Quando il giudice
si trasforma in un inquisitore
La controversia che da secoli si è scatenata sulla natura e sui caratteri
dell'Inquisizione deriva
dall'intrecciarsi di due fili nella trama storica concreta dell'opera dei
tribunali. Poniamoci agli inizi
del processo romano canonico. Qui si incontrarono da un lato il riemergere di un
patrimonio
giuridico antico - quello del diritto romano - e dall'altro la costruzione di
forme di governo giuridico
della società da parte di un potere che si era definito come universale e
superiore a ogni altro: quello
papale. Sulla base del diritto romano giuristi e podestà elaborarono un tipo di
processo non più
basato sul modello accusatorio - quello in cui il giudice si limitava a regolare
come terzo figurante
un dibattimento tra le due figure dell'accusato e dell'accusatore - ma sul
modello inquisitorio: qui il
giudice promuove l'azione penale, indaga e persegue la notizia di crimini
comunque acquisita al
solo scopo di tutelare il corpo sociale, la «res publica». È questo il
modello di processo inquisitorio
che vediamo in atto nel secolo XIII nelle cause trattate e nei principi
elaborati da Alberto Gandino o
da Gandino, analizzate e studiate da Hermann Kantorowicz in un'opera molto
importante. Ma già
all'inizio del secolo XIII era stata l'autorità papale a fissare quelle regole e
a proibire il ricorso al
rituale magico dell'ordalia in alcuni fondamentali decreti del Concilio
Lateranense IV.
I due fili si incontrano proprio qui, all'altezza del Concilio
Lateranense IV. Papa Innocenzo III vi
affermò da un lato la rigida definizione della ortodossia dottrinale e
dell'obbligo di combattere le
eresie, dall'altro l'esigenza di tutelare l'onore del corpo ecclesiastico con
uno speciale rito
processuale. Quell'onore era stato tutelato già prima di allora con le inchieste
svolte dai vescovi
nella visita delle diocesi. La minaccia del discredito sociale del corpo
ecclesiastico per l'immoralità
dei costumi sessuali e per il mercimonio delle cose sacre (simonia) minava alle
basi la struttura
della società dominata dal clero. Perciò i vescovi avviarono forme di
inchiesta e di amministrazione
della giustizia in cui gli storici hanno riconosciuto la prima forma del
processo inquisitorio: al posto
del rito formale del dibattimento tra accusatore e accusato, un processo
dominato da un'autorità
inquirente che non aspettava l'accusa per raccogliere segretamente notizie di
reato e perseguirle in
modo rapido e silenzioso. Questo modello trovò applicazione in seguito anche
nella vita delle città e
degli stati italiani per diffondersi da lì in tutta Europa: si impose
allora sul piano della vita civile
un'idea del dovere del giudice che gli imponeva di perseguire i reati d'ufficio,
per il bene dello stato
(ne res publica detrimentum capiat, come recitava l'istruzione di Alberto
da Gandino). Ma intanto
nella vita della Chiesa quel modello di processo aveva trovato accoglienza come
lo strumento più
adatto per combattere un reato considerato gravissimo, il più grave di tutti:
l'eresia. La parola, che
alle origini aveva significato solo la scelta fra opzioni diverse, assunse il
valore di reato di ribellione
all'autorità, di delitto di «lesa maestà» secondo le categorie suggerite dalla
tradizione del diritto
romano. Ancora una volta si trattava di difendere la costituzione
materiale e giuridica del corpo
ecclesiastico dominato dal potere assoluto e universale del papato. Da ciò
l'ossessione dell'eresia
come resistenza al potere, «pertinace» rifiuto di obbedire. Per tutelare il
potere e l'onore del corpo
ecclesiastico si ricorse dunque all'Inquisizione: la parola indicò non
più il metodo della ricerca della
verità da parte del giudice (inquisitio de veritate) ma l'istituzione che
venne emergendo soprattutto a
partire dalla diffusione nel secolo XIII di movimenti di critica e di
contestazione delle dottrine
ufficiali e della immoralità o altri abusi del clero: culminò poi con la lotta
religiosa tra la Chiesa di
Roma e le altre chiese e sette cristiane sorte nel secolo XVI. L'Italia
intera, divisa in tanti stati e
staterelli diversi, fu sottoposta al governo del tribunale del Sant'Uffizio
dell'Inquisizione, con le sue
diramazioni locali affidate a commissari oppure delegate ai vescovi. Questo fu
il potere centrale che
per primo unificò il paese, con largo anticipo rispetto all'unificazione sabauda
del secolo XIX.
Adriano Prosperi il manifesto 26 maggio 2009