Prima o poi
Ma
che c'entra il multiculturalismo con le sommosse francesi? Metterla sul piano
della «cultura» o della religione, come hanno fatto immediatamente tanti
commentatori, significa semplicemente ignorare il messaggio che viene dalle
banlieues
in fiamme: che prima o poi, quando l'esclusione è intollerabile, gli esclusi
metteranno a ferro e fuoco lo spazio dell'esclusione e poi, forse, il mondo di
luci fin lì irraggiungibile intorno a cui consumano la loro esistenza senza
sbocchi. È quello che più di dieci anni fa mostrò il film
L'odio
di Kassowitz. Ma è anche quello che è successo a South Central Los Angeles nel
1992 e nelle città dormitorio inglesi. Avremmo dovuto ricordarlo, se l'11
settembre 2001 e conseguenti stupide guerre di civiltà non ci avessero
ipnotizzato. Che i giovani se la prendano con i poliziotti è ovvio. E con chi
dovrebbero prendersela, visto che sono l'unico aspetto della Repubblica con cui
hanno a che fare? E altrettanto ovvio è che distruggano le automobili, quel
feticcio della mobilità e della libertà di consumo da cui sono tagliati fuori. E
non si dica nemmeno che si tratta di delinquenti e spacciatori. Tanto più che
l'unico mercato a cui hanno accesso è quello auto-lesionistico della droga.
Quando la rabbia erompe dai margini, non può che distruggere e
auto-distruggersi. E, poi, che cosa hanno da perdere questi ragazzi? Sarebbe
troppo facile, troppo teorico, che dietro gli incendi apparisse un piano,
un'idea, quando invece non c'è che la disperazione a cui non una politica, ma un
intero sistema sociale li condanna.
Più che di una rappresentanza politica, i cosiddetti
casseurs sono privi di una rappresentanza sociale, nel senso non
di qualche eletto, ma di una prospettiva di vita. Chi si è mai accorto,
muovendosi in treno dal centro di Parigi verso l'aeroporto Charles de Gaulle,
dei quartieri dormitorio che stanno intorno e degli hacheleme, i tremendi
alloggi in cui abitano i giovani francesi privi di opportunità con le loro
stanche famiglie di origine africana, caraibica o maghrebina? Certamente
francesi, come vuole la finzione repubblicana, ma in realtà simili, per povertà
e abbandono, alle popolazioni che i loro nonni o padri hanno abbandonato decenni
fa. Ecco svelato il mistero della rabbia e delle distruzioni. Vivono ai margini
e in vista di una prosperità che non sarà mai per loro.
Non siamo d'accordo con Prodi quando vede scenari
simili da noi, ma non perché le nostre periferie siano migliori di quelle
francesi. Il fatto è che per il momento sono diverse. Da noi, la povertà
è trasversale, annidata nelle famiglie normali che tirano la carretta, sepolta
nelle stamberghe dei migranti, non confinata ed etnicizzata negli anelli che
circondano le città. Ma questo non significa che domani forme analoghe di
conflitto non siano possibili. Anche perché la risposta repressiva (il
coprifuoco) si fonde perfettamente con la lettura in chiave culturalista di
queste sommosse. Il giorno in cui in Europa la protesta delle periferie fosse
letta come rivolta degli immigrati, gli incendi scoppierebbero dovunque.
ALESSANDRO DAL LAGO il manifesto 8-11-05