Quel razzismo strisciante
«Quelli sono slavi, so’ barbari, che caspita c’entrano con noi che semo romani,
der mondo de la cultura, de l’antichità...».
Mi sorprende sentire queste parole in un mercato rionale, accanto alla stazione
Termini, il giorno dopo il raid della Casilina, il giorno dei funerali di
Giovanna Reggiani. Quattro ragazzotti romani davanti a un banco della frutta,
quattro giovani di quelli che in genere parlano soltanto di calcio, della Roma,
della Lazio. Quei quattro oggi parlano animatamente di immigrati.
Il più bulletto che cerca di dare una spiegazione “alta”, abbozzando una
giustificazione storica delle differenze fra romeni e romani, per ribadire una
(presunta) nostra superiorità razziale («....tanto ormai anche Chivu il romeno
gioca nell’Inter...») .
Lampi di razzismo.
Mi torna alla mente l’art. 3 della Costituzione: la proclamazione del principio
fondamentale dell’eguaglianza, fra tutti, rafforzato dai divieti di
discriminazione. Vi si specifica che tutti sono eguali «senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione...».
Una norma figlia del tempo. Perché i Costituenti vollero fermamemente ribadire
che la discriminazione degli ebrei nel ventennio era stato un errore, un enorme
errore storico. L’Italia non è un paese razzista. Non lo è mai stato.
Così per anni sui manuali di diritto costituzionale abbiamo letto che la
proclamazione costituzionale della non discriminazione rispetto alla razza era
una norma anacronistica. Scritta soltanto come forma di rifiuto di un odioso
passato. I costituenti non potevano certo pensare ai problemi dell’immigrazione,
all’integrazione razziale, a un crearsi di un melting pot anche in Italia. I
Costituenti scrissero negli anni in cui erano gli italiani ad emigrare.
Oggi oltre il 5% della nostra popolazione è ormai fatta di immigrati. E spesso
di immigrati che sopravvivono ai margini della società, come magistralmente ci
mostra Ken Loach nel suo «In questo mondo libero».
Ormai l’immigrazione è un problema anche per l’Italia.
E lo Stato risponde. Ubi societas ibi ius. La risposta legale è il “pacchetto
sicurezza”, approvato prima come disegno di legge, poi trasformato in
decreto-legge per dare il senso dell’immediatezza della risposta. Più controlli,
più severità, più espulsioni. Ma c’è anche una risposta sociale, che preoccupa.
La societas risponde con i linciaggi, risponde con un razzismo latente, che
trasuda nelle chiacchiere da bar, che si insinua nei pensieri di chi fa la spesa
al mercato, anche i più giovani, cioè coloro che domani dovranno vivere in
un’Italia inevitabilmente multirazziale.
L’Italia si riscopre un paese razzista e la Costituzione fa tornare attuale il
suo ammonimento, in una esemplare eterogenesi dei fini: il divieto di ogni
discriminazione in base alla razza è principio fondamentale della nostra
Repubblica.
Alfonso Celotto l’Unità 5.11.07