Quell'odio
verso gli ultimi
“Gli incendiarono il letto sulla strada di Trento", cantava Fabrizio De André
nella splendida e
spaventosa Domenica delle salme, rassegna degli orrori sociali in atto e in
preparazione nei ruggenti
Ottanta. Raccontava di un clochard bruciato vivo dai giovanotti di Ludwig,
usciti dall'inferno e
dunque innamorati delle fiamme. Da ieri anche una panchina di Rimini, dimora
abituale di un
senzatetto italiano che si chiama Andrea, è annerita dal fuoco. Anche a lui
"incendiarono il letto".
Ora è in ospedale a Padova, con il quaranta per cento del corpo coperto di
ustioni, di piaghe e
dolore. La panchina, vuota, campeggia in ogni pagina di carta o di pixel, e dopo
il rogo ha lo stesso
colore indefinito e scuro dei rifiuti. Accanto c'è una bottiglia vuota:
conteneva la benzina che ha
bruciato Andrea, all'una di notte, mentre dormiva.
Qualcuno dice di avere visto due adulti e un ragazzo allontanarsi nel buio
mentre Andrea prendeva
fuoco. Ma ancora non si sa chi abbia cosparso i piedi di Andrea di benzina e poi
lo abbia acceso
come una carta vecchia. Si sa, però, che queste cose ogni tanto succedono.
Ultimamente pare che i
deboli suscitino persino più odio dei potenti. Nessuno li invidia o li teme, ma
c'è in giro una
micidiale fregola di "normalità", di benessere obbligatorio, di bei vestiti e
belle facce, che
evidentemente rende osceno e insopportabile, agli occhi di qualcuno, l'esistenza
dei barboni, dei
miserabili, degli sfigati a vario titolo che ancora si ostinano (e come osano?)
a viverci accanto.
Può essere stato un paranoico, un emulo di Ludwig (perché di nazisti, in giro,
ultimamente ce ne
sono un bel po'), un sadico, un gruppo di bulli, uno spacciatore disturbato
dalla presenza di Andrea:
gli spacciatori, si sa, contribuiscono anche loro al Pil e dunque si sentono
infinitamente più
rispettabili di uno sfaccendato. Si esclude solo, con certezza, l'ipotesi di una
ritorsione o di una
vendetta, perché Andrea era un emarginato del genere inoffensivo, mai litigato
con nessuno,
facilmente sopportato dal quartiere, aiutato dai benemeriti volontari cattolici
di un'associazione che
si chiama Casa di Betlemme (ora lo assistono in ospedale).
L'unico disturbo che Andrea poteva dare era quello del suo ingombro fisico.
Della sua esistenza, per
quanto minima e appartata, e dei due metri di panchina che gli facevano da
domicilio. La panchina
è, con lui, l'altra vittima di questo crimine scemo e ripugnante. Basta leggere
certe zelanti ordinanze
comunali che trattano panchine, scalinate e giardini pubblici come i potenziali
nidi di bipedi
infestanti, bivacchi di sfaccendati, mendicanti molesti, sedi d'elezione per
quella intollerabile
sedizione sociale che è la povertà in canna, la miseria vera, quella antica e
derelitta che si strascica
per terra, quella che non si lava e non sogna più decoro, quella che fruga tra i
nostri rifiuti, quella
che ancora balugina in certi underground urbani, dietro cespugli e cavalcavia,
oppure osa emergere
sulle panchine dei parchi guarnite di cartoni e coperte vecchie per la notte.
Non la fortuna di Andrea, ma la sua disgrazia gli ha attirato l'odio di alcuni
sconosciuti. Se
riusciranno a trovarli, sarebbe interessante, forse addirittura avvincente
capire che cosa c'è dentro la
testa di chi si accanisce contro l'ultimo degli ultimi. Nel governo c'è
chi chiede (com'è ovvio la
Lega) un censimento dei "barboni", non so dirvi se con o senza impronte
digitali. Ma un bel
censimento delle paranoie sociali, senza fare i nomi dei coinvolti ma almeno
elencando i sintomi, e
azzardando qualche terapia, quando?
Michele Serra la Repubblica 12
novembre 2008