Processo  "decostituente"

 

 

La legge di revisione costituzionale del governo Berlusconi riflette la concezione e pratica della democrazia propria di questa destra, che pretende imporla come nuova carta d'identità della Repubblica; esprime e formalizza una concezione anti-parlamentare e extra-costituzionale, purtroppo penetrata nel ceto politico, anche di sinistra, e nel senso comune; non è solo devolution federalista, ma devasta l'assetto istituzionale del sistema politico; decostituzionalizza la democrazia, costituzionalizza il  berlusconismo, cioè le tre dimensioni della crisi che questo rappresenta:

1.      la dimensione politica della democrazia rappresentativa,

2.      quella istituzionale della separazione dei poteri,

3.   quella garantista dello stato costituzionale di diritto.     

1. La rappresentanza politica è stata personalizzata e verticalizzata.        
Questo fenomeno avviene anche in altre democrazie (rafforzamento degli esecutivi a scapito dei parlamenti; presidenzialismo), ma in Italia eredita i connotati populisti e organicistici della tradizione fascista: la democrazia consisterebbe tutta nella scelta di una maggioranza e di un capo, identificati con la volontà massima della nazione. Ma un organo monocratico non può rappresentare la volontà del popolo intero. Una siffatta volontà collettiva non esiste; la si presenta per mascherare il contrasto di interessi, il conflitto di classe, le differenze di idee, rappresentati nei diversi partiti. 
2. È stata attuata una progressiva confusione e concentrazione dei poteri. Il potere politico, mediatico, economico nelle mani di una sola persona, indica una concezione "proprietaria" delle istituzioni. La separazione tra sfera pubblica (poteri politici) e sfera privata (poteri economici) fa parte del costituzionalismo (che è limitazione e controllo del potere) ancor prima che della democrazia.

3. È stata squalificata la sfera pubblica e della legalità, si è fatto il "governo degli uomini" invece del "governo delle leggi": soprattutto la guerra in violazione della Carta dell'Onu e dell'art. 11 della Costituzione e le leggi personali in favore del presidente del consiglio.
4. Un quarto fattore di crisi, di tipo politico e culturale, ha reso possibile la manomissione della Costituzione: attacco all'antifascismo, revisionismo storico, riabilitazione della Rsi, demonizzazione della tradizione di sinistra, squalificazione dello stato sociale, riabilitazione della guerra, fondamentalismo liberista, campagne ideologiche in favore dei  "valori" della forza, del successo, dei campanilismi, del mercato, dello sciovinismo.
La riforma del governo Berlusconi decostituzionalizza il nostro sistema politico, ovvero costituzionalizza tutti gli aspetti della crisi appena  descritti; demolisce non solo la Costituzione del 1948, ma il paradigma stesso della democrazia costituzionale.
Si tratta, per le dimensioni della riforma, di una "nuova costituzione" voluta dalle forze di destra, nessuna delle quali ha partecipato alla nascita della Costituzione antifascista del '48, nessuna delle quali si è in essa riconosciuta.  
È una riforma illegittima, nelle forme e nel metodo, perché sconvolge 'intero assetto della Repubblica (seconda parte della Costituzione): cambia la forma di Stato, da nazionale a federale, e la forma di governo, da parlamentare a para-presidenziale o peggio a monocratica.
È illegittima perché la Costituzione consente modifiche, con la procedura del'art. 138, ma non la formazione di una nuova costituzione: il potere di revisione è un potere costituito (può fare solo emendamenti), e non cstituente (che sarebbe eversivo, perché "la sovranità appartiene al popolo", art. 1, che non può esserne espropriato). Altre costituzioni democratiche  prevedono per la revisione procedure più complesse e soglie più alte del nostro art. 138. La revisione è stata compiuta in Parlamento a maggioranza semplice, ciò che consente al popolo sovrano, nel referendum indetto per il 15 giugno, di respingerla.        
Non vale paragonare questa revisione a quella compiuta dal governo dell'Ulivo alla fine della precedente legislatura: fu un grave errore, perché il titolo V fu modificato coi voti della sola maggioranza, ma la differenza sta nel fatto che era una modifica settoriale, non vasta (oltre
50 articoli) come questa; e che riproduceva una modifica approvata qualche anno prima da entrambi gli schieramenti nella Commissione bicamerale. La recente vasta revisione è illegittima anche e soprattutto perché deroga di fatto ai "principi supremi" della Costituzione, ciò che è impedito dalla sentenza della Corte Costituzionale 1146/1998 (testo in nota a p. 100). La revisione attuale, infatti, verticalizza e personalizza l'assetto costituzionale, perché dà carattere monocratico al potere politico nelle mani del primo ministro; così essa riduce gravemente limiti, controlli e contrappesi, cioè quel sistema complesso di regole dirette a limitare, separare, bilanciare i poteri pubblici, voluto dalla Costituzione per garantire i diritti fondamentali dei cittadini e lo Stato di diritto, contro il pericolo che i poteri degenerino in poteri assoluti e illimitati. La revisione, infatti, indebolisce sia la rappresentatività delle funzioni di governo sia l'indipendenza delle istituzioni di garanzia  (Presidente della Repubblica; Corte Costituzionale).La revisione contraddice non solo la Costituzione, ma lo stesso spirito del costituzionalismo democratico del secondo Novecento, la cui novità, dopo le tragedie dei fascismi e delle guerre mondiali, è consistita nei limiti e vincoli imposti dalle costituzioni rigide ai poteri di maggioranza, a tutela dei diritti fondamentali di tutti.
Così, la revisione berlusconiana è stata in realtà, nonostante le dichiarazioni retoriche, illiberale, riduttiva delle libertà: la concezione ad essa sottostante è la libertà dei forti, non di tutti, non dei deboli; la libertà economica, non la libertà di partecipazione politica alle decisioni per promuovere la vita e i diritti di tutti.      
La cosiddetta devolution, la competenza legislativa esclusiva alle regioni in ogni materia non espressamente riservata allo Stato, introduce differenze sostanziali tra i cittadini, che avranno diritti diseguali nell'accesso alla scuola e alla salute; questa è una grave divisione dell'unità del paese, divisione non solo economica, ma nel diritto di cittadinanza.           
La funzione legislativa, nel complicatissimo sistema disegnato delle competenze diverse tra Camera dei deputati e Senato federale, diventa incredibilmente difficile, subisce un vero tracollo (Ferrajoli lo descrive in dettaglio alle pp. 102-103) e incontra una serie di conflitti inter-istituzionali che la paralizzerebbero. È difficile capire se si tratta di una prova di dissennatezza istituzionale oppure di un consapevole sabotaggio della funzione legislativa, destinato a lasciare spazio illimitato alla decretazione d'urgenza del governo.
La revisione demolisce il principio della rappresentanza politica, che è uno dei "principi supremi" sottratti al potere di revisione; ciò avviene in due modi:

