Quando eravamo
clandestini
Quando manca un mese alla fine dei diritti Rai su Il cammino della
speranza, esce un libro con lo stesso titolo sulla nostra emigrazione
È un film drammaticamente attuale ed efficace, anche se un po' “melò”, Il
cammino della speranza (1950) di Pietro Germi. Una storia degli anni del
dopoguerra quando noi italiani eravamo ancora fra i protagonisti assoluti
dell’emigrazione in Europa, nelle Americhe, in Australia. Emigrazione con tanti
clandestini. Insomma, i migranti di Rosarno o di Castel Volturno eravamo noi.
Come racconta questa pellicola della quale la Rai possiede i diritti ancora per
un mese o poco più. Secondo noi, dovrebbe trasmetterla al più presto. Se pur
dovesse attrarre un pubblico limitato (ma non è detto, se sarà pubblicizzata a
dovere), parecchie centinaia di migliaia di italiani si renderebbero conto
di una realtà spesso dimenticata o rimossa. Comunque sconosciuta, ne
siamo certi, a giovani e giovanissimi.
Il film
racconta la disperata povertà di un gruppo di ex zolfatari di Favara
(Caltanissetta), la loro dolorosa decisione di emigrare, il viaggio da
clandestini verso la Francia, che rischia la tragedia al confine italo-francese,
sulle Alpi. La proiezione della pellicola di Germi andrebbe accoppiata ai dati e
ai temi proposti da un libro molto recente, documentatissimo nelle sue 435
pagine, appena uscito da Einaudi. Reca lo stesso titolo del film in questione,
Il cammino della speranza di Sandro Rinauro dedicato all’emigrazione
clandestina italiana. Esso riporta talune tabelle che parlano da sole.
Dal 1946 al 1961 (quando l’Italia vive il suo primo “boom” economico) gli
Italiani espatriati legalmente nei vari continenti sono quasi 4 milioni e mezzo:
2.735.170 nell'area europea, fra Comunità Europea, Inghilterra, Svizzera (meta
importantissima, allora). Ma 1.423.770 varcano ancora l’Oceano, dei quali ben
890.000 diretti in America del Sud. Da dove partono questi emigranti “legali”?
Si sa che i leghisti più integralisti negano che i veneti emigrassero: invece
sono proprio loro a lasciare l’Italia più di tutti, in oltre 611.000 (più
276.000 friulani e veneto-giuliani e 62.000 fra trentini e alto-atesini),
seguiti dai campani (496.000), dai siciliani e dai calabresi (entrambi sui
420.000 espatriati), dai pugliesi, e così via. Ma vi sono ancora, in questa
massa di emigranti, ben 292.000 lombardi e 222.000 emiliano-romagnoli.
Gli
espatri continuano e questo è meno noto anche dopo il 1961. Da qui al 1976
partono quasi 3.000.000 di italiani. Per l’80 per cento in Europa. La metà
circa diretta in Svizzera. Mentre in 400.000 prendono la via degli Usa. Ora
però gli emigranti risultano soprattutto meridionali, all'80 e più per cento.
In prevalenza pugliesi e campani (rispettivamente 471.000 e 441.000), seguiti da
siciliani e calabresi appena più sotto. Tuttavia ci sono ancora, fra i nostri
migranti, 245.000 veneti, 184.000 lombardi e 111.000 fra friulani e
veneto-Giuliani. Tuttavia, in questo secondo e ultimo periodo del grande esodo
italiano all’estero, gli espatri risultano quasi integralmente bilanciati dai
rimpatri.
Andiamo ora al nodo vero: quanta è stata e dove si è diretta l’emigrazione
clandestina italiana? Il libro di Rinauro, approfondito e ricco di dati,
si sofferma soprattutto sugli espatri illegali, di stagionali
inizialmente, verso la vicina Francia (dove i “macaronì” erano comunque meglio
accolti, nonostante tutto, degli algerini). Da noi la destra ha enfatizzato gli
arrivi via mare di clandestini che poi sono risultati inferiori alle 30.000
unità l’anno. Ma quella grancassa propagandistica doveva servire a creare
insicurezza, paura, rifiuto dell'immigrazione, soprattutto di quella di origine
africana. Ebbene, dal libro di Sandro Rinauro si rileva che i lavoratori
italiani regolarizzati dopo la loro entrata nel solo territorio francese sono
stati tanti. «A parere del Quai d’Orsay, dal 1946 al 1950», fa notare l'autore,
«erano entrati in Francia (e siamo già in pieno secondo dopoguerra, non fra
Ottocento e Novecento ndr) 143.416 lavoratori italiani e di questi nientemeno
che il 40-50 per cento, ovvero da 58.000 a 72.000 individui, erano entrati
clandestinamente ed erano stati regolarizzati successivamente». Per non parlare
dei familiari, sia italiani che spagnoli o portoghesi. E anche fra il 1960 e il
1970 poco meno di 100.000 lavoratori italiani vengono regolarizzati dopo il loro
ingresso in Francia. Clandestini pure loro, dunque. Ma chi se ne ricorda in
questa Italia che purtroppo sembra tendere sempre più alla chiusura e al
razzismo? Ricordiamoglielo con libri, film, dibattiti. Rai, se ci sei, batti
un colpo.
Vittorio Emiliani l’Unità 11.3.10