«Troppi poveri al mondo». L'Onu lancia l'allarme
Rapporto sullo sviluppo delle Nazioni unite- 2005. Obiettivi del Millennio lontani


A una settimana dall'apertura del vertice del sessantesimo anniversario delle Nazioni unite, a New York dal 14 al 16 settembre con la presenza di circa 180 capi di stato e di governo, lo spettacolo del dramma della povertà nel sud degli Stati uniti sembra aver smosso l'intransigenza di Washington: l'ambasciatore John Bolton avrebbe accettato un compromesso sul comunicato finale, ritirando una parte consistente dei circa 700 emendamenti che aveva presentato, accettando in particolare un riferimento agli Obiettivi del Millennio (stabiliti nel 2000 per il 2015) e all'aumento (anche se non vincolante) dell'aiuto allo sviluppo allo 0,7% del pil dei paesi donatori, impegno vecchio ormai di trent'anni ma raggiunto solo da pochissimi paesi (gli scandinavi). Inoltre, gli Usa accetterebbero anche un riferimento blando al Protocollo di Kyoto per la riduzione dell'effetto serra.

Sviluppo umano: l'allarme

I negoziatori hanno da oggi sotto gli occhi l'ultimo Rapporto mondiale sullo sviluppo umano (2005) del Pnud (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo, ed. Economica, 385 pag.), che lancia un allarme sul raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, che cinque anni fa avevano promesso di dimezzare la miseria, mentre ancora oggi più di un miliardo di persone vive nell'estrema povertà. Oggi nel mondo ci sono «le capacità, le conoscenze, le ricchezze per raggiungere gli Obiettivi del Millennio, a condizione di volerlo», afferma la coordinatrice del rapporto, Cecilia Urgaz, che ha presentato lo studio nella sede della stampa estera a Parigi. Malgrado la vulgata degli economisti più noti spieghi che la mondializzazione accresce la ricchezza, viviamo in un mondo dove il reddito delle 500 persone più ricche è superiore a quello dei 416 milioni più poveri. Secondo le proiezioni del Pnud, portare un miliardo di individui che vivono con un dollaro al giorno ad oltrepassare la soglia della povertà costerebbe 300 miliardi di dollari, cioè l'1,6% del reddito del 10% più ricco della popolazione mondiale. Ma mentre il reddito pro capite nei paesi industrializzati è cresciuto di più di 6mila dollari tra il 1990 e il 2003, l'aiuto accordato ai paesi poveri è diminuito di un dollaro per abitante.

Il rapporto, che riporta una miriade di dati sugli «indicatori dello sviluppo umano» (speranza di vita, tasso di alfabetizzazione e di scolarità, pil pro capite) su 177 paesi - dalla Norvegia, in testa, fino al Niger, ultimo in classifica - si concentra su tre messaggi : 1) malgrado i progressi registrati, se si continua al ritmo attuale, gli Obiettivi del Millennio non verranno raggiunti ; 2) le ineguaglianze - tra paesi, ma anche quelle all'interno dei singoli paesi, compresi quelli ricchi - non sono solo uno scandalo morale ma rappresentano un freno misurabile allo sviluppo (lo diceva già Adam Smith); 3) c'è bisogno di una cooperazione internazionale ripensata, che prenda in conto anche l'equità del commercio e le questioni della sicurezza.

Inversione di tendenza

Nel 2003, 18 paesi (12 dei quali africani), con una popolazione complessiva di 460 milioni di persone, hanno registrato degli indici degli indicatori dello sviluppo umano inferiori a quelli del `90. Si tratta «di un'inversione senza precedenti», dice il Pnud.

