Quei morti che
gridano dal fondo del mare
È singolare (non trovo altro aggettivo) il comportamento della stampa nazionale
sulla strage dei 73
migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa.
Il primo giorno, con notizie ancora incerte, tutti hanno aperto su
quell'avvenimento: il numero delle
vittime, la storia raccontata dai cinque sopravvissuti, i dubbi del ministro
Maroni sulla loro
attendibilità, le responsabilità della Marina maltese, i primi commenti ispirati
al "chissenefrega" di
Bossi e di Calderoli.
Ma dal secondo giorno in poi i nostri giornali hanno voltato la testa
dall'altra parte. Le notizie nel
frattempo sopraggiunte sono state date nelle pagine interne. Uno solo, il
"Corriere della Sera", ha
tenuto ancora quella strage in testata di prima pagina ma senza alcun commento.
Il notiziario
all'interno tende a riposizionare i fatti entro lo schema della responsabilità
maltese. Il resto è
silenzio o quasi. Fa eccezione "Repubblica" ma il nostro, com'è noto, è un
giornale sovversivo e
deviazionista e quindi non può far testo.
Comincio da qui e non sembri una stravaganza. Comincio da qui perché la
timidezza, la prudenza, il
dire e non dire dei grandi giornali nazionali sono lo specchio d'una profonda
indifferenza dello
spirito pubblico, ormai ripiegato sul tirare a campare del giorno per giorno,
senza memoria del
passato né prospettiva di futuro, rintronato da televisioni che sfornano a getto
continuo trasmissioni
insensate e da giornali che debbono ogni giorno farsi perdonare peccati di
coraggio talmente veniali
che qualunque confessore li manderebbe assolti senza neppure imporre un "Pater
noster" come
penalità minimale.
Perfino il durissimo attacco della Chiesa e della stampa diocesana, che su altri
temi avrebbe avuto
ampia risonanza, è stato registrato per dovere d'ufficio. Bossi, che ha orecchie
attentissime a queste
questioni, si è addirittura permesso di mandare il Vaticano a quel paese,
definendo insensate le
parole dei vescovi sulla strage del mare e invitando il papa a prendere gli
immigrati in casa sua
perché «noi qui non li vogliamo».
Alla vergogna c'è un limite. Noi l'abbiamo varcato da un pezzo nella
generale apatia e afasia.
* * *
Ci sono varie responsabilità in quanto è accaduto nel barcone dei 78 eritrei,
per venti giorni alla
deriva in uno specchio di mare popolatissimo di motovedette, aerei, elicotteri,
pescherecci delle più
diverse nazionalità, italiani, maltesi, ciprioti, egiziani, tunisini e libici.
Responsabilità specifiche e
responsabilità più generali.
La prima responsabilità specifica riguarda il mancato avvistamento da parte
della nostra Marina e
della nostra Aviazione. Venti giorni, un barcone di quindici metri con 78
persone a bordo,
sballottato dai venti tra Malta e Lampedusa, un braccio di mare poco più ampio
di quello percorso
da una normale regata di vela.
I ministri Maroni e La Russa dovrebbero fornire al Parlamento e alla pubblica
opinione l'elenco dei
voli e dei pattugliamenti da noi effettuati in quello spazio e in quei giorni.
Il ministro dell'Interno
finora si è limitato a chiedere un rapporto sull'accaduto al prefetto di
Agrigento. Che c'entra il
prefetto di Agrigento? Il responsabile politico dei respingimenti in mare è il
ministro dell'Interno
che si vale della guardia costiera, delle capitanerie di porto e delle forze
armate messe a
disposizione dalla Difesa. Maroni e La Russa debbono rispondere, non il prefetto
di Agrigento.
La seconda responsabilità specifica riguarda il pattugliamento italo-libico
sulle coste della Libia.
