Ratzinger, la fede coatta e senza dialogo


D'accordo, la Chiesa ha già fatto la pace con Galilei, come ricordava giorni fa, a Dario Fertilio del
«Corsera», RossoMalpelo, corsivista dell’Avvenire, alias Gianni Gennari. Nel suo «Lupus in pagina», rubrica del giornale dei vescovi. È vero, ci sarà persino una statua per lo scienziato nei giardini Vaticani nel 2009, dopo la biografia positiva del pisano di Pio Paschini fatta «sbloccare» da Paolo VI nel 1965. E dopo il perdono giubilare richiesto da Giovanni Paolo II per l’ingiusta
condanna all’abiura. Perciò nessuna «annessione» di Galilei come sostiene Fertilio.
E però non basta riabilitare caritatevolmente Galilei. Occorrerebbe magari non ripetere gli errori di
dogmatismo, che portarono a quella condanna. Altrimenti ha ragione chi parla di annessioni a buon
mercato.
E qui veniamo a un punto chiave, che riguarda di striscio chi scrive, oggetto anche lui
della polemica di Malpelo, nello stesso articoletto contro Fertilio. L’accusa? Aver sostenuto su
l’Unità di mercoledì scorso che il rifiuto del «dialogo religioso» da parte di Benedetto XVI è segno
di chiusura irrazionale e intolleranza, benché corretta dall’ammissione del dialogo inter-culturale.
Che per il Papa ha solo il compito di esplicitare le ricadute concrete delle differenze di fede
(indiscutibili e non confrontabili). Per il corsivista tale posizione - espressa in una lettera-prefazione
a un libro di Marcello Pera - è notissima e autoevidente: «perfettamente ragionevole». Infatti come
può la Chiesa «discutere con l’Islam della profeticità di Maometto o della verità di Allah e viceversa
della divinità di Cristo?». Sicché chi ne dubita, «o ci è o ci fa».
Purtroppo non è questione di goliardia devota o di battute, ma appunto di ragione e ragionevolezza.
Delle quali è del tutto priva la tesi papale, che Malpelo rimastica. Perché mai un confronto tra
diversi e opposti articoli di fede non potrebbe risultare arricchente? Perché mai l’ascolto reciproco,
su diverse idee del Dio monoteista e no, non potrebbe suscitare nella coscienza di ciascuno echi e
suggestioni inattese? Oppure evocare similitudini ed emozioni comuni, pur nei diversi immaginari
teologici? Sarà poi la coscienza di ciascuno - sacerdote o semplice credente - a scegliere in base alla
sua fede quel che è comune e quel che è incommensurabile, o da respingere. E che fede sarebbe
quella che ha bisogno dell’ingiunzione a non discutere, per potersi preservare? Una fede per
decreto!

E infine: non ci ripete questo Papa che il Cristianesimo è figlio diretto del Logos
occidentale e ben per questo è «superiore» alle altre fedi? Se ciò è vero, ammesso che lo sia, non si
può allora rigettare a piacimento il punto cruciale di quel «Logos». Che significa ab initio ragione e
discorso, dialettica e dialogo. Dai Presocratici, a Platone ed Aristotele, fino a quell’Ellenismo che
nutre il Verbo cristiano. Dialogo, dubbio e ascolto, che sono il proprium dell’umana dignità. Senza i
quali v’è solo arroganza disumana.

 

Bruno Gravagnuolo    l'Unità 29 novembre 2008