Quando l'individualismo distrugge la società

 

La reazione che si sta (per fortuna) alzando giorno dopo giorno contro le abitudini private e

pubbliche del nostro premier mostra, ha scritto ieri Michela Marzano su Repubblica, un'Italia

«individualista, materialista e machista che ha vergogna quando si guarda allo specchio».

La confusione della cultura dei diritti con un individualismo antisociale – quello che si riconosce

nella massima del "me ne frego" – è uno degli aspetti di questo smarrimento. La rappresentazione

della nostra società come di un mercato cinico nel quale si scambiano diritti con soldi, sesso con

potere, si interseca con quella di una società che pare non avere più un centro di forze etiche capaci

di unire i cittadini come una forza di gravità invisibile: il rispetto per gli altri; la solidarietà,

l'eguaglianza di cittadinanza.

Senza queste forze etiche, la libertà che i diritti liberali garantiscono e proteggono può trovarsi di

fronte a due rischi: essere sentita come poca cosa dai molti, poiché avere diritti significa anche poter

vivere il proprio quotidiano sicuri senza accorgersi di essi; e diventare un privilegio di chi sfrutta a

proprio vantaggio le potenzialità offerte dalla società liberale facendo dei diritti uno strumento di

affermazione contro gli altri. Entrambi questi rischi – il primo di apatia e il secondo di

individualismo anti-sociale – sono il segno di una disposizione che la cultura liberale dei diritti può

stimolare, ma anche di un'erosione del sentimento di eguaglianza, la condizione senza la quale i

diritti si possono tramutare in privilegi antisociali.

 

Nella tradizione liberale che si è affermata dopo la Seconda guerra mondiale, l'eguaglianza non ha

avuto un peso significativo, anzi, per alcuni importanti pensatori come Isaiah Berlin l'eguaglianza è

stata intesa come un valore di disturbo e perfino un pericolo per la libertà – va dato merito a

Norberto Bobbio di essersi sempre distinto da questa lettura «negativista» dei diritti individuali e

aver insistito sulla funzione di libertà giocata dall'eguaglianza. È proprio questo pensiero di Bobbio

che andrebbe oggi ripreso: non per mettere in ombra il liberalismo e i diritti, ma per legarli più

fortemente alla democrazia.

Gli anni Sessanta hanno inaugurato la stagione dei diritti civili consentendo a milioni di donne e di

uomini delle società occidentali di liberare le loro vite individuali dai lacci di una cultura autoritaria

e gerarchica, di storiche e recalcitranti disuguaglianze. A quei diritti non si può rinunciare – non

solo, essi vanno difesi dai permanenti tentativi di ridurli, abbatterli o decurtarli come avviene oggi

con quelli relativi alla vita, dalla procreazione alla morte, dalla maternità alla salute.

Tuttavia, la cultura dei diritti ha prodotto anche il seguente paradosso: ha liberato gli individui dai

lacci sociali autoritari ma non ha dato loro nuovi vincoli, quella sorta di colla etica capace di tenere

insieme una società di individui liberi e autonomi. Per riprendere Alexis de Tocqueville, mentre ha

umanizzato la società e la politica, la cultura dei diritti ha prodotto individui dissociati e isolati, con

il risultato di renderli anche più esposti alle disuguaglianze economiche e al potere delle

maggioranze, politiche e di opinione. Il populismo che stiamo esperimentando in Italia è anche

l'esito del paradosso di una società individualista liberale nella quale la dimensione privata (intesa

per giunta come la sfera dove "tutto è lecito") ha preso il posto più alto nella gerarchia dei valori,

facendosi passaporto per acquistare favore e potere, non importa con quali mezzi. Come riscattare

l'individuo dal degrado di questo individualismo che il declino della politica ha esacerbato?

 

Dei due partner – liberalismo e democrazia – di cui si compone il nostro ordine costituzionale, è

venuto il tempo di volgere l'attenzione al secondo, il più politico dei due. Ma la debolezza della

nostra concezione della democrazia non ci aiuta, poiché di questo sistema noi abbiamo ancora una

visione sostanzialmente negativa – come del migliore tra i peggiori governi, per dirla con Churchill,

o come un sistema elettorale per la selezione della classe politica; questa è stata la visione che ne

ebbero i liberali che combatterono e vinsero contro i totalitarismi del XX secolo.