a) il nuovo testo elimina di fatto il ruolo di controllo del Parlamento sul governo e la responsabilità del governo di fronte ad esso;          
b) il nuovo testo modifica lo statuto del parlamentare, trasformandolo in un mandatario passivo della coalizione cui appartiene e, di fatto, un dipendente del suo capo.
Infatti, la revisione elimina il voto di fiducia della Camere, perché la legittimazione del Primo ministro deriva direttamente dal voto popolare.

Il Primo ministro potrà sciogliere le Camere con sua "esclusiva responsabilità" (funzione sottratta al Presidente della Repubblica), se la sua maggioranza gli negherà la fiducia senza indicare un altro Primo ministro al proprio interno, senza il voto determinante dell'opposizione. In quel caso, si va a nuove elezioni.  
Non sarà possibile cambiare in Parlamento la maggioranza di governo (norma detta "anti-ribaltone"). Il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo si capovolge: non sarà più il Governo che deve avere la fiducia del Parlamento, ma sarà il Parlamento che deve avere la fiducia del Primo ministro.      
Ferrajoli ritiene che queste norme "anti-ribaltone" siano il vero cuore della svolta che si vuole imprimere. Saranno impossibili le crisi di governo parlamentari. Maggioranza e minoranza saranno blindate. Soli i parlamentari della maggioranza - e non singolarmente, ma in blocco - avranno un potere di iniziativa politica e di responsabilizzazione dell'esecutivo, mentre i parlamentari della minoranza non conteranno nulla, avranno solo il diritto di parola. L'opposizione è estromessa da ogni funzione di controllo e di mediazione politica. Come possiamo definire la qualità di un governo con opposizione paralizzata?     
La revisione pone fine alla rappresentanza senza vincolo di mandato, perché ogni parlamentare sarà vincolato alla coalizione di appartenenza, dovrà eseguirne la volontà, senza responsabile libertà di coscienza e di valutazione. È una vistosa contraddizione con l'art. 67, che non viene modificato ma apertamente violato; esso dice: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Vincolano al mandato, il parlamentare sarebbe l'esecutore meccanico di un partito, non un responsabile rappresentante del popolo.      
Il mandato imperativo, non già dal basso (popolare) ma dall'alto, lega il parlamentare al Primo ministro, come uno strumento.     
Non solo l'opposizione, ma la stessa maggioranza parlamentare sarà neutralizzata, non avrà alcun potere di controllo sul governo: se la maggioranza gli togliesse la fiducia, il Primo ministro scioglierebbe il Parlamento.        
Ne risulta una totale irresponsabilità del Primo ministro di fronte al Parlamento, a favore di un suo rapporto organico, diretto, con l'elettorato.                     
Questa è una deformazione radicale della stessa democrazia, non solamente del sistema parlamentare. Non è neppure una democrazia presidenziale. Nelle democrazie di questo tipo (Usa, per esempio) la rappresentatività democratica è assicurata da un parlamento forte, separato e indipendente dal potere esecutivo. Ma se il parlamento diventa un organo decorativo, dominato da una maggioranza totalmente dipendente dal Primo ministro, scompare anche la democrazia rappresentativa. Infatti, un organo personale, monocratico, come è il Primo ministro, non può per sua natura rappresentare tutto il popolo differenziato, ma solo la parte vincente.

