobel conferitogli una trentina di anni prima. Un gruppo di intellettuali americani, il Council on Hemispheric Affairs, è arrivato addirittura a sostenere che il posto giusto per Kissinger non era la commissione ma la prigione.

Da Gesù a Benedetto

Dal momento che è difficile immaginare che di tutto ciò in Vaticano non si sappia nulla, è ragionevole supporre che le ombre che pesano sull’immagine pubblica di Kissinger siano considerate ininfluenti rispetto ai vantaggi che la sua consulenza può procurare. E, se prendiamo in considerazione la politica vaticana in Italia, possiamo constatare che si verifica qualcosa di simile: Gianni Letta - il più stretto collaboratore di Silvio Berlusconi, il probabile vincitore delle elezioni dell’aprile 2008 - nel febbraio dello stesso anno era stato nominato da Benedetto XVI “gentiluomo di Sua Santità”, titolo che consente di stare a contatto con il Papa e con la Curia persino nelle cerimonie e nelle udienze a capi di Stato e di governo.

Eppure anche il passato di Letta non è proprio immacolato: nel dicembre 1984, nel corso delle indagini sui fondi neri dell'Iri, egli, allora direttore del "Tempo", aveva ammesso di avere ricevuto un miliardo e mezzo di lire in nero dall'ente statale per ripianare i buchi del suo giornale, le cui vendite non andavano certo a gonfie vele. Diventato vicepresidente della Fininvest, nel 1993 era stato poi accusato di corruzione in un’inchiesta, in seguito archiviata per la parte che lo riguardava, della procura di Roma riguardante l’assegnazione delle frequenze televisive.

Di tutti questi fatti, che per la verità non sono per nulla poco rilevanti, il grande pubblico, almeno in Italia, non è però molto informato. Pochi articoli presto dimenticati: Torna Kissinger, l'uomo dei segreti (Il Corriere della Sera 3/12/2002), Commissione 11 settembre. Kissinger dà le dimissioni (La Repubblica 13/12/2002), Il vice ministro della Giustizia blocca il procedimento contro Benedetto XVI per il documento «Crimen Sollicitationis» (Il Corriere della sera 21/9/2005), Il Pontefice ha ricevuto il vecchio negoziatore americano di origine tedesca il 29 settembre scorso a Castel Gandolfo (La Stampa 4/11/2006).

Proprio questa scarsa informazione, probabilmente, consente alle gerarchie ecclesiastiche di fare scelte politiche che potrebbero apparire addirittura ciniche. Il papa, infatti, può così cogliere senza suscitare scandalo le opportunità che gli offrono personaggi dal passato poco trasparente: Kissinger e Letta possono fare da trait d’union con chi in America e in Italia detiene il potere, magari esercitandolo in modo molto discutibile, e tanto basta per riservare loro un ruolo privilegiato. Di questa prassi, del resto, non ci si può stupire, dato che la tendenza a usare, senza scrupoli morali, i mezzi più efficaci per acquistare un potere mondano pare che, con rare eccezioni, sia una costante nella storia plurisecolare della Santa Sede.

Già Dante, per esempio, riprendendo nel canto XXVII dell’Inferno una cronaca del tempo, presentava Bonifacio VIII come un papa capace, pur di abbattere i suoi avversari, i Colonna, di ricorrere all’inganno, cercando a tal fine i consigli di Guido da Montefeltro, uno dei più astuti politici e uomini d’arme che ci fossero in Italia, che pentitosi dei suoi trascorsi alla fine del 1200 si era fatto francescano.

Da questo punto di vista, in effetti, gli studiosi, trovano un’ammirevole continuità nella storia della chiesa. Una forte discontinuità si riscontra invece con lo stile di Gesù di Nazaret. Difficile, infatti, immaginare che, anche se avesse potuto, egli avrebbe scelto come consiglieri e uomini di fiducia, al fine di stabilire cordiali rapporti con i detentori del potere, Seiano, per anni chiacchierato braccio destro dell’imperatore Tiberio, o il più stretto collaboratore del procuratore romano Ponzio Pilato!

 

Elio Rindone            da  www.italialaica.it   ( 28-6-2008)