Il primo Papa moderno tra la riforma e Moro


Cosa sarebbe stato il Concilio Vaticano II, l’evento che ha così radicalmente cambiato la Chiesa e la
storia dell’intera umanità, senza l’azione tenace, paziente ed anche determinata di papa Paolo VI?.
Alla morte di Giovanni XXII spetterà a lui, al cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di
Milano ma formatosi alla Curia romana, che l’anziano pontefice aveva come indicato come
successore, il compito gravoso di raccoglierne il testimone. Il Concilio Vaticano II, annunciato a
sorpresa da Roncalli il 25 gennaio 1959, si era aperto l’11 ottobre 1962. Da subito l’arcivescovo di
Milano prende posizione a favore dell’indirizzo riformatore. I suoi interventi trovano sempre più
larghi consensi tra i padri conciliari. Con la morte del pontefice, il 3 giugno 1963 i lavori si
interrompono. Nella messa di suffragio in duomo a Milano il 7 giugno, l’arcivescovo Montini
indica i punti qualificanti da raggiungere: lo sviluppo dell’internazionalizzazione della Chiesa, la
convocazione del Concilio, la partecipazione dei vescovi «non certo all’esercizio (che resterà
personale ed unitario) ma alla responsabilità del governo della Chiesa», l’ecumenismo e la predicazione della pace.È un programma di governo.

Cresce la sua autorevolezza. Il 21 giugno i cardinali riuniti in Conclave alla quinta votazione lo eleggono Papa, sarà Paolo VI. E sarà suo il
merito, della sua capacità di ascolto, di mediazione, ma anche nella sua determinazione nel prendere
posizione con autorevolezza nei momenti di maggiore divisione se i lavori conciliari si sono
conclusi il 7 dicembre 1965. Coniugando innovazione e rispetto della tradizione è sotto la sua guida
se la Chiesa potrà affrontare le sfide poste dalla modernità senza fratture insanabili. Progressisti e
conservatori, partito romano di Curia e le nuove Chiese, tra turbolenze, scontri e contrapposizioni
anche drammatici, alla fine voteranno quasi all’unanimità i documenti conciliari. Con la sua prima
enciclica Ecclesiam Suam (6 agosto 1964) indicherà gli obiettivi di riforma del Concilio per una
Chiesa che ripensa se stessa e la sua missione nel mondo. Vi sarà l’opposizione e il mini scisma del
tradizionalista monsignor Lefebvre che lo accusa di modermismo, di eresia protestante. Paolo VI
farà tutto per evitarlo, ma non al prezzo di mettere in discussione lo schema del rinnovamento
conciliare. Vi sarà pure, forte, la critica degli ambienti progressisti della Chiesa per quelle che sono
considerate le eccessive aperture alla destra curiale.
Paolo VI accompagnerà i lavori dell’assemblea conciliare, ne seguirà le dinamiche e le decisioni
ecclesiologiche, la loro concretizzazione. Così costruisce la riforma della Chiesa finalizzata a
portarla ad un linguaggio e ad una struttura istituzionale che fosse all’altezza dei tempi. Riforma
come linguaggio e riforma come governo della Chiesa. Dà seguito a quella collegialità episcopale chiesta dal Concilio, fissandone però anche i limiti, difendendo le prerogative del pontefice. È questo il primo vero punto sintetico nelle dinamiche istituzionali che lungo la storia della Chiesa si
sono confrontate: il sovrano pontefice e il principio di assemblearità-collegialità dei vescovi.
Sviluppa l’internalizzazione della Chiesa. Si chiude l’era del predominio assoluto della Curia
romana. Dà il via libera alla riforma della liturgia (con l’introduzione del nuovo messale che apre al
rito nelle lingue nazionali con l’obiettivo di favorire la partecipazione dei fedeli), alla riforma della
Curia, a quella del Sant’Uffizio e all’abolizione dell’Indice dei libri proibiti.
È stato il Papa delle scelte di fondo di una Chiesa dell’età moderna che vuole «parlare alla grande famiglia umana». È del marzo 1967 l’enciclica Populorum Progressio che richiama i temi della giustizia, dello sviluppo e della pace. Sarà sua l’intuizione di indire il 1° gennaio 1968 la Giornata
Mondiale per la pace.
Le scelte di fondo, quelle strategiche, che segnano la Chiesa contemporanea sono tutte di papa
Montini. L’ecumenismo e il dialogo con le altre religioni? Proprio durante i lavori Paolo VI,
pellegrino a Gerusalemme, abbraccerà il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora, leader
del mondo ortodosso. Saranno cancellate le reciproche scomuniche tra Roma e Costantinopoli.
Sono le basi del dialogo che continuerà e il rapporto ecumenico e interreligioso diventa l’arma per
far vincere la cultura del dialogo e della pace. Paolo VI sviluppa l’idea moderna di come la Chiesa
possa stare nel confronto tra le nazioni ed i popoli in un contesto internazionale che deve privilegiare il diritto internazionale.

