Ratzinger affronta il santo crack

 

La crisi economica arriva anche Oltretevere, entra nei Sacri palazzi e manda in rosso i conti del

Vaticano che registrano perdite per più di 16 milioni di euro a causa di operazioni finanziarie sui

mercati internazionali andate in malora. Ci pensano però i portafogli dei fedeli a rabboccare le casse

della Santa sede con le offerte del cosiddetto «Obolo di san Pietro» che annullano il disavanzo e

risanano il passivo.

I bilanci della Santa Sede e della Città del Vaticano sono stati resi noti lo scorso 4 luglio, al termine

della tre giorni di riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi

organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone.

Lo Stato Vaticano presenta un deficit di oltre 15 milioni e 300mila euro, secondo quanto riporta il

bilancio consuntivo per il 2008 del Governatorato, cioè l'erede del vecchio Stato pontificio, l'organo

a cui il papa - che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto - ha affidato

l'esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.894 dipendenti quasi tutti

laici amministra il territorio statale e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne

lo Ior, la banca vaticana, che è autonomo e saldamente in attivo.

Meno negativo, ma ugualmente in rosso, il bilancio della Santa Sede, cioè il governo centrale della

Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.732 dipendenti, un migliaio dei quali sono preti e suore, e

che comprende tutti gli organismi della Curia romana, l'Amministrazione del patrimonio della Santa

Sede (Apsa, che controlla l'enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i

mezzi di comunicazione: nel 2008 ci sono state entrate per poco meno di 254 milioni di euro e

uscite per quasi 255 milioni, con un disavanzo di 911mila euro.

A pesare sul bilancio della Santa sede sono le spese per il quotidiano L'Osservatore Romano e per la

Radio Vaticana che infatti, per tentare di arginare le perdite, ha aperto le porte alla pubblicità

commerciale laica: da un paio di settimane sulle frequenze dell'emittente del papa vanno in onda gli

spot dell'Enel che ha acquistato 300 passaggi pubblicitari fino al prossimo 27 settembre. Sono in

attivo, invece, la Tipografia vaticana, il Centro televisivo vaticano - che vende in esclusiva alle tv di

tutto il mondo le immagini video del papa - e soprattutto la Libreria editrice vaticana (Lev), da

qualche anno unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d'autore sui discorsi e

sugli scritti del papa (e di tutti i papi dell'ultimo cinquantennio) e dei vari dicasteri della Santa sede.

Un copyright rigidissimo, nel caso di Ratzinger esteso retroattivamente anche a tutte «le opere e gli

scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro», che solo nel

2007 ha fruttato alla Lev, e quindi alla Santa sede, un utile di un milione e 600mila euro (del 2008

non sono stati forniti i dati).

Ma è stata soprattutto la «crisi mondiale economico-finanziaria», come ha spiegato monsignor

Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, a

determinare il passivo complessivo di oltre 16 milioni di euro ufficialmente dichiarato. Ma che in

realtà è molto più alto - un servizio del quotidiano La Stampa lo quantifica in 35 milioni di euro -

perché è stato mascherato con un'operazione cosmetica degna della migliore finanza creativa: «In

conformità con i provvedimenti adottati in via eccezionale da organismi contabili internazionali ed

autorità monetarie di diversi Paesi - ha aggiunto De Paolis - si sono applicati criteri di valutazione

intesi a evitare la contabilizzazione di potenziali minusvalenze dovute alla fase acuta della crisi

economica globale nel settore finanziario, e le relative conseguenze nel risultato finale d'esercizio».

Il Vaticano, cioè, ha avuto perdite assai maggiori per operazioni finanziarie finite male, che però

non ha messo a bilancio - come del resto hanno fatto altre società - in attesa di tempi migliori che

consentano la rivalutazione delle valute estere e dei titoli crollati. Soprattutto, sembra, dollari e

azioni acquistate sui mercati Usa vendendo parte dell'oro contenuto nei forzieri vaticani.

Un vizietto, quello del gioco in borsa, che ha tirato un brutto scherzo anche ai vescovi italiani dal

momento che, come riporta il bilancio della Conferenza episcopale (di cui il manifesto ha scritto lo

scorso 30 giugno), i «proventi finanziari» della Cei sono scesi dai 33 milioni di euro del 2007 a

meno di 2 milioni nel 2008, con una perdita secca di 31 milioni. E anche in quel caso, spiegava il

segretario generale dei vescovi monsignor Mariano Crociata, la colpa era stata della «crisi dei

mercati finanziari».

