"Il premier mi vuole zittire ma sui clan non tacerò mai"
"Assurdo preferire il silenzio il premier si scusi con le vittime"
Lo scrittore: non so se Mondadori è ancora adatta a me
"Sono accuse che sento da anni. Per gli Schiavone anzi sarei io il vero
camorrista"
"Destra e sinistra non c´entrano. Io continuerò a parlare anche agli elettori
del Pdl"
Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta
da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato
di essere responsabile di "supporto promozionale alle cosche". Non sono accuse
nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue
parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati,
giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini
che da anni, in certe parti d´Italia, trovano la forza di raccontare, di
esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt´ora
rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle
organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio
non dire. è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del
lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro.
Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa
loro, Cosa nostra appunto è un´espressione ancor prima di divenire il nome di
un´organizzazione.
Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine? Il ruolo della ‘ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra è determinato dal suo volume d´affari - cento miliardi di euro all´anno di profitto - un volume d´affari che supera di gran lunga le più granitiche aziende italiane. Questo può non esser detto? Lei stesso ha presentato un dato che parla del sequestro alle mafie per un valore pari a dieci miliardi di euro. Questo significa che sono gli scrittori ad inventare? Ad esagerare? A commettere crimine con la loro parola? Perché? Michele Greco il boss di Cosa Nostra morto in carcere al processo contro di lui si difese dicendo che "era tutta colpa de Il Padrino" se in Sicilia venivano istruiti processi contro la mafia. Nicola Schiavone, il padre dei boss Francesco Schiavone e Walter Schiavone, dinanzi alle telecamere ha ribadito che la camorra era nella testa di chi scriveva di camorra, che il fenomeno era solo legato al crimine di strada e che io stesso ero il vero camorrista che scriveva di queste storie quando raccontava che la camorra era impresa, cemento, rifiuti, politica.
Per i clan che in questi anni si sono visti raccontare, la parola ha rappresentato sempre un affronto perché rendeva di tutti informazioni e comportamenti che volevano restassero di pochi. Perché quando la parola rende cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi, è in quell´istante che sta chiamando un intervento di tutti, un impegno di molti, una decisione che non riguarda più solo addetti ai lavori e cronisti di nera. Le ricordo le parole di Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone pronunciate poco prima che lui stesso fosse ammazzato. «La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere … non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni le spinga a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo mi disse: la gente fa il tifo per noi. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l´appoggio morale dà al lavoro dei giudici, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche smuovendo le coscienze».
Il silenzio è ciò che
vogliono. Vogliono che tutto si riduca a un problema tra guardie e ladri.
Ma non è così. E´ mostrando, facendo vedere, che si ha la possibilità di avere
un contrasto. Lo stesso Piano Caserta che il suo governo ha attuato è partito
perché è stata accesa la luce sull´organizzazione dei casalesi prima nota solo
agli addetti ai lavori e a chi subiva i suoi ricatti.
Eppure la sua non è un´accusa nuova. Anche molte personalità del centrosinistra
campano, quando uscì il libro, dissero che avevo diffamato il rinascimento
napoletano, che mi ero fatto pubblicità, che la mia era semplicemente un´insana
voglia di apparire. Quando c´è un incendio si lascia fuggire chi ha
appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l´allarme? Guardando
a chi ha pagato con la vita la lotta per la verità, trovo assurdo e sconfortante
pensare che il silenzio sia l´unica strada raccomandabile. Eppure, Presidente,
avrebbe potuto dire molte cose per dimostrare l´impegno antimafia degli
italiani. Avrebbe potuto raccontare che l´Italia è il paese con la migliore
legislazione antimafia del mondo. Avrebbe potuto ricordare di come noi italiani
offriamo il know-how dell´antimafia a mezzo mondo. Le organizzazioni
criminali in questa fase di crisi generalizzata si stanno infiltrando nei
sistemi finanziari ed economici dell´occidente e oggi gli esperti italiani
vengono chiamati a dare informazioni per aiutare i governi a combattere le
organizzazioni criminali di ogni genealogia. E´ drammatico - e ne siamo
consapevoli in molti - essere etichettati mafiosi ogni volta che un italiano
supera i confini della sua terra. Certo che lo è. Ma non è con il silenzio
che mostriamo di essere diversi e migliori.
Diffondendo il valore
della responsabilità, del coraggio del dire, del valore della denuncia, della
forza dell´accusa, possiamo cambiare le cose.
Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare
cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l´immagine italiana
quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per
innescare il cambiamento. Questa è l´unica strada per dimostrare che siamo
il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e
di Schiavone Sandokan. Credo che nella battaglia antimafia non ci sia una destra
o una sinistra con cui stare. Credo semplicemente che ci sia un movimento
culturale e morale al quale aspirare. Io continuerò a parlare a tutti,
qualunque sarà il credo politico, anche e soprattutto ai suoi elettori,
Presidente: molti di loro, credo, saranno rimasti sbigottiti ed indignati dalle
sue parole. Chiedo ai suoi elettori, chiedo agli elettori del Pdl di aiutarla a
smentire le sue parole. E´ l´unico modo per ridare la giusta direzione alla
lotta alla mafia. Chiederei di porgere le sue scuse non a me - che ormai ci sono
abituato - ma ai parenti delle vittime di tutti coloro che sono caduti
raccontando. Io sono un autore che ha pubblicato i suoi libri per Mondadori e
Einaudi, entrambe case editrici di proprietà della sua famiglia. Ho sempre
pensato che la storia partita da molto lontano della Mondadori fosse pienamente
in linea per accettare un tipo di narrazione come la mia, pensavo che avesse gli
strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse.
Dopo le sue parole non so se sarà più così. E non so se lo sarà per tutti gli
autori che si sono occupati di mafie esponendo loro stessi e che Mondadori e
Einaudi in questi anni hanno pubblicato. La cosa che farò sarà incontrare le
persone nella casa editrice che in questi anni hanno lavorato con me, donne e
uomini che hanno creduto nelle mie parole e sono riuscite a far arrivare le mie
storie al grande pubblico. Persone che hanno spesso dovuto difendersi
dall´accusa di essere editori, uffici stampa, dirigenti, "comprati". E che
invece fino ad ora hanno svolto un grande lavoro. E´ da loro che voglio
risposte.
Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò
la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire.
Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la
cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possibilità di una
Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo
giuro Presidente, anche a nome degli italiani che considerano i propri
morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organizzazioni criminali, che
non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta.
Roberto Saviano Repubblica 17.4.10