Ma ora, nelle nostre democrazie consolidate, è proprio questa visione negativa e minimalista della

democrazia che ci può essere di ostacolo, perché abbiamo bisogno di recuperare la forza etica della

dignità della persona e della partecipazione politica che sono alla base della democrazia; infine di

riscattare la politica dall'impero tirannico del privatismo individualistico. E ne abbiamo bisogno per

recuperare i due valori fondanti della democrazia, la cittadinanza e l'eguaglianza. Della prima

abbiamo bisogno perché l'erosione delle istituzioni politiche e del ruolo della partecipazione è

facilmente strumentalizzabile da chi ha più presenza politica e più strumenti per formare il

consenso; della seconda abbiamo bisogno perché è sotto gli occhi di tutti l'attacco sistematico

all'eguaglianza, con l'indebolimento dei diritti sociali, della scuola pubblica, della stessa idea della

ridistribuzione come volano di solidarietà (l'esempio più macroscopico viene dal modo egoistico

con il quale è stato pensato il federalismo nel nostro paese, come una sorta di secessione dalla

responsabilità collettiva di condividere insieme fortuna e sfortuna). Sia la cittadinanza che

eguaglianza meritano la nostra attenzione oggi; non per ridimensionare la cultura dei diritti, ma per

rafforzarla reinterpretandola all'interno di una cornice politica, non soltanto morale e giuridica

(appunto individualista).

La democrazia è una ricca cultura dell'individualità morale e cooperativa, non solo una tecnica di

selezione delle élite o un sistema procedurale per giungere a decisioni pubbliche. L'individuo

democratico è simile ma non identico a quello liberale perché non è un essere puramente razionale

che sceglie fra opzioni diverse, ma una persona emotivamente disposta verso gli altri per le ragioni

più diverse, come la curiosità, la volontà imitativa, il piacere di sperimentare. Queste qualità, che

possono produrre anche spiacevoli effetti (come l'adesione acritica alla cultura di massa o

l'accettazione dell'opinione della maggioranza), hanno però un lato positivo che è importante

sottolineare ed esaltare: rendono l'individuo naturalmente disposto verso gli altri, un cooperatore, e

anche una persona capace di sentire vicinanza simpatetica con i diversi e di identificarsi con chi è

nel bisogno; infine di sentire vicinanza con tutti gli esseri umani (anche con chi non è membro della

comunità nazionale, con importanti implicazioni universaliste e antirazziste), un carattere che è

essenziale per dare senso e valore all'eguaglianza. L'azione politica può spingere l'individuo

democratico nell'una o nell'altra direzione. La destra populista che domina oggi la scena italiana è

stata capace di usare a proprio vantaggio i caratteri dell'individuo democratico, mettendo in luce la

sua parte più volgare, massificante e apatica. Spetta alla cultura democratica non populista ma

popolare, riuscire a rovesciare questa tendenza.

 

Nadia Urbinati     la Repubblica6 agosto 2009

 

 

 

 

 

Meno male che c'è la diaspora

 

È un’estate un po’ brutta. Chi può scappa dalle città. Gli anziani rimangono soli. Qualche cane sarà

abbandonato perché venuto a noia. Qualcuno al mare si chiede come mai il delitto dell’estate abbia

ritardato quest’anno? Peccato ci teneva così tanta compagnia sotto l’ombrellone... L’Italia sembra

cattiva, indifferente, sola. È l’Italia cattiva delle leggi razziali, maschilista, omofobica, che non dà

un futuro alla ricerca e ai giovani. Ma si può cambiare rotta? Possiamo ritornare a essere buoni o

almeno onesti? Ci provano in tanti per fortuna. Molti di questi sono i cosiddetti «nuovi» italiani

(anche se vivono qui da 40 anni), cittadini dalla pelle nera che vogliono vivere in maniera plurale,

amando l’Italia senza rinunciare all’Africa. Il 25 luglio, infatti, si è svolto a Bologna il primo

incontro degli intellettuali della diaspora Africana in Italia. Cécile Kyenge, Chukwu Godwin, Kossi

Komla-Ebri, Bou Konaté, Jorge Canifa, Suzanne Diku e altri ancora hanno discusso di cosa

significa essere neri, africani, intellettuali oggi in Italia. Hanno discusso su come combattere il

razzismo, lo stereotipo, la paura. Hanno ricordato Jerry Maslo ucciso a Villa Literno ormai 20 anni

fa e hanno ricordato Abba ucciso per un pacco di biscotti. Ma anche il giovane Emmanuel pestato

legalmente dai vigili di Parma, i morti di Castel Volturno e l’attore Mohammed Ba accoltellato

senza ragione in pieno giorno. Il nero è visibile. È l’immigrato il capro espiatorio. Si ritorna a un

clima da Mississippi Burning che fa tremare. Chi fomenta questi atti vuole nascondere la sua

incompetenza nel governare e nel risolvere le crisi economiche. Gli intellettuali non ci stanno,

vogliono un’Italia plurale e un’Africa viva. Vogliono conoscere e farsi conoscere. Vogliono portare

in Italia gli ideali di Cabral e di Senghor. Diritti, pace, amore e fratellanza.

Igiaba Scego     l'Unità 5 agosto 2009