QUANDO LA SOVRANITA’ NON PIACE AGLI USA
La Bolivia ha sofferto violenze strutturali e sociali nel corso di tutta la sua storia. Le lotte di minatori, contadini e altri settori sociali evidenziano la grave situazione che vive questo Paese, vittima dell’inerzia e della complicità di governi che hanno privilegiato i poteri forti, lasciando volutamente nell’oblio il popolo che ha reagito, con forme di resistenza sociale, a un depauperamento sempre maggiore della popolazione, costretta a fare i conti con l’assenza di politiche e programmi che contemplassero bisogni basilari come sanità, educazione, lavoro ed una vita dignitosa.
Un popolo che vede aumentare fame, miseria ed emarginazione sociale mentre gli portano via le sue risorse naturali. Quando i popoli reagiscono contro le ingiustizie li accusano di essere sovversivi e violenti per le loro rivendicazioni sociali, e la risposta dello Stato è la repressione.
I governi di molti paesi stanno applicando le cosiddette “leggi antiterrorisino” che giustificano l’equiparazione di qualsiasi protesta sociale al terrorismo e non già al diritto dei popoli.
Il suolo su cui cammina il popolo boliviano racchiude grandi ricchezze naturali che, pertanto, appartengono solo a quest’ultimo. Tuttavia queste ricchezze non lo raggiungono, anzi gli vengono sottratte dalle transnazionali e dall’oligarchia che accumulano, ma non distribuiscono i loro guadagni. Le dimissioni del presidente Carlos Mesa evidenziano le forti pressioni che hanno portato il paese all’ingovernabilità ed all’aumento della tensione, generando caos e violenza, con la minaccia incombente di un golpe militare appoggiato dagli Stati uniti per imporre chi può proteggere i suoi interessi economici e politici, come gli idrocarburi e principalmente il gas. Purtroppo la violenza istituzionale ha già prodotto un morto e due feriti. In questa situazione, preoccupa l’accordo tra Stati Uniti e Paraguay per permettere l’ingresso di truppe statunitensi in questo Paese con il beneficio dell’immunità totale. L’intervento dell’ambasciatore statunitense in Bolivia è un avvertimento, un tentativo di impedire che Evo Morales, leader del partito Movimiento al Socialismo (MAS), possa diventare presidente di questa nazione. Esistono segnali molto inquietanti. Ad esempio, il governo Bush “ordina” al segretario generale dell’organizzazione di Stati Americani di seguire con attenzione gli sviluppi della situazione in Bolivia e, se necessario, di adottare “misure adeguate”. Non ci sarebbe niente di strano se, vista la vicinanza delle truppe statunitensi in Paraguay, avesse in mente un intervento analogo all’invasione di Haiti, con tutte le gravi conseguenze che sta soffrendo oggi questo Paese, costretto a tollerare le forze di occupazione, la violenza e l’aumento della povertà.
Pur non avendo assunto ancora alcuna decisione in merito, il Parlamento boliviano sta dibattendo la possibilità di convocare un’assemblea costituente ed indire elezioni anticipate, con il sostegno della stessa chiesa cattolica, alfine di ripristinare la stabilità costituzionale e normalizzare il Paese.
In seguito a forti tensioni in Parlamento, e dopo le dimissioni di Hormando Thica Diez y Mario Cossio, il presidente della Corte Suprema di giustizia, Eduardo Rodriguez è stato eletto Capo dello Stato ed a lui spetta il compito di indire le elezioni anticipate entro 90 giorni.
Il leader del MAS, Evo Morales, rivendica la nazionalizzazione delle risorse naturali del popolo boliviano, gli idrocarburi ed il gas, cui si oppongono i settori imprenditoriali alleati degli Stati Uniti. La violenza strutturale e sociale ha danneggiato profondamente le condizioni di vita del Paese e la reazione del popolo, che rivendica i propri diritti sistematicamente negati, è legittima.
Gli avvenimenti si susseguono e mutano rapidamente. Speriamo che il buonsenso, che si è trasformato nel meno buono dei sensi, consenta ai leader politici ed alle organizzazioni sociali di trovare percorsi ed alternative per far rispettare la sovranità del popolo boliviano e rivendicare cambiamenti profondi nelle istituzioni dello Stato. Speriamo che questi cambiamenti, che il popolo chiede con forza, si realizzino senza violenza, mediante il dialogo e con l’obiettivo di perseguire il bene comune.
Il problema che sta vivendo la Bolivia non è un caso isolato rispetto al resto del nostro continente che, invece, subisce i diktat delle politiche neoliberiste del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del Dipartimento di Stato statunitense che pretendono la privatizzazione delle imprese statali, dei servizi e delle risorse naturali.
Il grande dibattito che si apre è analizzare come i popoli vivono una democrazia che è più formale che reale, più delegativa che partecipativa. Il giorno dopo aver votato, i popoli si scoprono inermi. Delegando il potere a chi li governa, i cittadini restano esclusi dalle decisioni dello Stato.
Il sistema democratico imposto è in crisi ed è necessario invertire questa situazione, superare le democrazie delegative che rendono i popoli inermi di fronte al debito estero ed alle privatizzazioni di imprese statali e risorse naturali provocando la loro dipendenza e perdita della sovranità. Come dicono i nostri fratelli indigeni della Valle del Cauca, in Colombia, “bisogna far camminare le parole della resistenza”, recuperare il senso reale delle parole per avviare la costruzione di democrazie partecipative, in cui i grandi temi e problemi che coinvolgono direttamente i popoli, il loro presente ed il loro futuro, vengano decisi mediante plebisciti, consultazioni popolari, referendum e che, inoltre, prevedano il diritto di revocare il mandato a governanti e funzionari che non adempiono al loro dovere di lavorare per il bene del popolo.
Non esistono casi isolati nel nostro continente. Esistono antagonismi sociali, a partire dalla resistenza e partecipazione solidale dei popoli davanti alle ingiustizie, come testimonia la sollevazione del popolo boliviano.
Altre forme di antagonismo sono sorte in vari Paesi, come la recente rivolta popolare in Ecuador contro un governo che aveva tradito il popolo, oppure la sollevazione popolare in Argentina contro un governo inetto che aveva causato il disastro economico e l’aumento della miseria.
Il continente attraversa una fase deliberativa e deve valorizzare le azioni in grado di indurre i cambiamenti che chiedono i popoli. Le politiche neoliberiste invece, pretendono di globalizzare miseria, emarginazione e oppressione.
Nella sua storia, il popolo boliviano può vantare chiari esempi di resistenza e dignità ed oggi torna ad alzare la sua voce contro il saccheggio delle sue risorse naturali che compromette il presente ed il futuro del Paese.
I popoli del nostro continente devono stare all’allerta davanti alle politiche imposte dai centri del potere dominante e sviluppare solidarietà e sostegno reciproco. Oggi tocca alla Bolivia, domani potrebbe toccare al nostro popolo.
Adolfo Pérez Esquivel su “Solidarietà Internazionale” n.5/2005