QUANDO IL PAPA VUOLE FARE LE LEGGI
 

Nel porre due settimane fa il riemergere della questione cattolica nella democrazia italiana identificando nel-l´azione sempre più politica della Conferenza episcopale e del suo presidente una deriva della Chiesa combattente a detrimento della Chiesa pastorale, avevo concluso con una domanda: il Papa è d´accordo?
La risposta non equivocabile è venuta con la lettera-messaggio di Benedetto XVI ai convegnisti riuniti a Norcia dal presidente del Senato, Marcello Pera: il Papa è d´accordo con Ruini.
Il Papa ha scelto come interlocutore in questo caso l´uomo che riveste la seconda carica dello Stato e che ha già da tempo preso un posto eminente tra i laici-devoti; quelli cioè che, pur non credendo nella verità rivelata cristiana e nei dogmi che la costellano, se ne fanno tuttavia strumento per fornire alla "scatola vuota" della democrazia un fondamento etico discendente direttamente dalla dottrina religiosa, trasformata senza troppo sforzo in "instrumentum regni".
Dico senza troppo sforzo poiché dall´editto di Costantino in poi la Chiesa è sempre stata "instrumentum regni", a volte per estendere la sua presenza nella società e gestirne direttamente le istituzioni; altre volte per ottenere vantaggi dai monarchi. Questi ultimi alla loro volta utilizzarono spregiudicatamente la religione al punto da meritarne la definizione di "oppio dei popoli", polemica e forzata quanto si voglia ma confortata da una pratica che predicava l´obbedienza ai poteri temporali e assoluti emananti dalla volontà divina.
Dall´editto di Costantino alla Rivoluzione francese e alla Costituzione del 1792 sono passati 1500 anni. Il potere civile conferito per diritto divino cadde ma non vennero meno i tentativi di settori cospicui della cattolicità di rimetterlo in sella insieme all´ostilità del-la Chiesa di Roma contro la democrazia, monarchica o repubblicana che fosse, liberale o socialista.
Ora siamo a una di queste svolte, soprattutto nella "diletta Italia" dove la cattedra di Pietro ha da sempre la sua sede e che pertanto detiene il privilegiato destino di rappresentare la "costituency" della Chiesa, la sua arca temporalistica anche dopo la caduta del potere temporale dei papi. La Corte vaticana rimase barricata "in gran dispitto" dietro le mura e i portoni serrati della Città leonina per oltre quarant´anni, dopo la breccia di Porta Pia. Poi i portoni furono riaperti, i ponti levatoi abbassati, il "non expedit" ritirato.
Il Concordato del ´29 riconobbe vantaggi e privilegi alla Chiesa concordataria, e la proclamò religione di Stato. A fronte di quei vantaggi e privilegi il governo fascista ottenne in via esclusiva l´esercizio del potere civile. Non era ancora la rimessa in sella del diritto divino, ma certo rappresentò un bel passo in quella direzione. Ben presto però la Chiesa si trovò troppo stretta e sempre più a disagio di fronte ad un regime che si ispirava ad un´etica militarista, totalitaria, infine razzista.
Perciò la caduta di quel regime e l´avvento della libertà democratica furono salutati dai cattolici italiani e dalla Santa Sede come una vittoria per la quale del resto anch´essi avevano lottato, cospirato, sofferto. E la nuova democrazia repubblicana fu concepita, dai cattolici e dalla gerarchia ecclesiastica, come la base ideale per assicurare al potere spirituale dei successori di Pietro una "temporalità" adeguata all´epoca e comunque in grado di fornire strumenti idonei a far penetrare nella modernità il lievito del messaggio evangelico attraverso la democrazia cattolica e una "laicità buona".
Durò cinquant´anni questa laicità buona. Importava relativamente poco, Oltretevere, che fosse gestita da un partito e dai suoi alleati attraverso pratiche di sistematica e diffusa corruttela. Importava anche poco che esistessero ampie zone colluse con organizzazioni mafiose.