È stato al centro del suo discorso alle Nazioni Unite nel 1965
con quel suo fortissimo richiamo alla pace. Sono tutti spazi che Montini apre e che danno una politicità positiva dell’organismo Chiesa che in
se stesso è prevalentemente spirituale e morale.
È con il suo pontificato che la Chiesa si confronta con la globalità del mondo e dei suoi problemi.
Paolo VI sarà il primo Papa pellegrino nel Mondo, sul suo esempio Giovanni Paolo II costruirà una
delle peculiarità del suo pontificato e del suo primato. Il vescovo di Roma va «missionario» nei
cinque continenti, ma anche per conoscere, capire, assicurare presenza: è così nel viaggio in India a
Bombay con la denuncia della povertà e l’invito alle grandi potenze ad utilizzare le risorse destinate
agli armamenti per combattere la povertà. Quello a Manila che segna l’apertura all’Asia e con la
sosta ad Hong Kong sottolinea l’attenzione della Chiesa per la Cina. Sarà anche a Sydney. A
Bogotà, contestato, per misurarsi con le problematiche dell’America Latina, compresa la sfida della
teologia della liberazione, condannando con fermezza la scelta marxista. In Africa in Uganda a
ricordare i cristiani martiri della fede.
Montini è stato un Papa fortemente politico. Lo è nella sua formazione. Cresce e si forma
nell’ambiente del liberalismo cattolico bresciano. Il padre Giorgio Montini era stato tra i fondatori
del partito popolare e parlamentare, così anche il fratello. Ma Giovanni Battista Montini ebbe
sempre chiara la concezione e l’esercizio della distinzione dei piani, rispettando l’autonomia e la
responsabilità del laicato cattolico. Una sensibilità rafforzatasi nella sua lunga attività di assistente
generale della Fuci. Non sono però mancati pressioni e fermi richiami, quando in discussione sono
state leggi come quella sul divorzio o sull’aborto.
Si è molto parlato della sua personalità molto complessa, intellettuale, poco comunicativa che alla
fine ha pesato negativamente sulla sua popolarità. Non tutto si può ridurre a questo. Si dimentica
che il suo pontificato ha finito per coincidere con l’esplosione di tutte le grandi questioni mondiali
del dopoguerra: la secolarizzazione, la rivoluzione sessuale, il femminismo, la contestazione del
‘68, l’esplosione del post colonialismo, la guerra fredda. Si trova a gestire un passaggio di
contraddizioni enorme. Tempi difficili per la Chiesa. Di disorientamento. Segnata anche dalla crisi
delle vocazioni. Ma sarà la sua ultima enciclica, l’Humanae Vitae del 25 luglio 1968, quella con la
quale la Chiesa condanna senza appello l’uso della pillola e degli anticoncezionali, quella che
segnerà la crisi più profonda della Chiesa di Roma con la società contemporanea. Paolo VI la
promulga malgrado le aperture su questo tema della commissione vaticana istituita sull’argomento.
Si scateneranno dure reazioni non solo del mondo laico ma anche all’interno della Chiesa. Sarà una
frattura non ricucita.
Quindici anni di pontificato complessi e contraddittori. È stato il Papa che visita le fabbriche,
attento a drammi sociali della società contemporanea e al rapporto con i giovani e con la cultura.
L’Italia ha vissuto momenti tragici e difficilissimi. Sono stati gli anni delle stragi e del terrorismo.
Paolo VI ha vissuto direttamente quella tragedia. Aldo Moro era un suo fraterno amico, il Papa
interviene più volte chiedendo la liberazione del prigioniero. Alla fine, tra il 21 aprile 1978 scrisse
di suo pugno una lettera «agli uomini delle Brigate Rosse» chiedendo la liberazione di Moro «senza
condizioni». Questa specificazione, forse imposta dal fronte della fermezza e dal governo Andreotti,
sbarrò la strada ad ogni possibile trattativa. Il 9 maggio, a via Caetani, fu trovato il corpo di Moro. Il
Papa già sofferente, ne uscirà provatissimo. Vorrà celebrare i funerali nella basilica di san Giovanni
ma senza la salma, la famiglia per protesta non lo consente. Poco dopo, il 6 agosto, a Castel
Gandolfo Paolo VI si spegne. Nel suo testamento, chiede di essere sepolto nella nuda terra.

 

Roberto Monteforte        l'Unità  6 agosto 2008