Il
prete dei boia di Videla "Confessava e torturava"
Argentina, primo sacerdote alla sbarra
Il processo
riapre la questione della vicinanza della Chiesa con la dittatura
I testimoni sono
monitorati con un chip per evitare che siano rapiti e uccisi
BUENOS AIRES - Il giustiziere questa volta si chiama Hector Timerman ed è il
console argentino a New York. Figlio del giornalista Jacobo Timerman, arrestato
illegalmente e torturato per mesi in un lager della dittatura militare, Hector
ha raccontato ai giurati quello che suo padre, morto nel 1999, gli disse di
Christian Von Wernich, il cappellano militare condannato ieri dal Tribunale di
La Plata per aver partecipato in prima persona alla strage degli oppositori
politici negli anni del regime del generale Videla. La testimonianza di Hector
Timerman è stata quella decisiva per stabilire che il sacerdote non era solo un
confessore degli aguzzini ma prendeva parte alle torture e collaborava
apertamente con i militari. La vicenda, la prima che si conclude davanti ad un
tribunale, è emblematica dell´atteggiamento della Chiesa locale in quegli anni,
quando numerosi sacerdoti si schierarono dalla parte degli assassini e le alte
gerarchie chiusero gli occhi perché «il processo di riorganizzazione nazionale»
(il nome burocratico che i militari diedero al massacro) doveva «purificare»
l´Argentina e riportarla sulla retta via dei valori cattolici e occidentali.
Dichiaratamente antisemita, Von Wernich fu in quegli anni uno dei principali
consulenti di Ramon Camps, il colonnello che guidava la Bonaerense, la polizia
della provincia di Buenos Aires. Ed era libero di recarsi da un centro di
detenzione clandestino all´altro, presenziare alle torture, benedire i
carnefici. Secondo i numerosi testimoni al processo, Von Wernich si recava anche
a confessare i detenuti per poi riferire a Camps quello che aveva saputo. Un
altro testimone al processo ha raccontato il cinismo con il quale il sacerdote
accudiva i detenuti dopo le sessioni di tortura con la picaña, una specie
di sedia elettrica. Quando questi gli parlò del tremendo dolore provato da un
altro detenuto il prete sorrise e disse: «Non ti preoccupare basta fare un
massaggino ai muscoli e in due o tre giorni passa tutto».
Il pubblico ministero e le parti civili hanno accusato Von Wernich di
partecipazione diretta in 31 casi di tortura, 42 detenzioni illegali e 7
omicidi. I sette omicidi sono la vicenda più significativa che si è dibattuta
nel corso del processo. Erano studenti che militavano nel gruppo di Montoneros,
la gioventù peronista dell´epoca, e che vennero convinti da Von Wernich a
collaborare e a fornire nomi e indirizzi dei loro compagni. In cambio di queste
informazioni e di 1500 dollari a testa che le loro famiglie consegnarono ai
militari, ai sette venne promesso che avrebbero avuto salva la vita. Invece
vennero assassinati.
Il processo a Von Wernich ha creato molto imbarazzo nella Chiesa argentina che,
fino ad ora, ha scelto di non intervenire in alcun modo. I vescovi hanno
preparato una dichiarazione di condanna del comportamento del sacerdote che
verrà resa nota nelle prossime ore: inoltre l´uomo verrà sospeso a vita
dall´esercizio del sacerdozio. Solo pochi anni fa, grazie al libro «Tu sia
maledetto», scritto da un giornalista che investigò con i sopravvissuti le sue
responsabilità criminali, Christian Von Wernich è stato allontanato dalla
polizia bonaerense ma formalmente non ha ricevuto ancora nessuna sanzione dai
suoi superiori.
Per la prima volta, in questo che è il secondo processo che arriva alla sentenza
dopo l´annullamento delle leggi di amnistia e indulto a favore dei militari
della dittatura, è stato messo in pratica un nuovo programma di protezione dei
testimoni. Grazie ad un microchip collegato ad un meccanismo satellitare i loro
spostamenti vengono monitorati costantemente. Ciò che i giudici vogliono evitare
è un nuovo caso Lopez, il testimone scomparso un anno fa e mai ritrovato.
Omero Ciai Repubblica 10.10.07
Adolfo Pérez Esquivel: «Ma il suo non fu un caso isolato Molti
giustificarono gli assassinii»
BUENOS AIRES — Una sala immensa, neanche una sedia. Sia chiaro: «Un incontro
rapido e fedele al protocollo», ripetono gli alti prelati al premio Nobel
argentino Adolfo Pérez Esquivel.