Sbandierato ai quattro venti come un grande successo diplomatico, viaggi del
premier in Libia,
abbracci e baci sulle guance tra Berlusconi e Gheddafi, promesse di denaro
sonante e investimenti
al dittatore-colonnello, viaggio del medesimo con relativa tenda a Villa
Pamphili, scortesie a
ripetizione, sempre del medesimo, nei confronti di quasi tutte le autorità
istituzionali italiane;
secondo viaggio del colonnello e seconda tenda al G8 dell'Aquila, dichiarazioni
del ministro degli
Esteri, Frattini, per sottolineare l'importanza dell'asse politico Roma-Tripoli.
Risultati zero. Riforma dei centri di accoglienza libici sotto controllo
italiano, zero. Quei centri sono
un inferno dove i migranti provenienti dall'Africa sahariana e dal Corno
d'Africa sono ridotti per
mesi in schiavitù e sottoposti alle più infami vessazioni fino a quando alcuni
di loro vengono
affidati ai mercanti del trasporto e imbarcati per il loro destino. Le
vittime in fondo a quel tratto di
Mediterraneo non si contano più.
In quei centri, tra l'altro, le autorità italiane dovrebbero individuare quegli
immigranti che hanno
titolo per essere trattati come rifugiati politici. Queste verifiche non sono
avvenute. I migranti eritrei
in particolare dovrebbero poter godere di uno "status" particolare come ex
colonia italiana, ma
nessuno se ne è occupato (e meno che mai, ovviamente, il prefetto di Agrigento).
In compenso le motovedette italiane dal primo giugno ad oggi hanno intercettato
un elevato numero
di barconi e li hanno respinti nel girone infernale dei centri di accoglienza
libici, il che significa che
le partenze dalla coste cirenaiche continuano ad avvenire in barba a tutti gli
accordi.
Questo stato di cose è intollerabile. Frutto di una legge perversa e d'un
reato di clandestinità che ha
addirittura ispirato un gioco di società inventato dal figlio di Bossi e
brevettato con il titolo
"Rimbalza il clandestino".
Mancano le parole per definire queste infamità.
* * *
Ma esistono altresì responsabilità generali, al di là del caso specifico. Le ha
elencate con estrema
chiarezza il proprietario di un peschereccio di Mazara del Vallo da noi
intervistato ieri.
Perché i pescherecci che avvistano barche di migranti in difficoltà non
intervengono? Risposta: se
sono in difficoltà superabili, intervengono, forniscono viveri acqua e coperte,
indicano la rotta. Se
sono in difficoltà gravi, li segnalano alle autorità italiane.
Segnalano sempre? Risposta: non sempre.
Perché non sempre? Risposta: se imbarchiamo i migranti sui nostri
pescherecci rischiamo di perdere
giorni e settimane di lavoro. Noi siamo in mare per pescare. Con gli immigrati a
bordo il lavoro è
impossibile.
Non siete risarciti dallo Stato? Risposta: no, per il mancato nostro lavoro non
siamo risarciti.
Ci sono altre ragioni che vi scoraggiano? Risposta: chi prende a bordo
clandestini e li porta a terra
rischia di essere processato per favoreggiamento al reato di clandestinità.
Temono di esserlo, perciò
molti chiudono gli occhi e evitano di immischiarsi.
Se li portate a Malta che succede? Risposta: peggio ancora, ci sequestrano la
barca per mesi e ci
tolgono l'autorizzazione a pescare nelle loro acque.
Questi sono i risultati di una legge sciagurata, salutata non solo dalla Lega ma
dall'intero
centrodestra come un successo, una guerra vittoriosa contro le invasioni
barbariche.
Questa legge dovrebbe essere abrogata perché indegna di un paese civile.
Nel frattempo gli
immigrati entrano a frotte dai valichi dell'Est. Non arrivano per mare ma in
pullman, in automobile,
in aereo, in ferrovia e anche a piedi. Alimentano il lavoro regolare e quello
nero in tutta la Padania e
non soltanto.
