Quel musicista con la fisarmonica e i trenta minuti di carità negata

Le immagini della videosorveglianza fanno paura perché mostrano un enorme vuoto disumano


«Qui non lo lascio. No!» ha detto Mirela, la moglie di Petru Birlandeanu, il suonatore ambulante rumeno, ucciso dai killer della camorra il 26 maggio scorso, vittima innocente durante un’azione di rappresaglia criminale nel pieno centro di Napoli. Una settimana fa, Mirela è fuggita in Romania con i due figli e ha disposto che le spoglie del suo caro siano rimpatriate al più presto, lamentando così il duplice oltraggio subìto: l’assurdo ferimento di Petru durante la sparatoria e la sua agonia davanti ai tornelli di un’affollata stazione ferroviaria dove si era rifugiato malgrado fosse stato raggiunto da due proiettili. E’ rimasto a terra per quasi mezz’ora Petru, mentre le immagini del sistema di video­sorveglianza riprendevano la gente che fuggiva via da Mirela che urlava disperata, cercando un aiuto che nessuno le ha dato fino all’arrivo dell’ambulanza da un ospedale, il vecchio Pellegrini, distante 20 metri. La telecamera esterna mostra che solo alcuni minuti prima, Petru attraversava con Mirela piazza Montesanto, davanti alla stazione della linea cumana che ogni giorno serve migliaia di pendolari e turisti. Ambedue appaiono con il passo stanco di una giornata di fatica, la fisarmonica al collo con cui spesso li avevo visti girare tra i vicoli, suonando melodie che molti ripagavano lanciando monete dalle finestre. Eppure, lì, in un momento cruciale, non hanno trovato nessuna carità. Non credo sia stata indifferenza quella di chi li ha evitati, erano persone spaventate, for­se raggiunte dal rumore degli spari appena trascorsi, forse semplicemente assuefatte al vortice di una città violenta e abbandonata a se stessa. Non è stata indifferenza ma piuttosto ignavia, un’incapacità di agire secondo valori dignitosi ed umani, il prevalere di quella viltà con cui si tira a campare, cucendosi addosso mille giustificazioni e diritti, come ha esasperatamente imparato a fare l’Italia di oggi, non solo Napoli. Secondo alcuni, lo sguardo di chi ha tirato dritto aveva compreso che si trattasse di un immigrato, di uno che conta zero, che qui non ci dovrebbe stare, forse per questo, durante la commemorazione del 4 giugno voluta dai centri sociali, una mano ha scritto provocatoriamente su un biglietto: un fiore per te Petru, questa era la tua città. Non sono del tutto convinto di questa posizione che, sebbene al passo con i tempi, fa salve ancora delle possibilità di solidarietà diffusa. Quando nelle immagini a circuito chiuso, si assiste allo svuotamento del piccolo andito da cui tutti sono fuggiti e Mirela resta sola con il suo uomo agonizzante, si prova paura, una paura che va ben oltre quella della camorra e del degrado, la paura di ciò verso cui stiamo andiamo: un enorme vuoto disumanizzante, su uno sfondo metallico e impietoso, dove il sangue e le vittime del reale non riescono a provocare vergogna e indignazione. Inoltre, per quanto ancora i problemi di una città italiana, terza metropoli della nazione, dovranno essere isolati dal contesto generale e trattati come emergenze ed eccezioni che si affrontano con l’esercito, le misure speciali o con ridondanti dissimulazioni? Forse per sempre Napoli resterà «il ritratto di Dorian Gray» per un’Italia che non vuole vedere quanto è culturalmente e an­tropologicamente mutata, in peggio.

Maurizio Braucci     Corriere della Sera 17.6.09

 

 


La paura della pietà
Così muore un innocente nell’indifferenza di Napoli


Hanno tutti paura, ma non dei camorristi che hanno ormai concluso l´affare e non sono lì, e anzi non sono mai stati all´interno della stazione della metropolitana. Hanno paura sì, ma di intenerirsi, di sentirsi costretti a male impiegare il proprio tempo per confortare la solitudine di chi sta morendo in mezzo alla calca: tutti intorno a lui, ma nessuno accanto a lui.
Sicuramente teme, freddamente e lucidamente teme di dovere essere caritatevole quel tipo grasso con la maglietta rossa, una sagoma inespressiva e insignificante che, in questo video incredibile ed essenziale, smania per timbrare il biglietto mentre ai suoi piedi un ragazzo rantola e la sua donna si dispera perché nessuno lo soccorre. L´omaccione per bene, rispettoso delle regole dei trasporti pubblici, rimane calmo, non fugge e non si fa prendere dal panico. Con destrezza smanetta con il biglietto che è già nella fessura della macchina obliteratrice, ed è visibilmente infastidito dagli altri che invece scappano, fanno ressa, platealmente voltano la testa dall´altra parte che in fondo è solo il modo vile di guardare l´orrore. Quell´uomo invece non si fa mai coinvolgere, neppure da ignavo, neppure con lo sguardo, dal poveraccio che gli muore a fianco dissanguato.
Questa folla robotica, questo starsene lontani per indifferenza o per panico o per non ritardare gli affari propri è la sola vittoria della camorra che mai avremmo voluto vedere e che davvero non possiamo sopportare. Ed è bene metterselo in testa: la folla qui non ha paura dei pistoleros che avevano già sgommato ed erano fuggiti. Qui hanno paura della solidarietà. Avessero assistito alla sparatoria sarebbero rimasti tutti pietrificati. Invece questa folla è un formicaio atterrito che fugge dalla compassione, che sfugge alla misericordia.
La morte violenta è sempre insensata anche quando ha un senso, ma morire così non ha più nulla a che fare con tutte le nostre chiacchiere e le discussioni sulla criminalità organizzata, la storia, l´origine, le filosofie e i sociologismi. Ed è casuale, anche se straziante, che si tratti di un rom, di un suonatore ambulante, di un ragazzo che si porta addosso la dissoluzione di una comunità, di un mondo, di quell´Est che fu impero e che adesso sparge in giro umanità dolente, lavoratori immaginari, giovani e vecchi, donne e bambini mal pagati, maltrattai, invisi, temuti e discriminati.
E però è già capitato e forse ancora capiterà: a un friulano, a un veneto, a un padano, a uno di noi, a chiunque. Sebbene sia spaventoso dirlo, non è questo che ci atterrisce: la camorra che spara nel mucchio e uccide per errore è infatti l´antica bava della ferocia criminale che insanguina le nostre strade, l´orribile spruzzo di una violenza che è quotidiana, ubiquitaria, non solo napoletana e non solo meridionale. Ma la malattia morale dell´indifferenza è qualcosa di più e di diverso dall´abitudine alla morte. Guardatelo bene questo video: sono le immagini scandalose e disgustose di una paese infastidito da un innocente ammazzato. È pietosa quest´Italia che ha paura della pietà.

