Quando erano italiani gli immigrati da linciare
Un libro sull'eccidio
compiuto nel 1893 contro i nostri connazionali che cercavano lavoro nelle saline
francesi della Camargue
La strage di
Aigues-Mortes e il pregiudizio xenofobo
Precursori. Un
sindaco «sceriffo» legittimò la ferocia dei suoi concittadini con parole
aberranti Dalla rivista «L'Illustrazione Italiana»: qui accanto, la prima
aggressione nelle saline; a sinistra, operai italiani feriti
«Acque-Morte ci addita l'orrenda / Ecatombe di vittime inulte!/ No, jamais, sì
ferale tregenda / In Italia obliata sarà» tuona indignata la poesia Il grido
d'Italia per le stragi di Aigues-Mortes, scritta di getto da Alessandro Pagliari,
nel 1893, a ridosso del massacro. Invece è successo. L'Italia ha dimenticato
quella feroce caccia all'italiano nelle saline della Camargue, alle foci del
Rodano, che vide la morte di un numero ancora imprecisato di emigrati
piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Basti dire che, stando all'archivio del
Corriere della Sera, le (rapide) citazioni della carneficina dal 1988 a oggi sui
nostri principali quotidiani e settimanali sono state otto. Per non dire degli
articoli dedicati espressamente al tema: due. Due articoli in venti anni. Contro
i 57 riferimenti ad Adua, i 139 a El Alamein, i 172 a Cefalonia… Eppure, Dio sa
quanto ci sarebbe bisogno, in Italia, di recuperare la memoria.
Che cosa fu, Maurice Terras, il primo cittadino del paese, se non un
«sindaco-sceriffo» che cercò non di calmare gli animi ma di cavalcare le
proteste xenofobe dei manovali francesi contro gli «intrusi» italiani?
Rileggiamo il suo primo comunicato, affisso sui muri dopo avere ottenuto che i
padroni delle saline, sotto il crescente rumoreggiare della folla, licenziassero
gli immigrati: «Il sindaco della città di Aigues-Mortes ha l'onore di portare a
conoscenza dei suoi amministrati che la Compagnia ha privato di lavoro le
persone di nazionalità italiana e che da domani i vari cantieri saranno aperti
agli operai che si presenteranno. Il sindaco invita la popolazione alla calma e
al mantenimento dell'ordine. Ogni disordine deve infatti cessare, dopo la
decisione della Compagnia».
Per non dire del secondo manifesto che, affisso dopo la strage, toglie il fiato:
«Gli operai francesi hanno avuto piena soddisfazione. Il sindaco della città di
Aigues-Mortes invita tutta la popolazione a ritrovare la calma e a riprendere il
lavoro, tralasciati per un momento. (...) Raccogliamoci per curare le nostre
ferite e, recandoci tranquillamente al lavoro, dimostriamo come il nostro scopo
sia stato raggiunto e le nostre rivendicazioni accolte. Viva la Francia! Viva
Aigues-Mortes!».
È vero, grazie al cielo da noi non sono mai divampati pogrom razzisti contro gli
immigrati neppure lontanamente paragonabili a quelli scatenati contro i nostri
nonni. Non solo ad Aigues-Mortes ma a Palestro, un paese fondato tra Algeri e
Costantina da una cinquantina di famiglie trentine e spazzato via nel 1871 da
una sanguinosa rivolta dei Cabili. A Kalgoorlie, nel deserto a 600 chilometri da
Perth, dove gli australiani decisero di «festeggiare » l'Australian Day del 1934
scatenando tre giorni di incendi, devastazioni, assalti contro i nostri
emigrati. (...) Ma soprattutto negli Stati Uniti dove, dal massacro di New
Orleans a quello di Tallulah, siamo stati i più linciati dopo i negri. Al punto
che un giornale democratico, ironizzando amaro sui ridicoli risarcimenti
concessi ai parenti dei morti, arrivò a pubblicare una vignetta in cui il
segretario di Stato americano porgeva una borsa all'ambasciatore d'Italia e
commentava: «Costano tanto poco questi italiani che vale la pena di linciarli
tutti».
È vero, da noi non sono mai state registrate esplosioni di violenza xenofoba
così. È fuori discussione, però, che i germi dell'aggressività verbale che
infettarono le teste e i cuori di quei francesi impazziti di odio nelle ore
dell'eccidio somigliano maledettamente ai germi di aggressività verbale emersi
in questi anni nel nostro Paese. Anzi, sembrano perfino più sobri.