I famigerati rom e i famigerati romeni vengono via terra e non via mare. La
vostra legge non solo è
indecente ma è contemporaneamente un colabrodo.
* * *
Alcuni si domandano i motivi del silenzio di Berlusconi su questo delicatissimo
tema. La ragione è
chiara e l'ha fornita l'onorevole Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl
insieme a La Russa e Bondi
e quello che meglio di tutti conosce la natura del capo del governo essendo
stato con lui e con
Dell'Utri uno dei tre fondatori di Forza Italia nell'ormai lontano 1994.
Di che cosa vi stupite, ha scritto Verdini in una sua lettera al "Corriere della
Sera" di pochi giorni fa
ribattendo alcune domande di Sergio Romano nel suo fondo domenicale. Di che cosa
vi stupite?
Silvio Berlusconi, con almeno una parte di sé, è un leghista né più né
meno di Bossi e quando nel
‘93 decise di impegnarsi in politica pensò, prima di decidersi a fondare un
nuovo partito, di guidare
con Bossi la Lega. Poi scelse di fondare un partito nazionale del quale il
nordismo leghista sarebbe
stato il pilastro più rilevante.
Così Verdini, il quale in quella lettera rivendica il merito d'aver convinto il
premier all'opportunità
di dar vita a Forza Italia.
Non si poteva dir meglio. C'è da aggiungere che il peso della Lega è ultimamente
aumentato in
proporzione diretta alla minor forza politica del premier. La Lega ha oggi una
forza di ricatto
politico che prima non aveva e la sta esercitando in tutte le direzioni non
senza alcuni contraccolpi
sulle strutture e sulle alleanze all'interno del Pdl.
Uno dei temi di dibattito di queste ultime settimane è stato il collante che
spiega nonostante tutto la
persistenza del potere berlusconiano e la sua eventuale capacità di sopravvivere
ad un possibile
ritiro di Berlusconi dalla gestione diretta di quel potere. Tra le varie
spiegazioni è mancata quella a
mio avviso decisiva. Il collante del berlusconismo consiste nell'appello
continuamente ripetuto e
aggiornato agli istinti più scadenti che rappresentano una delle costanti della
nostra storia di nazione
senza Stato e di Stato senza nazione.
Una classe dirigente dovrebbe rappresentare ed evocare gli istinti più
nobili di un popolo,
educandolo con l'esempio, spronandolo ad una visione alta del bene comune.
Un compito difficile
che alcune figure della nostra storia esercitarono con passione, tenacia e
abilità politica.
È più facile evocare gli «spiriti animali» e questo è avvenuto frequentemente
nelle vicende del
nostro paese a cominciare dal «O Franza o Spagna purché se magna» e alle sue più
recenti e non
meno abiette manifestazioni.
Giorni fa, rispondendo nel suo giornale alla lettera di un giovane leghista a
disagio ma privo di
alternative alla sua visione nordista, Galli Della Loggia spiegava al suo
interlocutore quale fosse
l'errore in cui era incappato: una falsa prospettiva storica, un falso
revisionismo che ha messo in
circolazione una falsa e deteriore immagine del nostro Risorgimento.
Ho riletto un paio di volte l'articolo di Della Loggia perché non credevo ai
miei occhi. Il
revisionismo da lui lamentato come deformazione della nostra storia unitaria è
nato negli ultimi
quindici anni proprio sulle pagine del suo giornale e lo stesso Della Loggia ne
è stato uno dei più
autorevoli esponenti.
Meglio tardi che mai. Purtroppo di vitelli grassi da sacrificare per il ritorno
del figliol prodigo oggi
c'è grande scarsità. Il solo vitello grasso in circolazione è lo scudo fiscale
preparato da Tremonti,
che però non riguarda la questione dell'Unità d'Italia e del revisionismo
politico. Festeggia soltanto
gli evasori fiscali. Anche questa è una (pessima) costante nella storia di
questo paese.
Eugenio Scalfari la Repubblica
23 agosto 2009