Francesco Merlo   Repubblica 17.6.09


 

 

Napoli, morte in diretta e nessuno interviene

Quattro motorini sfrecciano contromano. Le armi si alzano sopra i caschi. Puntano ad altezza uomo.
La raffica. Spari in diretta. E tra le urla e la paura, il silenzio di una morte tra la gente che fugge dai
proiettili della camorra e non solo. La gente fugge indifferente davanti a un uomo che agonizza e a
sua moglie che chiede aiuto. Sono romeni.
Napoli, le 19.47 del 26 maggio scorso: otto killer arrivano in moto davanti alla stazione della
Cumana di Montesanto. Impugnano delle mitragliette. È la guerra di camorra tra i Sarno-Ricci ed i
Mariano. Nel mirino finisce, per errore, un musicista romeno che suona la fisarmonica sui treni. Si
chiama Petru Birlandeanu. Ha 31 anni e viene colpito al cuore. L'omicidio è filmato dalle
telecamere di sorveglianza della Cumana. Il video è stato acquisito dalla polizia e trasmesso nel
fascicolo d'inchiesta della Dda di Napoli.
La prima scena riprende l'ingresso della stazione. Un normale pomeriggio. La gente passeggia. Si
vedono Petru e sua moglie, Mirella. Lui ha in spalla la fisarmonica. Lei è piena di buste e di pacchi.
Ciabatte ai piedi e pantaloni al polpaccio, camminano mano nella mano e si siedono vicino
all'ingresso. Dalla curva sbucano quattro moto. La telecamera inquadra le mani alzate. Le armi.
Sparano i killer. E sfrecciano via.
Nuova inquadratura, le porte a vetro della stazione si aprono. La gente corre al riparo. Eccoli di
nuovo Petru e Mariella. Lei gli tiene la mano. La folla è impazzita. Corrono tutti. Ai tornelli Petru si
accascia. Mirella cerca di aiutarlo, lo sorregge. Non ce la fa. Lei butta per terra le buste e la
fisarmonica. Non si sente più l'eco dei colpi. Anche le urla si placano. Nella ripresa ci sono altri
viaggiatori. C'è chi parla al telefonino. Si vede addirittura un passeggero che tenta di obliterare il
biglietto. La scena si svuota. Petru è a terra. Si intravede solo il capo. Mirella è accanto a lui. È sola.
Grida. Sbatte le mani nel vuoto. Salta. È sempre sola. A un certo punto una donna vestita di bianco
non ce la fa ad andare via. Si ferma. È l'unica. Ma rimane a distanza. Fa dei segni con qualcosa che
ha in mano. Si muove come se ci fosse una linea che non si può sorpassare.
Violenza e indifferenza. Mirella, con le mani sulla bocca piange. La stazione è ormai deserta. È
l'ultima immagine.
All'indomani dell'omicidio Mirella aveva raccontato tutto: «Per 5 minuti ha parlato. Per 10, mi ha
guardato fisso negli occhi e, quando io gridavo, lui scuoteva la testa e mi stringeva più forte la
mano. Per mezz'ora il corpo di mio marito Petru è rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. Ci
guardavano tutti e c'era anche chi mi scattava fotografie. È arrivata un'ambulanza ma non era per
noi, era per il bambino ferito (nella sparatoria è stato ferito anche un ragazzino di 14 anni, ndr). Due
feriti un'ambulanza sola... per l'italiano. Agli italiani noi romeni facciamo paura e ci lasciano
morire». Petru suonava la fisarmonica sulla Cumana, ma era un calciatore. Mirella dall'Italia ha
portato via il corpo senza vita del marito e la carta di identità: «Io sono rom. Lui era rumeno. Era un
centravanti del Poli Iasi, serie A rumena» ripeteva davanti all'obitorio.
Ora non sono più solo le parole della ragazza rom a chiedere giustizia. Ci sono le immagini. Ieri
mattina Enzo Esposito, responsabile napoletano dell'opera Nomadi, è andato in questura a ritirare la
fisarmonica di Petru. Esposito continua a mantenere i rapporti con Mirella. «Anche lei ha visto il
video. Lo hanno trasmesso al tg rumeno - racconta Esposito - Io spero solo che passati i 40 giorni di
lutto torni in Italia». Sono state avviate le pratiche per riconoscere Petru Birlandeanu come vittima
di mafia. «Le conserverò la fisarmonica - dice Esposito - sperando che Mirella davvero torni a
Napoli, ma non in un campo rom. L'Italia le deve almeno questo».

Cristina Zagaria      la Repubblica 17 giugno 2009