Maurice Barrès scriveva nell'articolo Contre les étrangers su Le Figaro, che «il
decremento della natalità e il processo di esaurimento della nostra energia
(...) hanno portato all'invasione del nostro territorio da parte di elementi
stranieri che s'adoprano per sottometterci ». Umberto Bossi è andato più in là,
barrendo al congresso della Lega di qualche anno fa: «Nei prossimi dieci anni
vogliono portare in Padania tredici o quindici milioni di immigrati, per tenere
nella colonia romano-congolese questa maledetta razza padana, razza pura, razza
eletta».
Le Mémorial d'Aix scriveva che gli italiani «presto ci tratteranno come un Paese
conquistato » e «fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i
nostri soldi». Il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini ha tuonato che «gli
immigrati annacquano la nostra civiltà e rovinano la razza Piave» e occorre
«liberare l'Italia da queste orde selvagge che entrano da tutte le parti senza
freni» per «rifare l'Italia, l'Italia sana, in modo che non ci sia più
inquinamento». (...) Per non dire del problema della criminalità. Quella dei
nostri emigranti accecava i francesi che sul Memorial d'Aix denunciavano come
«la presenza degli stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente,
spesso questi operai sono delle spie; generalmente sono di dubbia moralità, il
tasso di criminalità è elevato: del 20%, mentre nei nostri non è che del 5».
Quella degli immigrati in Italia, per quanto sia reale, fonte di legittime
preoccupazioni e giusta motivazione al varo di leggi più severe, acceca certi
italiani. Fino a spingere il futuro capogruppo al Senato del Popolo della
Libertà, Maurizio Gasparri, a sbraitare dopo il massacro di Erba parole
allucinate: «Chi ha votato l'indulto ha contribuito a questo eccidio.
Complimenti. Ha fruito di quel provvedimento anche il tunisino che ha massacrato
il figlio di due anni, la moglie, la suocera e la vicina a Erba». L'europarlamentare
Mario Borghezio riuscì a essere perfino più volgare: «La spaventosa mattanza cui
ha dato luogo a Erba un delinquente spacciatore marocchino ci prospetta quello
che sarà, molte altre volte, uno scenario a cui dobbiamo abituarci. Al di là
dell'“effetto indulto”, che qui come in altri casi dà la libertà a chi certo non
la merita, vi è e resta in tutta la sua spaventosa pericolosità una situazione
determinata da modi di agire e di reagire spazialmente lontani dalla nostra
cultura e dalla nostra civiltà». Chi fossero gli assassini si è poi scoperto:
Rosa Bazzi e Olindo Romano, i vicini di casa xenofobi e razzisti. Del tutto
inseriti, apparentemente, nella «nostra cultura e nella nostra civiltà».
Insistiamo: nessun paragone. Ma gelano il sangue certe parole usate in questi
anni. Come un volantino nella bacheca di un'azienda di Pieve di Soligo: «Si
comunica l'apertura della caccia per la seguente selvaggina migratoria: rumeni,
albanesi, kosovari, zingari, talebani, afghani ed extracomunitari in genere. È
consentito l'uso di fucili, carabine e pistole di grosso calibro. Si consiglia
l'abbattimento di capi giovani per estinguere più rapidamente le razze». (...)
Per irridere amaramente a certi toni tesi a cavalcare l'odio e la paura,
l'attore Antonio Albanese ha creato insieme con Michele Serra un personaggio
ironicamente spaventoso: «Io sono il ministro della paura e come ben sapete
senza la paura non si vive. (…) Una società senza paura è come una casa senza
fondamenta. Per questo io starò sempre qua, nel mio ufficio bianco, alla mia
scrivania bianca, di fronte al mio poster bianco. Con tre pulsanti, i miei
attrezzi da lavoro: pulsante giallo, pulsante arancione, pulsante rosso.
Rispettivamente poca paura, abbastanza paura, paurissima». C'è da ridere, e si
ride. Ma anche da spaventarsi. E ci si spaventa.
Ecco, in un contesto come questo, in cui perfino un presidente del Consiglio
come Silvio Berlusconi arriva a sbuffare a Porta a Porta sulla xenofobia
imputata alla sua coalizione dicendo di non capire «perché questa parola
dovrebbe avere un significato così negativo », il libro di Enzo Barnabà sul
massacro dei nostri emigranti ad Aigues-Mortes è una boccata di ossigeno. Perché
solo ricordando che siamo stati un popolo di emigranti vittime di odio razzista,
come ha fatto il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo denunciando «segni di paura
e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e la xenofobia, spesso
cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un'informazione che deforma la
realtà», si può evitare che oggi, domani o dopodomani si ripetano altre cacce
all'uomo. Mai più Aigues- Mortes. Mai più.
Gian Antonio Stella Corriere della Sera 10.10.08