A rimettere le cose in ordine ci hanno pensato i cattolici con le offerte, raccolte in tutto il mondo il

29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo), per l'Obolo di san Pietro, ovvero «l'aiuto economico - si

legge nella brochure di presentazione - che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione

alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le

opere di carità». Una tradizione di origine alto-medievale, poi ufficializzata da Pio IX in

un'enciclica del 1871 all'indomani della breccia di Porta pia, che nel 2008 ha portato in Vaticano 75

milioni di dollari, cioè circa 54 milioni di euro, 3 milioni di meno del 2007 ma più che sufficienti ad

azzerare il decifit della Santa sede e a riportare il bilancio saldamente in attivo.

Su come vengano utilizzati questi soldi vige il più stretto riserbo. Si dice solo che sono destinati

«alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale, come anche al

sostentamento delle attività della Santa Sede». I più generosi sono stati gli statunitensi, gli italiani e,

potenza di papa Ratzinger, i tedeschi.

Luca Kocci    il manifesto 26 luglio 2009

 

 
 
 
 

Cambio al vertice Ior In pole position un «Tremonti boy»

 

Non solo di bilanci ma anche della presidenza dell'Istituto per le opere di religione (Ior), la banca

vaticana, hanno parlato i cardinali che si occupano degli affari economici della Santa sede. Sembra

infatti che la Commissione cardinalizia di vigilanza, presieduta dal segretario di Stato Tarcisio

Bertone, stia meditando di licenziare un anno e mezzo prima della fine del mandato (che scade nel

marzo 2011) l'attuale presidente dello Ior, Angelo Caloia, alla guida della banca dal 1989, quando

venne chiamato a rimpiazzare Paul Marcinkus dopo lo scandalo Calvi-Banco ambrosiano.

Caloia è l'ultimo uomo di potere dell'epoca papa Wojtyla-cardinal Sodano, e Bertone da tempo si

sarebbe attivato per far sedere sulla poltrona della presidenza del Consiglio di sovrintendenza dello

Ior, l'equivalente di un Consiglio di amministrazione, un uomo di sua fiducia: secondo le

indiscrezioni, il banchiere piacentino Ettore Gotti Tedeschi, grande ammiratore dei fondatori di

Comunione e Liberazione, monsignor Luigi Giussani, e dell'Opus Dei, Josemaría Escrivá de

Balaguer, e autorevole rappresentante della scuola neoliberista cattolica del teocon statunitense

Michael Novak, molto ascoltato in Vaticano.

Nato nel 1945, Gotti Tedeschi racconta di essersi convertito negli anni '60 dopo aver conosciuto

Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza cattolica, gruppo della destra tradizionalista cattolica che

annovera fra i suoi militanti il sottosegretario all'Interno con delega alla sicurezza Alfredo

Mantovano. Negli anni '70 e '80 lavora prima in diverse società internazionali di consulenza

economico-finanziaria, poi con l'Imi-Bnl e nel 1987 fonda la banca d'affari Akros, insieme a

Gianmario Roveraro, il finanziere dell'Opus Dei rapito e trovato decapitato nelle campagne

parmensi nel luglio 2006 in circostanze ancora da chiarire. Dal 1993 è il plenipotenziario per l'Italia

del Banco di Santander. Consulente economico del ministro Tremonti, che lo ha anche nominato

consigliere d'amministrazione della Cassa depositi e prestiti e presidente del fondo per le

infrastrutture F2i, ha insegnato Etica della finanza all'Università Cattolica di Milano e dal 2008 è

editorialista dell'Osservatore Romano. Inoltre ha scritto insieme a Rino Camilleri (un

ultraconservatore che collabora con Studi cattolici, mensile vicino all'Opus Dei, e Il Timone,

periodico di «apologetica») Denaro e Paradiso: un titolo perfetto per Gotti Tedeschi che dice di

dedicare tutto il suo tempo a Dio e al denaro.

Per la presidenza dello Ior si fanno anche i nomi, con meno convinzione, di Hans Tietmeyer, ex

presidente della Bundesbank, e di Antonio Fazio, ex presidente della Banca d'Italia. Ma ovviamente

non c'è nessuna conferma, in nome di quella impenetrabilità che è il codice genetico della banca

vaticana. Si racconta che anche a Giovanni Paolo II, quando dopo lo scandalo Calvi chiese l'elenco

dei correntisti, venne risposto: «Spiacente Santità, ma la riservatezza è sacra».

Luca Kocci     il manifesto 26 luglio 2009