Entra Giovanni Paolo II. «Mentre i miei compagni distraggono i cardinali, io
riesco a consegnargli un dossier su 84 bambini sequestrati e scomparsi. Avevo
già tentato di farglielo avere attraverso tre canali diversi. Il Papa scuote la
testa: "Questo non è mai arrivato nelle mie mani". Poi mi guarda, punta il dito:
"Il dossier resta con me, ma lei deve pensare anche ai bambini dei Paesi
comunisti..."».
È il 1981. Leader pacifista cattolico, arrestato e scampato a un «volo della
morte», quindi costretto dalla dittatura all'esilio, Pérez Esquivel ha da un
anno ricevuto il Nobel per la Pace. «La settimana dopo il nostro incontro
Wojtyla parlerà per la prima volta dei desaparecidos».
Perché così tardi? Il golpe argentino è del '76, e le violenze contro gli
oppositori erano cominciate già anni prima.
«Io credo che Giovanni Paolo II si sia comportato in questo modo per la cattiva
informazione che gli arrivava. Altrimenti non si spiega. Non volle neanche
ricevere le Madri di Plaza de Mayo...».
Una storia torbida di silenzi e connivenze quella della Chiesa cattolica
nell'Argentina della «guerra sporca». Pérez Esquivel la segue da decenni. Dai
primi tentativi (falliti) di coinvolgere le gerarchie nella difesa dei diritti
umani agli inizi degli anni Settanta; fino ad oggi, al processo von Wernich nel
quale il premio Nobel è stato testimone. Nella sede storica del suo Serpaj, il
Servizio Pace e Giustizia, a Buenos Aires, la ricostruisce.
«La Chiesa cattolica in Argentina ha luci e ombre. C'è stato un settore che ha
appoggiato la dittatura, che è stato complice. Alti prelati, semplici sacerdoti.
E dentro le diocesi delle Forze Armate istituite da Giovanni Paolo II i
cappellani militari e della polizia, che hanno giustificato la repressione in
virtù della cosiddetta difesa della civiltà cristiana e occidentale. Von Wernich
ha avuto un ruolo diretto nella repressione, ha visitato campi illegali, ha
fatto pressioni perché i detenuti parlassero».
In aula lei ha sottolineato che von Wernich non è stato un caso isolato.
«Ci sono stati vescovi, penso a monsignor Tortolo, che hanno giustificato ogni
mezzo per far parlare i prigionieri, tortura compresa. Con l'eccezione però
dell'uso della picana (strumento che emetteva scariche elettriche, ndr),
alla quale era contrario».
Con quale giustificazione?
«Per risparmiare energia... Ricordo poi proprio in questo ufficio il capitano di
corvetta Scilingo (considerato il primo «pentito» del regime, ndr) che mi
raccontò di quando tornava dai "voli della morte", dopo aver gettato nel Rio de
la Plata i corpi dei prigionieri nudi e narcotizzati: andava dal cappellano che
gli faceva la comunione e gli diceva che era "una morte cristiana per salvare il
Paese dal comunismo". Von Wernich non è una vicenda isolata. C'era una
concezione ideologica che ha portato parte della Chiesa a compromettersi con la
dittatura e a contrastare chi viveva il Vangelo insieme al popolo. Religiosi che
hanno resistito, come Mauricio Silva (prete operaio desaparecido, ndr),
come il vescovo Angelelli (ucciso dai golpisti, ),
come le suore francesi (Alicia Dumon e Leonie Duquet, scomparse,
ndr) ».
Una minoranza...
«Sì, una minoranza. Ricordo che ebbi una discussione anche con l'allora nunzio
apostolico Pio Laghi (spesso ricordato per le sue partite di tennis con il
golpista e piduista Emilio Massera, ndr): "Che vuole che faccia — mi
disse —, non posso fare quello che i vescovi argentini non vogliono fare».
Dopo la dittatura, la Chiesa ha ammesso le sue responsabilità?
«Fino ad oggi c'è stato solo un tiepido riconoscimento che avrebbe potuto fare
di più e non l'ha fatto. Non stanno neanche cercando un avvicinamento, un
dialogo con le associazioni per i diritti umani. Mantengono la distanza. Ma dopo
questo processo, io credo che debbano pronunciarsi ».
Alessandra Coppola Corriere della Sera 10.10.07