Le diseguaglianze tra paesi aumentano, malgrado i progressi registrati in una parte dei paesi in via di sviluppo, a cominciare dal primo degli indicatori, la speranza di vita: un abitante dello Zambia ha minori possibilità di raggiungere i 30 anni di un inglese nel 1840. Oggi il Botswana registra un calo della speranza di vita doppio di quello della Francia a causa della prima guerra mondiale: meno 16 anni tra il 1914 e il 1918 in Francia, meno 31 anni nel paese africano. Le diseguaglianze aumentano anche per la discriminazione sessuale: in India, il tasso di mortalità infantile nei primi cinue anni di vita è superiore del 50% per le bambine. Negli anni `80 erano stati fatti dei progressi per diminuire la mortalità infantile. Se non ci fosse il rallentamento attuale, quest'anno sarebbero morti nel mondo 1,2 milioni di bambini in meno (il 44% dei decessi di bambini nei primi cinque anni di vita avviene nell'Africa sub-sahariana).

La Cina e l'India, paesi citati come esempio di sviluppo economico accelerato negli ultimi anni, non riescono a trasformare l'aumento del reddito in un calo della mortalità infantile (cosa che invece riesce al più povero Vietnam, dove gli scarti di ricchezza sono inferiori). Se continua il ritmo attuale di realizzazione degli Obiettivi del Millennio, nei prossimi dieci anni 41 milioni di bambini moriranno di povertà, nel 2015 ci saranno 380 milioni di persone in più che vivranno con solo un dollaro al giorno e 47 milioni di bambini non saranno scolarizzati.

Non ci sono solo le diseguaglianze tra paesi, ma anche quelle all'interno dei paesi: il tasso di mortalità infantile negli Usa è paragonabile a quello della Malaysia, un paese dove il reddito medio è quattro volte inferiore, e tra i bambini di origine afro-americana di Washington è più alto che nello stato indiano del Kerala.

Aiuti allo sviluppo e spese militari

Il rapporto punta il dito anche sull'aiuto allo sviluppo e sulla struttura del commercio internazionale. Gli aiuti sono diminuiti in percentuale, mentre la «sicurezza militare» ha preso il sopravvento sulla «sicurezza umana»: per ogni dollaro investito nell'aiuto allo sviluppo, ve ne sono 10 destinati alle spese militari. E questo non ha certo garantito la pace. Il rapporto si pronuncia a favore di una Commissione per il mantenimento della pace, sotto l'egida dell'Onu, sulla base di alcune constatazioni: dal `90, più della metà dei conflitti armati sono scoppiati in paesi in via di sviluppo (40% in Africa) e più un paese è povero più corre il rischio di cadere in un conflitto armato (i paesi con un reddito annuo pro capite di 250 dollari corrono il doppio di rischi di guerra civile che paesi con un reddito a 600 dollari). Sui 32 paesi ultimi in classifica nell'indicatore dello sviluppo umano, 22 hanno conosciuto un conflitto tra il `90 e oggi. Esiste un circolo vizioso tra conflitti e povertà, con tutte le sue conseguenze: nel Darfour, in Sudan, il tasso di mortalità dei bambini è di sei volte superiore a quello, già elevato, del resto del paese. Gli aiuti internazionali ai paesi che hanno subito conflitti sono molto vari: si va dai 245 dollari per abitante della Bosnia ai 40 dollari dell'Afghanistan.

Non solo gli aiuti allo sviluppo sono spesso «condizionati» dai paesi donatori all'acquisto di materiale prodotto da loro stessi o sono collegati all'accettazione di programmi economici liberisti, ma vengono di fatto annullati dalle ingiustizie del commercio internazionale: nel 2003, i paesi in via di sviluppo hanno perso circa 70 miliardi di dollari di entrate dell'export, a causa delle sovvenzioni agricole accordate in particolare negli Usa e nell'Unione europea ai propri produttori. Una cifra equivalente all'aiuto allo sviluppo che hanno ricevuto da questi stessi paesi. Inoltre, molti paesi - soprattutto in America latina - sono costretti a firmare accordi bilaterali con i paesi ricchi, molto più svantaggiosi degli accordi internazionali multilaterali.

 

ANNA MARIA MERLO  Il manifesto 8/9/05