Quelle vite
devastate che i ricchi non vedono
San Francisco, primi di agosto 2009; bighellono nei dintorni dell´hotel Hilton,
sede del congresso
americano di sociologia di quest´anno, dove devo tenere una relazione. I
sociologi, simili in questo
ai chirurghi che operano d´urgenza, sono gente alquanto insensibile; i tempi di
crisi sono per loro
alta stagione. Non è così per i senzatetto e i mendicanti che mettono in mostra
la loro povertà o per
la gente di colore che difende il suo territorio nei ghetti e nelle favelas.
C´è un fagotto d´uomo sul
margine della strada. Un poliziotto controlla rapidamente che dia segni di vita
e se ne va. Sono
proprio tanti quelli che si trascinano a fatica, cercando di evitare al loro
corpo le lussazioni sempre
in agguato. A pranzo sediamo in un ristorante vietnamita, cucina eccellente,
posto accanto alla
finestra. All´improvviso, come giunta dal nulla, appare una grande, magra
figura, vestita di stracci
svolazzanti, come un grande uccello che copre tutta la finestra, gustandosi
l´orrore da lui (o da lei,
non è chiaro) provocato. Con un gesto ripetuto già tante volte il cameriere lo
caccia come un cane
fastidioso, che si conosce e si bastona. Là uno barcolla attraverso la strada
trafficata, in mezzo ai
clacson e allo stridio di freni del fiume di macchine. Non riesco a
togliermi di mente gli occhi spenti
dei corpi in parte gonfi come palloni, in parte magri come un chiodo che mi si
fanno incontro (uno
su dieci passanti, grosso modo). Qui l´inumanità della società
spietatamente capitalistica che si
richiama all´umanità della libertà e della democrazia ha i suoi volti.
Ingiustizia sociale che grida
vendetta. Anche nella crisi dell´economia mondiale i ricchi pagano – nel
peggiore dei casi – in
valori azionari, mentre i più vulnerabili, che non hanno proprio niente a che
fare con la crisi, la
"pagano" con la moneta contante della loro cosiddetta esistenza. Non sono più
"poveri" – il concetto
è troppo debole. Parlare di "classe" sarebbe un cinico eufemismo. Zygmunt Bauman
le ha chiamate
"wasted lifes", in un´analogia che si fa fatica a tollerare con le
montagne di rifiuti prodotte
permanentemente dal "capitalismo sempre più veloce e sempre più bello". Bauman
parla delle
sottocittà invisibili nelle quali vegetano questi wasted humans. Non è già un
progresso che essi
siano onnipresenti nelle vie principali di San Francisco?
Certo, la coesistenza ravvicinata tra la povertà più desolante
e la ricchezza non è nulla di nuovo. Ma
nella politica interna mondiale è un´ingiustizia che grida vendetta oggi, quando
l´uguaglianza
sociale è diventata un´aspettativa diffusa in tutto il mondo e le crescenti
disuguaglianze non
possono essere giustificate come volute da Dio, né essere nascoste dietro i muri
degli Stati
nazionali. Ma è anche un problema morale per me, per la mia generazione, per il
sociologo tedesco.
Ai nostri genitori abbiamo rinfacciato: "Come avete potuto!". E oggi? Migliaia
di cittadini del
mondo muoiono ai confini marittimi dell´Unione Europea, milioni di bambini
all´anno muoiono di
fame. Ma noi giriamo la testa dall´altra parte. Tutto questo è, nello stesso
tempo, banale, disarmante
e profondamente vergognoso.
E il sociologo che è in me dice che non è finita e che le
regioni e i Paesi dimenticati devono temere
una indifferenza e una desertificazione ancora maggiori. Come è noto, tutto ciò
non scuote nessuno.
Dimostra soltanto la relatività dell´indignazione umana. Ma proprio
questo è diventato sbagliato.
Nella politica interna mondiale viene meno la legittimazione che finora ha reso
possibile questa
relatività dell´indignazione. I poveri diventano poveri non solo a causa della
loro povertà, ma anche
ad opera dei flussi di informazioni che rendono confrontabile la loro
situazione. Essi diventano i
"nostri" poveri, e poveri perché conoscono la nostra ricchezza. Quanto più le
norme
dell´uguaglianza si diffondono nel mondo, quanto più energicamente e con
successo l´Occidente
promuove i diritti umani, tanto più la disuguaglianza globale perde la
base di legittimazione
dell´indifferenza istituzionalizzata. Questo però avviene nella forma di
un´asimmetria unilaterale: i
poveri non accettano più la non-confrontabilità costruita dalle frontiere
nazionali; essi si
confrontano – e vogliono entrare!
I Paesi ricchi si difendono tenendo fermo all´illusione della
non-confrontabilità nazional-statale.
Essi concentrano il loro sguardo, la loro compassione e il loro sdegno sulla
povertà "interna",
"propria", nazionale. Così anche l´illusione della non-confrontabilità
contribuisce a far sì che nei
Paesi ricchi sempre più persone si sentano povere o minacciate dalla povertà.
Politica interna mondiale significa che la povertà dei
poveri diventa uno scandalo politico non solo
a causa della crescente povertà, ma anche a causa della generalizzazione
dell´uguaglianza. Ora
ognuno può vedere che la sua povertà è la condizione della nostra ricchezza, che
la disumanità della
sua situazione presuppone e nello stesso tempo mette in discussione le nostre
presuntuose pretese di
umanità. Tuttavia, questo poter vedere vale più per i poveri. E riesce soltanto
a inquietare la cattiva
coscienza dei ricchi, e anche questo solo di rado.
Di sera, nella mia camera d´albergo al trentacinquesimo piano con una vista
incantevole che spazia
dal mare di case di San Francisco fino al Golden Gate Bridge, vedo nei notiziari
televisivi
un ´inchiesta su un´organizzazione umanitaria attiva nel campo della medicina,
il cui messaggio
costituisce un contrasto radicale con l´isteria pubblicamente fomentata dalle
proteste contro la
politica di riforma della sanità del presidente americano Obama. Viene
intervistata una donna nera,
che ha atteso per una notte intera assieme al figlio dodicenne per procurarsi
l´indomani mattina
presto un biglietto per un intervento gratuito. La donna ha problemi ai denti e
non si ricorda
nemmeno più dell´ultima volta che è stata visitata da un medico. Per lei,
infatti, "la scelta è
semplice: o pago l´affitto o pago l´assicurazione sanitaria". Centinaia di
persone attendono qui,
affidandosi alla buona sorte, la grande opportunità di sottoporre finalmente – e
gratuitamente – il
loro corpo agli urgentissimi lavori di riparazione medica. Non sono i più
poveri fra i poveri;
appartengono prevalentemente al ceto medio-basso. Sono ancora troppo
"ricchi" per beneficiare del
programma di aiuti, ma già troppo poveri per potersi permettere un´assicurazione
sulle malattie. Tra
di loro ci sono anche i disoccupati, che con il lavoro hanno perduto anche la
tutela assicurativa.
E in questo Paese, nel quale quasi cinquanta milioni di persone non sono
assicurate contro le
malattie, il presidente Obama, che vuole eliminare questa indecenza, viene
demonizzato come il
"nuovo Hitler". Non riesco a capacitarmene. La politica interna mondiale
ha certamente una
conseguenza: si è più vicini – e questo aumenta l´incomprensione reciproca.
Ulrich Beck la
Repubblica 8 settembre 2009