Quando gli italiani
si scoprirono ariani
Gli italiani che il fascismo nel 1938 definì «di razza ariana»
contestarono le idee razziste e la
persecuzione dei concittadini «di razza ebraica»? Questa domanda viene posta di
frequente, specie
da studenti, desiderosi di comprendere di quali comportamenti si trovino a
essere di fatto eredi.
Quando viene posta a me, rispondo che vi furono contestazioni, ma pochissime, e
sottolineo che
mancano ricerche scientifiche sul tema.
Una delle testimonianze più note è quella di Ernesta Bittanti, la vedova di
Cesare Battisti, che nel
diario di quei mesi annotò: «La stampa che è tutta statale, e vuole avere uno
spirito antiebraico, dà
uno spettacolo pietoso ributtante di incongruenze, contraddizioni, spropositi
storici, nefandezze da
sciacalli». Poi sul Corriere della Sera del 18 febbraio 1939 pubblicò un caldo
necrologio dell'amico
ebreo Augusto Morpurgo, tuttavia non meglio precisate «autorità» fecero
cancellare le parole
attestanti l'italianità dei Morpurgo.
Di recente Ruth Nattermann ha riportato che l'alto dirigente del ministero degli
Esteri Luca
Pietromarchi annotò sul suo diario: «Le idee fasciste sul razzismo ... un
ammasso di sciocchezze »
(14 luglio 1938). E poi: «Infierisce la campagna contro gli Ebrei ridotti a
essere il vilipendio della
nazione. Misure violatrici non solo dello statuto e delle leggi ma degli
elementari diritti dell'uomo»
(3 settembre).
Benedetto Croce manifestò la sua netta ripulsa in una lettera del 21 settembre
all'Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti, impegnato a censire razza e religione di soci e
famigliari: «Ricevo oggi qui
il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non
l'avrei riempito,
preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo
che ha circa
sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato all'attività politica del
suo Paese, dove e quando
esso sia nato e altre simili cose? L'unico effetto della richiesta dichiarazione
sarebbe di farmi
arrossire, costringendo me che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo
insieme di
protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata ».
Del tutto pubblica fu la contestazione del periodico L'igiene e la vita, diretto
da Giulio Casalini («un
vecchio medico socialista, deamicisiano ed umanitario », lo definisce Roberto
Gremmo). Nel
fascicolo di agosto 1938 il giornale riaffermò l'origine ebraica di Cristo e dei
suoi primi discepoli; in
quelli successivi si impegnò nella critica scientifica del Manifesto fascista
della razza. E proprio
«atteggiamento antirazzista» fu la motivazione con la quale le autorità ne
disposero ripetuti
sequestri sino alla soppressione nel 1939. Fuori d'Italia la condanna poté
essere espressa
liberamente. Ne Il razzismo in Italia, edito nel 1939 in Francia, l'esule
comunista Giuseppe Gaddi
scrisse: «Il giovane operaio o il giovane impiegato di Milano non può risolversi
a considerare come
un essere inferiore la piccola dattilografa milanese che dopo una visita alla
sinagoga va a ballare
con lui, come lo studente non può risolversi a considerare come una nullità il
grande professore che
lo ha educato e salutare invece come un grande scienziato il fascista che occupa
la sua cattedra per
il solo merito del "puro sangue ariano"».
In questo elenco non possono trovare spazio i membri del Gran Consiglio del
Fascismo che, nella
seduta del 6 ottobre che approvò la Dichiarazione sulla razza, chiesero di
ampliare le categorie di
«benemeriti» (combattenti, ecc.) da esentare parzialmente dalla normativa
antiebraica. Essi infatti
non contestarono la persecuzione nel suo complesso (salvo affermarlo nelle
memorie scritte dopo la
sconfitta del fascismo). Vanno invece aggiunti gli espulsi dal partito fascista
per atteggiamenti
definiti «pietisti»: Ilaria Pavan ha rintracciato la menzione di quattro casi,
non sempre lineari; altri
potrebbero esservene stati.
Sono note alcune altre contestazioni. Ma Annalisa Capristo ricorda che, per gli
accademici, la
lettera di Croce fronteggia solitaria una moltitudine di dichiarazioni di
arianità noncuranti del suo
«proprio quando». Ecco, la cifra media del comportamento degli italiani «bianchi
ariani cattolici»
sembra sia stata di noncuranza, adesione passiva o adesione attiva. Quelli
perbene furono una
ridotta minoranza. E forse non è un caso se proprio su questo tema la
storiografia è rimasta così
indietro. Forte è la sensazione che il silenzio sugli italiani perbene sia
il prezzo che il nostro Paese
ha pagato per non mettere troppo in rilievo troppi italiani mala gente.
Michele Sarfatti Corriere della
Sera 26 settembre 2008