Ma importava molto invece che la legislazione e l´amministrazione pubblica fossero inclini e pronti a soddisfare i desideri e gli interessi della Chiesa, la sua dottrina, il suo monopolio religioso, la sua presenza educativa, il finanziamento del clero e delle associazioni collaterali.
La buona laicità andava sottobraccio alla secolarizzazione del costume? All´indifferentismo religioso? Alla caduta delle vocazioni? All´abbandono dei sacramenti? Alla dilagante devozione verso il dio danaro? I cattolici veramente cattolici ne soffrivano. Alcuni se ne disperavano. Nacquero qua e là alcune significative dissidenze, ma non fecero molta presa. Fecero invece presa altrove, in Germania, in Olanda, in Francia e in quasi tutto il cattolicesimo europeo e nel mondo cattolico extraeuropeo. E fu Giovanni XXIII, il Vaticano II e papa Montini, il tormentato. Il tentativo ambizioso, rischioso, ma di grande e coraggioso respiro, fu di confrontarsi realmente con la modernità. Con l´ecumene che non poteva essere soltanto quello delle altre religioni monoteiste e delle altre confessioni cristiane, ma con quella laicità autonoma che fin lì era stata considerata la cattiva coscienza dei laici laicisti.
La risposta fu la scelta del Papa po-lacco, figura di grandissimo carisma, che stese per ventott´anni il suo manto sui mali della Chiesa, predicò il Vangelo in tutto il mondo, costruì col proprio corpo sofferente un monumento mediatico mai visto prima. Ma lasciò inevasi tutti i problemi che aveva ereditato e tolse energia e spinta propulsiva alle novità del Vaticano II.
Ora è arrivato sulla cattedra petrina l´ex capo del Sant´Uffizio. Non era ancora accaduto che un Papa venisse da quel tipo di esperienza curiale.
Molti, cattolici e non cattolici, hanno sperato che proprio quel tipo di esperienza regalasse alla Chiesa un Vicario capace di attingere dalla Chiesa apostolica le capacità di confrontarsi con la modernità. Apostolica, non romana.
Sarebbe stato un miracolo. Infatti non è avvenuto. Siamo di nuovo alla "buona laicità" con in più qualche cosa di cui non si parlava da parecchio tempo: il potere di Dio, cioè della Chiesa depositaria esclusiva delle verità da lui rivelate, a indicare i diritti che debbono essere sanciti dalle leggi della Città terrena. E poiché nella Città terrena risiedono anche cittadini di altra fede o di nessuna fede, prendano tutti atto dell´esistenza di diritti naturali che ciascun abitante del pianeta porta dentro di sé fin dalla nascita, anzi dal concepimento.
I diritti naturali e innati debbono quindi ispirare la legislazione e fornire allo Stato l´etica di cui ha bisogno. Per un cattolico essi si riconducono al Creatore, ma valgono comunque per tutti in quanto appunto innati.
Questo è stato il messaggio di Benedetto XVI ai convegnisti di Norcia. Il presidente del Senato ne ha preso atto con gioia ed ha, a immediato giro di posta, risposto al Pontefice mettendosi a disposizione.
A quando la nostra Costituzione, le sentenze dei tribunali, i diplomi e i decreti del governo e del Parlamento, porteranno l´iscrizione della dicitura "per grazia di Dio"? Questo non guarirà l´indifferenza, l´adorazione del danaro, il dilagare della violenza e dell´egoismo; ben altro ci vorrebbe. Ma rassicurerà il gregge. Darà senso. Aumenterà il temporalismo religioso. E metterà in soffitta il Vaticano II.
La Chiesa post-Wojtyla chiedeva collegialità. Ma il Sinodo concluso appena ieri ha stabilito che i Sinodi non hanno alcun potere all´interno della gerarchia. Possono soltanto porre domande. La risposta spetta soltanto al Papa il quale sembra aver messo la rotta a ritroso, non sul Vaticano II ma sul Vaticano I, non su papa Giovanni ma su Pio IX e su Pacelli.
