Razzisti all'asilo
Sono razzisti in erba, a cui manca la sostanza, l'ideologia, ma negli
atteggiamenti sono la copia di
quelli adulti. Vanno appena all'asilo e sanno umiliare, insultare e
picchiare i compagni solo perché
hanno la pelle nera, gli occhi a mandorla, tante treccine o perché la loro mamma
ha il velo. Come
piccole spugne assorbono convinzioni altrui, che poi imitano. E, intanto, in
attesa di diventare
grandi, aggrediscono e picchiano fino a mandare all'ospedale i compagni d'asilo
che sono «diversi».
E’ accaduto in un piccolo Comune della Lombardia, tra Milano e Como, dove un
bimbo di quattro
anni, figlio di un immigrato domenicano e di un’italiana, è stato preso a calci
nei testicoli da un
gruppo di compagni perché è «un caffelatte». Ricoverato al Fatebenefratelli,
ospedale pediatrico del
capoluogo lombardo, è stato operato. I genitori del bimbo - il padre lavora
nella ristorazione e la
mamma è un'impiegata - non hanno giudicato l'episodio una semplice bravata, non
solo per le
conseguenze dell'aggressione, ma anche per le ragioni della violenza, e sono
andati dai carabinieri
per denunciare, oltre l'asilo, il gruppo di piccoli razzisti.
«Casi isolati», li definiscono pediatri e psicoterapeuti, come Alessia Tedesco,
formatrice e referente
degli operatori di Telefono Azzurro, che spiega: «Ancora non rientrano nelle
statistiche, ma
ultimamente, purtroppo, li riscontriamo spesso. Le segnalazioni che abbiamo
ricevuto, fino ad oggi,
riguardavano soprattutto insulti. Nelle regioni del Nord appellativi come
"sporco negro" vengono
usati dai bimbi dell'asilo e delle elementari con eccessiva naturalezza».
Ed è così che è cominciato il calvario del piccolo Carlos.
Alto poco più di un metro, occhi neri,
pelle ambrata e sorriso immacolato. Dallo scorso settembre, al rientro delle
vacanze, tre compagni
della sua classe l’hanno preso di mira proprio per il colore della pelle. La
madre ha capito subito
che c'era qualcosa di strano. «Piangeva e non voleva più andare all'asilo.
Diceva che i suoi amici
non gli volevano più bene, che gli facevano i dispetti, ma all'inizio non ha
detto che lo insultavano
per via della pelle - ha riferito ai medici dell'ospedale di Milano dove Carlos
è seguito per superare
il trauma -. Gli dicevo di raccontare tutto alle maestre, convinta che gli
attacchi sarebbero finiti. E
invece?».
E invece sono peggiorati. Il gruppo dei baby razzisti si è fatto più numeroso:
da tre a cinque. Gli
insulti, sempre più pesanti, rivolti anche al papà straniero. Un mese fa il
pestaggio. Sono volati
schiaffi, calci, pugni. Uno l'ha centrato ai genitali. Le maestre hanno chiamato
l'ambulanza e i
genitori, per il ricovero, hanno scelto il reparto di Luca Bernardo, primario al
Fatebenefratelli che
dirige il primo centro studi italiano contro il bullismo: «Bambini così piccoli
non si rendono conto
di quanto siano gravi certe parole. Però si rendono conto del male che
fanno e il danno che
procurano va punito». Un castigo che può arrivare solo dalle
famiglie.
A Telefono Azzurro - all'19696 chiamano direttamente le piccole vittime - le
operatrici non hanno
dubbi: a spiegare il fenomeno sono gli stessi bambini, che in una ricerca con l’Eurispes
sono i primi
a raccontare le difficoltà alle quali vanno incontro i compagni stranieri. Più
del 70% dei bambini del
Nord (e il 63% al Sud) sostiene che facciano fatica ad inserirsi a scuola, ma
che poi riescano a
integrarsi. Attorno al 10%, invece, quelli del Nord che pensano che per i figli
degli immigrati non ci
sia un miglioramento. E l'indice va contro gli insegnanti. Racconta Ines,
ecuadoriana, che vive a
Milano: «E' successo a mio figlio. I compagni l’hanno minacciato, dicendogli che
doveva venire a
scuola con la pelle bianca, altrimenti l’avrebbero legato. Sono andata dalle
maestre e loro mi hanno
risposto di stare tranquilla. Il prossimo anno mio figlio sarebbe stato più
grande e si sarebbe rivalso
su quelli più piccoli».
Elena Lisa La Stampa 28 maggio 2009