Ragione e fede, un anno del pastore
tedesco
A più di un anno dalla
nomina e alla fine di una serie importanti di esternazioni, siamo oggi in grado
di leggere con una certa precisione la posizione di papa Benedetto XVI sulle
principali questioni che riguardano la chiesa cattolica e il suo rapporto con il
mondo contemporaneo. Forse sarebbe più esatto parlare piuttosto di Vaticano che
di chiesa: il cattolicesimo è più che mai variegato e articolato, come anche il
recente convegno della chiesa italiana ha confermato. Neppure un pontificato
autorevole e accentratore riesce a unificarlo completamente. Le indicazioni del
papa sono, comunque, di estrema importanza; vale la pena di provare ad
analizzarle.
Fra gli interventi più recenti e autorevoli di Benedetto
XVI non basta rifarsi al più citato e contestato, quello di Regensburg
sull'islam: molto significativi sono anche gli altri, soprattutto la lunga e
solenne «lezione» al convegno della chiesa italiana a Verona. Un intervento
estremamente rivelatore del pensiero ratzingeriano, della sua «teologia», anche
se non è facile distinguerla dalla dottrina cattolica comune e anche dal
pensiero di Giovanni Paolo II, continuamente ricordato ed esaltato.
Come punto di partenza del pensiero di Benedetto XVI si può
prendere il suo giudizio sul mondo contemporaneo. Un giudizio decisamente
negativo. Non tanto e non soprattutto per i motivi sociali, che certamente non
mancherebbero: guerre, povertà, fame, malattie, migrazioni. Il papa accusa
soprattutto il relativismo che considera come il male più diffuso e più
pericoloso. Un male che distrugge la verità e che si infiltra nel pensiero
religioso, anche cattolico. Se si indebolisce la verità, ne risente tutto
l'edificio sociale e politico. Se non si ricerca più una verità assoluta, valida
per tutti e sempre, sono inutili gli sforzi per il bene, il dialogo fra le
religioni, il rapporto fra laici e cattolici.
Il giudizio negativo è più netto di quello che generalmente
accompagna le prese di posizioni delle religioni. Ben lontano, comunque, da
quello con cui papa Giovanni XXIII aveva accompagnato l'apertura del concilio
Vaticano II.
Al suo pessimismo di fondo, papa Ratzinger accompagna una
proposta piuttosto precisa. Il relativismo si combatte esaltando e rivalutando
la ragione: in positivo, il papa fa del rapporto fra fede e ragione il centro
del suo pensiero. Non basta dire che la fede è ragionevole: niente credo quia
absurdum, come pure avevano sostenuto teologi antichi e pensatori moderni di
stampo antiintellettualistico, esistenzialista e simili. Non soltanto, dunque,
la fede è ragionevole, ma la ragione, se correttamente intesa, conduce alla
fede. Un assunto, anche questo, non nuovo nella tradizione cristiana, ma
piuttosto accantonato nel pensiero moderno anche cristiano (soprattutto
protestante).
Per Ratzinger è un passaggio essenziale.
Questa riabilitazione della ragione gli permette
conseguenze di grande rilievo. Prima di tutto gli permette un discorso
universale, come universale è - dovrebbe essere - la ragione. Gli permette di
superare quel frazionamento delle religioni e delle posizioni che conduce al
gran male del relativismo. Gli permette, ancora, di unificare le religioni in un
quadro che Roma sorregge e sostiene, dato che è - sarebbe - proprio Roma a
difendere e proporre a tutto il mondo la verità della ragione.
La ragione è - sarebbe - quella piazza nella quale tutti si
possono incontrare e confrontare e che proprio Roma organizza e governa. Senza
la quale è il caos, con quelle spaventose conseguenze che sono sotto i nostri
occhi.
Fin qui Ratzinger. Un quadro pretenzioso che merita,
almeno, qualche osservazione e che suscita qualche interrogativo.
Il primo interrogativo è sull'uso della ragione al
singolare. Ormai, dopo Kant e tutto il pensiero moderno, si è venuto imponendo
sempre di più l'uso della ragione al plurale. Perfino la matematica ha
abbandonato la ragione al singolare, quella unica, inamovibile, universale,
assoluta. Conoscere - dicono autorevolmente Nietzsche, Wittgenstein e buona
parte dei pensatori moderni - è interpretare. L'interpretazione si è insinuata
anche in quel rapporto della ragione con la fede che, secondo il papa, dovrebbe
dare alla fede sicurezza e universalità. Quale ragione? L'uso della ragione al
singolare allontana inevitabilmente il pensiero di Ratzinger dalla cultura
contemporanea.
Un'altra osservazione non può non riguardare l'ecumenismo.
E' stato soprattutto il protestantesimo, nelle sue varie forme, ad allontanare
la fede dalla ragione, la teologia dalla filosofia, specialmente da quella
Scolastica che l'aveva accompagnata per secoli, ma che la lettura diretta della
Bibbia metteva in crisi. Lo ha confermato lo stesso Benedetto XVI nel suo
discorso di Regensburg. Dopo aver esaltato il collegamento fra la fede e il
«logos» greco, il papa imputa proprio alla Riforma del secolo XVI la colpa di
una prima ondata di disastrosa «de-ellenizzazione».
Una ferita che non sarà facile sanare nel dialogo ecumenico
di oggi.
Filippo Gentiloni Il manifesto 02/11/2006