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Due parole sui diritti innati e sul diritto naturale. Se ne è scritta nei secoli un´immensa biblioteca e non sarò certo io a risollevare questa questione in un articolo di giornale. Ma soltanto qualche breve riflessione.
Il solo, l´unico diritto innato deriva dall´ente, che esiste e vuole esistere. Nel caso della nostra specie quell´ente si chiama persona, quali che siano i tanti significati che si danno a questa parola. In latino persona significa maschera. Per noi significa individuo, infinitesima parte di una specie, an-ch´essa individuata tra la moltitudine delle specie.
Il diritto dell´individuo persona ad esistere è innato, proviene dalla natura che lo fornisce anche alle altre specie e agli individui che le compongono, ciascuno dei quali, dall´albero al falcone alla persona dotata di mente, vuole, disperatamente vuole, esistere e adopera tutti gli strumenti che la natura gli ha forniti per esistere.
Per soddisfare questo diritto "biologico", l´individuo entra necessariamente in conflitto con tutto ciò che lo circonda, con l´obiettivo, per lui primario, di guadagnare e preservare lo spazio di cui ha bisogno. Le radici di due alberi nati troppo vicini tra loro si disputeranno il terreno da cui traggono alimento e la luce che gli serve per la fotosintesi senza la quale appassirebbero. E se lo spazio è troppo ristretto uno dei due finirà con morire diventando uno stecco senza più fronde né linfe.
A maggior ragione ciò si vede nel regno animale e in quello degli uomini. Ho sentito l´altra sera il nostro telepredicatore nazionale esaltare l´innocenza dei bambini, il loro candore, la loro innata bontà. L´età dell´oro insomma. Ma è falso. E´ un falso luogo comune. Il bambino è certamente innocente, ha mangiato soltanto i frutti dell´albero della vita e non ancora quelli della conoscenza. Né sa che cosa sia il peccato. Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d´ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sé l´attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di tutto ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri.
Questo è l´istinto primordiale, innato, esclusivo. E spetta a chi li educa insegnare a contenere l´istinto primordiale, a rispettare gli altri, la roba degli altri e addirittura a condividere la propria con gli altri.
Questa disponibilità non è affatto innata ma indotta. Dalla cultura, dal-l´insegnamento degli adulti. E infine, poiché quell´istinto primordiale ci accompagna fino alla morte, educare e al bisogno limitarlo, spetta alle leggi sulle quali si fonda la Città terrena. I cui fondatori e reggitori si imposero sugli altri con la violenza della scaltrezza o con quella della forza per acquistare il potere ed esercitarlo. Nessuno è stato ed è esente da questo peccato originario, fondato sull´unico diritto innato: la sopravvivenza dell´ente e il dispiegarsi della sua potenza.
Il Papa, quando rispolvera il diritto naturale e lo riconduce al Creatore e chiede che le leggi e la gestione della comunità civile siano improntate alle sue indicazioni, non fa che esprimere la volontà di espansione e potenza dell´ente da lui rappresentato. Esprime attraverso comandamenti religiosi la volontà di potenza della sua religione.
Non so perché questo obiettivo sia chiamato "buona laicità". Il termine è relativamente nuovo. Forse si tratta d´un contentino lessicale alla modernità. Ma se un confronto ci deve essere tra la Chiesa e il mondo moderno, il discorso e l´analisi debbono andare molto al di là delle trovate lessicali. La "buona laicità" odora da lontano di teocrazia. Non vorrei che il confronto con l´Islam ci portasse ad imitarlo nel peggio anziché suggerire agli islamici di scoprire il meglio delle loro e delle nostre Scritture.

 

 Eugenio Scalfari       la Repubblica - 23 ottobre 2005