La democrazia "implica l'assenza di capi" (Kelsen). Essa è "il governo delle leggi, e non degli uomini" (Bobbio). Addirittura, riguardo allo stato ideale, dice Socrate, nella Repubblica di Platone (III, 9), che se in tale stato comparisse un uomo così sapiente e abile da potere rappresentare e svolgere la parte di tutti, e volesse prodursi in pubblico con questa sua capacità, "noi lo riveriremmo come un essere sacro, meraviglioso e incantevole, ma gli diremmo che nel nostro stato non c'è e non è lecito che ci sia un simile uomo e lo manderemmo in un altro stato con il capo cosparso di profumi e incoronato di lana".
Nessuno può assorbire il ruolo di tutti, nè è lecito che lo faccia.      
L'idea di un rapporto organico tra un capo e il popolo intero è un'idea populista, che riduce il popolo ad un blocco unico, senza individualità libere, e contraddice la nozione stessa di democrazia. Tutto diventa possibile ad un uomo che un tale sistema di leggi fa sembrare investito della stessa sovranità popolare. Qui si vede quale è il pericolo insito in tanta insipienza politica, o insano calcolo di potere.         
Purtroppo, una tale idea personalizzata, monocratica e populista della democrazia è ampiamente diffusa, anche a sinistra. Circola da tempo nel centrosinistra la "bozza Amato" che contiene la più grave di tutte le manomissioni berlusconiane della Costituzione: una norma "anti-ribaltone" uguale a quella voluta dal centrodestra. Chi ha copiato da chi?
Nella battaglia per il referendum è necessaria non solo la propaganda per il "no", ma una riflessione critica e autocritica sulla gravità della posta in gioco, sui guasti provocati da oltre un decennio di logoramento costituzionale, sul nesso indissolubile tra costituzione e democrazia.
Dall'attacco alla Costituzione si devono trarre due lezioni, una di metodo, l'altra di merito:
a) la controriforma della destra ha rivelato l'enorme debolezza delle attuali garanzie costituzionali, aggravata dalla disattenzione,  disinformazione, ignoranza costituzionale dell'opinione pubblica. La garanzia della rigidità costituzionale va rafforzata. Con l'art. 138 i
padri costituenti supponevano ingenuamente un lealismo politico verso il patto costituzionale, che oggi è assai più debole. Il 138 va rafforzato.  
Il referendum costituzionale deve avvenire su singole determinate questioni (come ha già richiesto più volte la Corte Costituzionale) e non su un grande blocco di riforme, per non trasformarsi in un plebiscito, sempre nemico della democrazia;
b) sul nostro sistema democratico incombono seri pericoli: la già rilevata concentrazione di poteri in mano di uno solo, sostanza del berlusconismo; questa riforma che annulla il ruolo del Parlamento darebbe vita a una vera autocrazia. La concezione della democrazia come sistema di limiti, vincoli, garanzie imposte a tutti i poteri, compresa la maggioranza, è stata aggredita da Berlusconi e indebolita nello spirito pubblico. Bisogna mostrare che l'attuale riforma legalizza la costituzione materiale del berlusconismo: il suo sistema autocratico e la sua insofferenza per limiti, regole, controlli giurisdizionali. L'idea berlusconiana è che la democrazia consiste unicamente nella scelta ogni cinque anni di un capo.           
Non basterebbe vincere il referendum: occorre una grande battaglia civile per risanare la ferita inferta alla Costituzione; occorre rifondare nello spirito pubblico l'idea e l'affetto alla democrazia costituzionale. Bisogna che la battaglia non sia inquinata da proposte di compromesso, da propositi di "aggiornamenti" non ben distinti da questa riforma da respingere.
Il referendum si deve svolgere con la coscienza di una emergenza democratica, non solo costituzionale. I temi essenziali devono essere:     
1) la sconfitta culturale, oltre che politica, del progetto berlusconiano-piduista e della sua concezione deforme della democrazia;   
2) la rifondazione, nel senso comune, del carattere antifascista della Costituzione repubblicana, del suo valore di fondamento e presidio della democrazia, e di programma politico e sociale, ancora in gran parte da attuare.      
La storia del nostro paese, attraverso oppressioni, errori, dolori grandi, è arrivata nel 1946-'48 a formulare questa carta di identità morale e politica, fuori della quale c'è solo lo smarrimento e la ricaduta indietro.

 

Enrico Peyretti         La Nonviolenza in Cammino n. 1321