Quanto dura un’ora di religione?
Del Papa si parla sempre molto, soprattutto in questi giorni di viaggio in Terra
Santa. Poco rilievo, tuttavia, è stato dato dalla stampa al discorso con cui,
una decina di giorni fa, il Papa stesso ha ribadito che l’insegnamento
della religione cattolica (Irc), lungi dal costituire «un’interferenza o una
limitazione della libertà, è un valido esempio di quello spirito positivo di
laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva».
A prima vista la tesi dell’insegnamento di una religione come modello di
autentica laicità è tanto paradossale da essere subito scartata. Ma forse è
opportuno continuare a riflettere sulle parole papali, almeno per consentirci di
mettere in luce alcuni assunti dell’attuale orientamento vaticano. Eccole.
Con gli altri insegnanti, il docente di religione cattolica deve «porre al
centro l’uomo creato a immagine di Dio», sollecitando ad «allargare gli spazi
della nostra razionalità». Lo scopo deve essere far capire che «la dimensione
religiosa è intrinseca al fatto culturale» e permette di «trasformare la
conoscenza in saggezza di vita» dando «un’anima alla scuola». La religione è
infatti «parte integrante della persona» e condizione del «vivere umano
completo»; in breve, «rende l’uomo più uomo».
Il rilievo del discorso papale emerge quando se ne indichino le implicazioni
negative. L’idea che la religione è intrinseca alla cultura implica che senza la
religione non c’è cultura o quella che c’è è insufficiente (lo dimostra la
cultura scientifica che non attinge il mistero e non allarga la razionalità...).
Se la religione è parte integrante della persona, chi non la coltiva è
persona meno integra. Se rende l’uomo più uomo, chi non la fa propria è meno
uomo, più grezzo o incompleto. E infine se la religione dà un’anima alla scuola,
una scuola senza religione è arida o più povera, ecc. ecc.
Quattro secoli fa Pierre Bayle, in polemica coi devoti del suo tempo che
negavano potesse esistere una comunità umana priva di religione, riconosceva
come del tutto concepibile una società di “atei virtuosi”, persone cioè
con solidi valori morali indipendenti dalla religione. Oggi il Papa
rivendica il primato morale della religione per l’educazione quasi riecheggiando
le parole dei programmi scolastici ministeriali del 1955 che vedevano nella
religione «il completamento e il coronamento dell’insegnamento». L’idea di
individui pensanti non religiosi è oggi per il Magistero altrettanto improbabile
di quella di ateo virtuoso per gli avversari di Bayle. È in fondo
l’ammissione indiretta che l’unico “laico virtuoso”, per la Chiesa, è il laico
morto, rassegnato al precetto “fuori della chiesa, nessuna salvezza”.
Sergio Bartolomei e Maurizio Mori l’Unità 14.5.09
Consulta di Bioetica