Quando vince la paura

Nel dilagante senso di insicurezza profonda che si respira nell’aria, pesante incerta inquinata aria del mondo, avanzato e libero che pretenderebbe di essere, si nutrono a vicenda due paure. Una paura reale, concreta, connessa alla socialità e alla sopravvivenza, e una paura più strisciante che tocca il significato dell’essere e della sua individualità. La contaminazione tra le due paure è costante, particelle si incontrano, si influenzano, si mescolano fino a produrre una paura ancora maggiore, che esplode nell’immaginario.
Nell’immaginario la paura si deforma ogni volta che la si pensa, prende nuove vie per riprodursi, escogita nuovi sbocchi per deflagrare in un istinto di difesa: per proteggere il presente, per assicurare il futuro. Ma non si protegge così il presente che muta alla velocità della luce e non si protegge il futuro che si allontana, come l’orizzonte al quale non si arriva mai. Così, con la paura si screditano entrambi. Presente e futuro. La paura di perdere il lavoro, o di non trovarlo affatto, di non avere identità sociale, di ciò che è sconosciuto e diverso, la paura di non essere omologato e quindi vivere la solitudine sono altre facce dell’enorme incertezza che ci pervade. Cerchiamo risposte certe e fisse in un flipper dove la pallina è talmente rapida da non essere mai in un punto determinato. La vediamo solo quando rallenta, e ci spaventa perché da lì non sappiamo dove rimbalzerà. I pulsanti del flipper sembrano non rispondere ai comandi. La paura diventa panico. Il panico sociale aggrega rabbiosamente e produce il nemico, il panico personale impedisce la la realizzazione di sé e devasta l’anima.
Ma non è tutto teorico. L’insicurezza colpisce in concreto, si tramuta in violenza, odio, frustrazione, avvilimento, depressione. Nascono trincee da cui sparare, baratri neri in cui sprofondare a seconda della scelta di colpire l’altro o se stessi. Accade continuamente in ogni età, fino ad assumere tratti di un’eterna incompiutezza adolescenziale. Si risponde a istinto, sembrerebbe una faccenda di bisogni tornati primari. Si difende senza scrupoli il territorio in modo egoistico, si respingono gli sconosciuti, ci si porta con sé un’arma. Non ci sono più la libertà di scelta, l’attuazione di un’idea e della propria identità. Perché ogni cosa viene canalizzata dal mercato.
Sta qui la praticità della questione paura-insicurezza-incertezza. È il sistema economico che guida i nostri sentimenti. Se un laureato a trent’anni deve provare il vuoto di prospettive in un call center o nei famigerati contratti a progetto, la stagnazione tronca entusiasmi, volontà e competenza, inghiotte il futuro. Nel vuoto che crea le giovani menti annaspano senza appiglio, rimangono sole o finiscono in gruppi per essere qualcosa, qualsivoglia cosa senza mai essere niente. Se un cinquantenne diventa un numero in esubero, e la sua vita azzerata nella disperazione, ogni ombra che incontra gli farà terrore. La paura attanaglia nelle regole sociali e economiche: devi essere efficiente, alla moda comunicativo, ambizioso, piuttosto cinico. Non devi mostrare incertezze, sfiducia in te, tristezza. Altrimenti sei fuori, out, espulso. Per l’angoscia di esserlo, che prende quando non si è all’altezza delle aspettative, si va in terapia una volta alla settimana, che sommate alla fine riescono a reintrodurre i comportamenti conformisticamente consoni che il dolore aveva fatto dimenticare. Anche le pasticche, oltre i consigli di qualcuno (disgregato come te) che dovrebbe aiutarti, seduto al di là della scrivania con il tuo cervello in mano, servono. Al mercato ritorniamo. Le pasticche, le gocce, una che tira su, l’altra che tira un po’ giù, le altre ancora che fanno dormire. Sono diventate pane quotidiano per una moltitudine, e bilanci da record esponenziali per chi ha scelto di investire nella farmacopea psichica. C’è sempre chi ci guadagna dalla paura. Ci guadagnano la politica che ci controlla dall'alto, l’economia che ci controlla dal basso. È brutto sentire la terra che frana sotto i piedi, e il vedersi derubati e impauriti, e uscire di senno e ammazzare chi ci spaventa. O a ammazzarsi nel caso ci spaventassimo di noi stessi. I matti, chiamiamoli per una volta sola così, finiscono nella malattia perché la paura della malattia è pur sempre preferibile alla paura di vivere.

Valeria Viganò     l’Unità 24.9.08

 

 


Famiglia cristiana accusa: «Paese verso la semidemocrazia»

«Italiani brava gente, si diceva una volta», ma di fronte agli ultimi episodi di intolleranza, secondo Famiglia cristiana, sembra che l’Italia stia «cambiando pelle». «Oggi - commenta Famiglia cristiana - a leggere certi recenti episodi di cronaca, sembra di essere diventati il Paese dell’intolleranza. Una intolleranza che non è di matrice razzista, ma che può diventarlo».
Ma il settimanale affronta anche un altro tema scottante. Neppure alle europee «potremo sceglierci i rappresentanti con lo strumento delle preferenze» perché Berlusconi, ricorda Famiglia Cristiana, ha deciso di servire la «porcata numero due» (come la chiamò il suo creatore, il leghista Calderoli), ovvero - scrive la rivista dei paolini nell’editoriale del prossimo numero - una copia delle disposizioni più antidemocratiche della legge elettorale con cui abbiamo votato alle ultime politiche». Dalle leggi elettorali, osserva Famiglia cristiana nell’editoriale intitolato «Declino e metamorfosi della nostra democrazia», «dipende la qualità della democrazia» e «abolire le preferenze equivale a scippare i cittadini di un diritto di rappresentanza democratica». Per Berlusconi, commenta la rivista, le liste bloccate permettono di avere «professionisti che possono autorevolmente rappresentare il Paese in Europa», ma affermare questo è «un insulto all’intelligenza degli elettori». Per capirlo «basta fare un giro tra Camera e Senato per vedere le aule affollate di portaborse, segretari, cortigiani e figli di papà». «Quando non si riconosce il ruolo dell’opposizione (e il suo leader viene definito inesistente), - commenta l’editoriale - quando si toglie autonomia al potere giudiziario, quando l’opinione pubblica (addomesticata o narcotizzata grazie al controllo dei media) non è più in grado di effettuare un costante controllo sulle scelte politiche, ci si avvia, come dice il sociologo Campanini, a una semi-democrazia, a un processo degenerativo che svuota il Parlamento delle sue funzioni, sulla scia della Russia di Putin o del Venezuela di Chavez».

l’Unità 24.9.08